L’era urbana: da Bam a Kabul passando per Torino. Quale architettura per la (ri)costruzione del presente?
“Torna L’ERA URBANA il programma di RAI RADIO 3 dedicato alla città del XXI secolo. Il programma, alla sua seconda edizione, tocca quest’anno uno dei temi più spinosi del mondo contemporaneo, quello della ricostruzione. Protagoniste delle 18 puntate – realizzate dalla storica dell’arte Marta Francocci, in collaborazione con il regista e antropologo Giorgio de Finis – luoghi e città che dopo aver subito guerre, crisi economiche, attentati e abbandoni, vivono una nuova stagione, progettano un riscatto, aspirano a un’epifania. Dalla New York del dopo 11 settembre, alla Torino dei giochi invernali 2006, da Shangai, la metropoli simbolo della crescita economica della nuova Cina, alle città e ai luoghi violati dalla guerra: Beirut, Sarajevo, Bagdad, il Kossovo. E ancora la Milano della nuova Fiera e dei grattacieli di Libeskind, Zaha Hadid e Arata Isozaki, i progetti per Roma (dalla celebre “nuvola” di Massimiliano Fuksas al recupero dei Mercati Generali recentemente affidato a Rem Koolhaas), Barcellona, Istanbul, Berlino, Bilbao. (testo tratto dal comunicato stampa).
Il programma – in onda dal 10 maggio alle ore 14 dal lunedÏ al venerdÏ – (vedi: www.radio.rai.it/radio3) si presenta molto intenso/attento e per questo Arcomai non poteva non segnalarlo ai suoi lettori, certo del contributo che iniziative di questo tipo possono dare al dibattito sull’architettura contemporanea. La cosa sarà ancora più interessante grazie all’intenzione di convertire cinque dei ritratti radiofonici (Beirut, New York, Shanghai, Torino e Roma) in cinque speciali televisivi di 30′ – realizzati in collaborazione con RAI EDUCATIONAL – trasmessi (in date ancora da definirsi), oltre che sul canale satellitare, su RAI 3, e in replica su RAI 1.
Si tratta di un viaggio, quello proposto da Radio 3, attraverso il quale si cercherà di riflettere, analizzando le politiche di ricostruzione post-bellica o di sviluppo, sulle trasformazioni in atto di alcune significative realtà urbane tra loro anche molto differenti. La presenza di una ampia/interdisciplinare tavola rotonda – fatta non solo di architetti di fama internazionale ma anche di un nutrito gruppo di filosofi, antropologi, sociologi, scrittori, esperti di geopolitica ed artisti – contribuirà, a nostro avviso, ad allargare il campo della discussione anche ad altri aspetti ad esso riconducibili.
Mi riferisco a quegli scenari di guerra spesso dimenticati – come i loro presunti processi di ri-costruzione o di ri-presa – causati da terremoti ed altre calamità naturali (tsunami, tifoni, inondazioni) che in pochi attimi provocano effetti devastanti molto simili a quelli causati dai conflitti bellici. Esiste tra l’altro e purtroppo un destino terribile che unisce spesso i teatri di guerra con quelli delle catastrofi causate dalla natura creando un apparentamento nella tragedia tra paesi, anche molto diversi/lontani tra loro, che in comune hanno la carenze/assenza di una normativa antisismica adeguata, di controllo/monitoraggio sul territorio, di prevenzione/protezione civile e, non ultimo, di un sistema di garanzie dei diritti delle persone.
Se pensiamo poi alla lunga lista di catastrofi (Messina-Reggio Calabria, Avezzano, Gibellina, Friuli, Irpinia, Umbria e San Giuliano) che nell’arco di un secolo hanno indelebilmente segnato e messo a dura prova il paesaggio italiano – a mio avviso più di quanto non abbia fatto il secondo conflitto mondiale – allora approfondire il tema della ri-costruzione tenendo conto delle questioni legate alle distruzioni provocate dalla natura, potrebbe dare un contributo aggiunto alla discussione e magari riflettere sullo stato dell’arte delle politiche di intervento (ricostruzione/sviluppo) nel nostro Paese. La nostra storia recente ci ricorda che per alcuni la guerra non è finita o meglio che gli interventi di ri-costruzione non sono riusciti a costruire da un dramma una “epifania” mediante la quale cercare di superare gli errori del passato. Ci riusciranno i piani di sviluppo? Si riuscirà a cogliere l’occasione per emancipare una cultura de/per il territorio attraverso la trasformazione/ri-uso delle ampie aree libere/dismesse su cui puntano molte amministrazione per il rilancio delle loro città?
Per quanto riguarda i temi a noi cari, ci auguriamo che dalla rassegna emergano elementi utili a:
- comprendere quale ruolo giochi oggi l’architettura all’interno delle grosse operazioni industriali;
- indagare se il “progetto” di architettura sia ancora capace di attivare un processo culturale che porti alla pro-mozione e realizzazione di nuove urbanità per una società che, seppur in parte mondializzata, è fatta di diversità/esigenze molto complesse e che vanno tenute seriamente in considerazione;
- riflettere in modo critico sugli aspetti prettamente compositivi di un’architettura contemporanea che in ambiti di costruzione e ri-costruzione si esprime linguisticamente e in modo paradossale: “…negli accartocciamenti metallici di Frank Gehry, nelle pieghe di Peter Eisenman, nelle frammentazioni di Zara Hadid e degli adepti del decostruttivismo” (Matteo Agnoletto in Parametro nr. 251 / Movimenti moderni: terremoti e architettura 1883-2004);
e non ultimo:
- affrontare senza remore la scottante questione dell’imperante “‘ideologia della conservazione” che in Italia contribuisce a plagiare/falsare entità dinamiche e fertili come la tradizione, la memoria, l’identità, l’identificazione e l’appartenenza.