“Il miglior posto, il posto più sicuro della terra, adesso, è dove vi trovate”

Abbiamo costruito una civiltà che minaccia di distruggere l’umanità.

Di fronte ad una simile catastrofe globale sorge in me un unico bisogno essenziale,

che è quello di far emergere la responsabilità personale dell’uomo e la sua disponibilità ad un’offerta spirituale”.

(Andrei Tarkovskij)

Sacrificio (Offret), fotogramma.

Dallo scoppio del conflitto in Ucraina è passato un anno. Restituendo complessità al dibattito, non radicalizzando ne’ identità e posizioni ma insistendo sulla ricerca di prospettive di pace, l’arte anche in questo potrebbe dare suggerimenti di cui la politica potrebbe trarne benefici almeno sul piano della dialettica. Un tema questo di estrema importanza, sebbene la “cancel culture” in corso, innescata dalla guerra nei confronti della la cultura russa, sembra purtroppo non voler risparmiare neppure i suoi più autorevoli esponenti vissuti lo scorso millennio. Eppure parole – come quelle sopra riportate – sono autorevoli e di estrema attualità’ – un monito su cui riflettere, da qualsia parte le si vogliano leggere, nonché sintesi del “patrimonio” intellettivo espresso dai films del grande regista russo (1932-1986). Egli era infatti convinto che al cinema realtà e sogno, possedendo entrambi il medesimo grado di visibilità, abbiano la capacita’, attraverso il continuo alternarsi dei due ruoti, di far comprendere che in ogni istante si possono sovvertire le leggi non solo del senso comune ma anche di ciò che crediamo di vedere, nonché di far emergere l’essenza dell’io e dell’essere allo scopo di far riavvicinare l’uomo a quella “spiritualità” che, se non ritrovata in tempo, lo porterà alla catastrofe.

Per queste sue caratteristiche di uomo e artista possiamo riconoscere in Tarkovskij le figure di: “profeta”, “stalker”   e “bambino”. Il “profeta” (come il poeta) e’ quello di Puskin il cui destino ha dato in sorte il terribile dono di predire il futuro. Un dono crudele poiché vi è in se’ l’inesorabile congiuntura con la sofferenza. Lo “stalker” (dal verbo inglese to stalk, muoversi furtivamente) e’ quello dell’omonimo film del 1979 in cui i protagonista crede che l’umanità stia andando verso la morte perché ha smarrito i valori dello spirito. Il “bambino”, protagonista in molti suoi films, e’ una creatura che, anche se vittima del mondo degli adulti, e’ consapevole del bisogno di credere nella fede per poter salvare il mondo.

Ed e’ proprio il bambino uno dei due protagonisti principali del Sacrifico del 1986. In una remota isola svedese lui ed un uomo stanno innaffiando un albero secco che hanno appena piantato in terra. Secondo un’antica leggenda il tronco, se curato con amore, rifiorirà. Il fanciullo non parla perché reduce da una delicata operazione alla gola. L’uomo e’ Alexander suo padre. Egli e’ un attore teatrale in pensione. Oggi e’ il suo compleanno. La moglie, il medico di famiglia e il postino – suoi unici amici – si preparano a festeggiarlo. Ma la spensieratezza del momento è turbata da un improvviso rombo nel cielo e dai notiziari che, annunciando lo scoppio di una guerra atomica suggerisce alle persone di rimanere dove ci si e’: “Il miglior posto, il posto più sicuro della terra, adesso, è dove vi trovate”.  Cosi’  Alexander si rinchiude nella sua abitazione insieme alla sua famiglia ed i suoi ospiti, rimuginando sulla sua fede e sul significato dell’esistenza. Afflitto dalla disperazione, l’uomo si ritira in preghiera. E’ disposto ad un sacrifico per poter mutare il corso degli eventi e risparmiare l’umanità. Il sacrificio pero’ reclama la rinuncia dei valori più cari – la fedeltà coniugale, l’intimità dei ricordi, la casa. Creduto improvvisamente colto dalla follia l’uomo viene portato via in ambulanza. A questo punto il bambino comincia a parlare, ai piedi dell’albero, mentre la casa brucia.

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Sacrificio (Offret), fotogramma.

La “casa” e’ uno dei tre elementi chiave della concezione spaziale che Tarkovskij esprime nei suoi film. Gli altri due sono la “acqua” (materia primordiale) e il “labirinto” (i percorsi della vita). La loro interazione definisce la completezza del mondo pensato dal regista. L’acqua è la materia che ti permette con la sua trasparenza di farti vedere il fondo (la realtà); ma può essere anche “specchio” che riflette e che ti fa guardare dentro te stesso (la verità). Il labirinto e’ il “percorso” obbligatorio per giungere alla verità. Cercare la verità significa seguire le esigenze spirituali dell’uomo, Il “pensiero” ipogeo che non ti porta direttamente alla soluzione ma allo smarrimento e al mistero dell’enigma, necessari per farti ritrovare te stesso e la “spiritualità” perduta.

Contrapposta al “labirinto”, in cui ci si perde, la casa è invece il luogo in cui ci si può ritrovare. Essa rappresenta il “centro” del mondo (Sacrificio), ma anche il rifugio della memoria/madre (Lo specchio, 1975) e della melanconia (Nostalghia, 1983). E’ pero’ uno “spazio” vulnerabile, fragile, insicuro, tanto effimero da perdere la capacità di accogliere e proteggere; un solido aperto che – anche se chiuso – non contiene. E’ una “scatola” fatta di fori (porte e finestre) che ti permettono di guardare attraverso, di passare da una stanza all’altra, di entrare ed uscire. E’ la “costruzione” dell’uomo fatta con materiali che una volta sgretolatosi diventano terra, e tornano natura (Stalker, Il Sacrificio, Nostalghia), ritrovando l’espressione della civiltà che ridiventa materia, all’interno dell’eterno ciclo della polvere. In questo modo il fuoco purificatore diventa il mezzo necessario attraverso il quale passare dal tormento del reale alla nuova limpidezza dello spirito che ti rende libero. E’ per questo che “Il miglior posto, il posto più sicuro della terra, adesso, è dove vi trovate”.

Sacrificio (Offret), fotogramma.


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