L’Arte della Geopolitica e’ più arte dell’arte

© arcomai I Ingresso del Padiglione del Venezuela.

Con “geopolitica” si intende quella disciplina che studia l’influsso che i fattori geografici (contesti spaziali, elementi culturali, sociali ed economici) hanno sulla politica degli Stati (in particolare sulla politica estera) e dalla cui analisi è possibile formulare previsioni sulle conseguenze future in alcuni scenari internazionali. Alla 60ma Esposizione Internazionale d’Arte due sono i padiglioni internazionali che hanno fatto discutere, alla luce dei recenti fatti di “geografia politica”, e non certo per le loro performance artistiche; mi riferisco al padiglione della Russia – imprestato alla Bolivia – e a quello chiuso di Israele.

Infatti, dopo due anni di chiusura a margine degli eventi legati alla crisi in Ucraina, il padiglione della Federazione Russa ha riaperto, ospitando una mostra collettiva della Bolivia che con l’entrata in vigore della costituzione del 2009, in cui si riconoscono i diritti di tutti i gruppi indigeni al suo interno, sembra incontrare perfettamente le aspettative del tema di questa edizione della Biennale – intitolata “Stranieri Ovunque” – voluto dal suo curatore Adriano Pedrosa ed incentrato sull’inclusione di artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, esiliati e rifugiati il tutto con un occhio particolare a questioni legate alla migrazione e alla decolonizzazione.

© arcomai I Il Padiglione della Russia e l’allestimento della Bolivia.

L’edificio era rimasto chiuso dal 2022, quando nel marzo dello stesso anno la Biennale aveva dichiarato di voler rifiutare la presenza, in qualsiasi dei suoi eventi, di delegazioni ufficiali, istituzioni o persone legate a qualsiasi titolo al governo russo. La concessione russa degli spazi al paese sudamericano ha ovviamente implicazioni geopolitiche visto che con questo gesto di “ospitalità” non solo riapre il padiglione senza scontrarsi col “diktat” dei vertici di Biennale, ma per la prima volta viene data la possibilità alla Bolivia di partecipare a questo evento internazionale esponendo addirittura in una delle più prestigiosa sedi storiche ai Giardini non lontano dai padiglioni blasonati di Germania, Regno Unito, Francia, Giappone e Svizzera.

E’ da anni che la Russia e la Bolivia sono legate da relazioni amichevoli grazie anche a diversi scambi commerciali ‘importanti”. Questo legame stretto tra i due paesi spiegherebbe in modo ufficioso la disponibilità a concedere gratuitamente l’uso del loro edificio, anche se verrebbe da pensare che dietro a questa scelta vi sia la volontà di concedere temporaneamente l’uso dell’immobile ad un “amico” in modo da tenere lontano possibili “squatters” malintenzionato, difficili poi da allontanare; se non addirittura vederselo requisire come e’ successo ai beni esteri dei cosiddetti “oligarchi” insieme al “tesoretto” di 260 miliardi di euro, riconducibile agli interessi sui beni russi congelati nell’Unione Europea, che Bruxelles vorrebbe usare per rimborsare le armi che gli Stati hanno speso per l’Ucraina. Sebbene la collettiva proposta dalla Bolivia, intitolata “Guardando al futuro/passato, ci muoviamo in avanti”, non sia certo la mostra più riuscita della kermesse, la sua presenza aggiunge una nota “imprevista” di riflessione politica ad una mostra che quest’anno si conferma come la più “politicizzata” di sempre. Fattore questo che potrebbe alimentare dubbi sui criteri di selezione degli artisti esposti in mostra nonché come e chi finanzia i rispettivi allestimenti.

© arcomai I Ingresso del Padiglione di Israele.

Sempre ai Giardini e non lontano dalla Bolivia, Il Padiglione di Israele e’ vuoto – perché chiuso. A spiegare le ragioni di tale decisione c’è un cartello (in inglese), attaccato sula vetrata dell’edificio, che annuncia la durata di tale chiusura “fino a quando non si arriverà ad un reale cessate il fuoco o ad un accordo per il rilascio degli ostaggi”. A salvaguardare l’integrità del messaggio ci sono due soldati del Reggimento Lagunari “Serenissima” (il prestigioso ed unico reparto di fanteria d’assalto anfibio dell’Esercito Italiano) che piantonano l’ingresso dell’edificio forse per evitare che qualche critico d’arte, in disaccordo con le recenti politiche del governo israeliano nei riguardi della crisi di Gaza, possa in qualche modo alterare il contenuto del comunicato con un pennarello.

“Il gesto artistico è sempre ed inevitabilmente un gesto politico”; sembra questo il motto subliminale di questa 60ma Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Vedere militarizzato un edificio vuoto ad una mostra d’arte e’ uno spettacolo indegno per tutti e conferma la totale incompetenza di chi gestisce questa manifestazione. La presunzione dell’arte contemporanea di affrontare questioni più grandi di lei si scontra con la sudditanza di questa alla demagogia della “politica degli slogans”.

La buona notizia di questa Biennale e’ la ricostruzione del muro che divideva rispettivamente i padiglioni di Venezuela e Svizzera. In occasione della 18ma Mostra d’Architettura dello scorso anno, il muro fu parzialmente demolito dai “benpensanti” (curatori) della Svizzera. Un gesto (no architettonico) deliberatamente insensato, sciagurato e violento; una vicenda squallida che aveva innescato un inevitabile incidente diplomatico tra i due paesi. Arcomai aveva documentato la vicenda in: “E’ caduta una bomba ai Giardini della Biennale ma ha distrutto il muro sbagliato”. Un’altra butta storia di “Geopolitica della Biennale”,  fortunatamente finita bene. Anche perché alla fine il principio “Chi rompe, paga!” rimane sempre la soluzione migliore a qualsiasi comportamento che cagioni un danno.

© arcomai I Vista dal Padiglione della Svizzera del muro in comune con il Venezuela.


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