Kibera, lo”insediamento di transizione” dove la “architettura radical-chic” ha vita breve

© mapkiberaproject I Collocazione di Kibera all’interno della mappa dei ghetti di Nairobi e mappatura dei suoi tredici villaggi (dal sito www.mapkiberaproject.org).

Vivere in una baraccopoli e’ la condizione urbana di circa un miliardo e mezzo di persone nel mondo; vivere in questa condizione e’ il “fattore urbano” di ben il 60% della popolazione di Nairobi, di cui il distretto di Kibera (nella periferia meridionale della capitale keniana) ha il primato di essere tra i dieci ghetti più estesi del pianeta (con un’estensione di 2,5 chilometri quadrati per circa 1 milione di abitanti) nonché il più grande di tutta l’Africa. “Kibera” significa “foresta” in lingua nubiana, dal nome dei soldati sudanesi in pensione che vi si stabilirono per la prima volta nel 1912. I soldati servirono il governo coloniale britannico e ricevettero la terra come pensione per i loro servigi. L’insediamento è composto da 13 villaggi, secondo i dati del Kenya Population and Housing Censuns stilati del 2009.

© Iwan Baan I Vista aerea della Kibera Hamlets School.

Attorno a questo abitato iniziarono ad affluire anche altre persone. Cosi’ negli anni ’30 l’amministrazione della città revocò temporaneamente tutti i permessi abitativi e chiese agli abitanti – li’ stanziati – di dare prova della loro discendenza nubiana per poter ottenere il diritto a risiedervi. Sebbene venne vietata l’edificazione di costruzioni in mattoni od in cemento a chi non avente diritto, l’area si trasformo’ progressivamente in una baraccopoli al punto che già nel lontano 1948, a causa del degenerare delle condizioni igieniche e sociali, si penso’ di avviare un ‘azione di smantellamento del getto. Questa intenzione non fu mai portata a compimento, e la popolazione di Kibera continuò a crescere fino a raggiungere una vera e propria esplosione demografica a partire dagli anni ’70 per arrivare ad oggi con i numeri elevati sopra esporti.

© Selgas Cano + Helloeverything I Progetto del padiglione per il Louisiana Museum di Copenaghen.

Kibera è caratterizzata da condizioni di affollamento, mancanza di servizi igienici, problemi di smaltimento dei rifiuti, inondazioni regolari ed elevati tassi di disoccupazione e criminalità. Tuttavia, nonostante queste condizioni sfavorevoli di tipo ambientale, sociale ed economiche, Kibera ha anche molti vantaggi: un forte tessuto sociale, un ampio attivismo comunitario ed imprenditoriale. Qui solo il 10% degli abitanti sono proprietari e molti di questi possiedono più baracche che affittano ad altri inquilini. Tra questi “privilegiati” troviamo i discendenti nubiani (di fede mussulmana) e le persone di etnia Kikuyu, la tribù di maggioranza a Nairobi, anche se non vivono lì. Il restante 90% dei “residenti senza diritti” è costituito da gruppi provenienti dalle aeree occidentali del Paese: Luo, Luhya e Kamba. A causa delle condizioni di vita, nella baraccopoli ci sono molte tensioni tribali – in particolare tra i Luo e i Kikuyu – che spesso sfociano in rappresaglie e disordini che si acuiscono sotto le elezioni, delle quali le ultime saranno il prossimo Agosto.

© Selgas Cano + Helloeverything I Piante della Kibera Hamlets School.

Qui una “casa” media ospita otto persone e misura solo 13 mq, Si tratta di moduli costruiti con muri di fango o lamiera, coperti da tetti in onduline e pavimentati in cemento se non addirittura con terra battuta. Queste unita’ sono sprovviste di servizi igienici, ed una stessa latrina può essere condivisa anche da una cinquantina di baracche. Solo il 20% del distretto è provvisto di elettricità; e fino a poco tempo era completamente sprovvisto di acqua, che solo recentemente viene fornita da due condotte fornite dall’azienda comunale e dalla Banca Mondiale. Si stima che circa tre quarti degli abitanti della baraccopoli abbiano meno di 18 anni.

Se teniamo conto che nel ghetto solo un quarto degli studenti frequenta scuole “ufficiali”, l’ambito d’intervento di organizzazioni come la Kibera Hamlets non è certo facile. L’istituzione, fondata nel 2004 inizialmente come squadra di calcio da giovani del luogo, assiste più di 150 tra bambini ed adolescenti svantaggiati provenienti da contesti difficili: il 65% dei quali sono orfani e il 10% sieropositivi. Il suo programma e’ orientato ad iniziative di tipo educativo e scolastico a diversi livelli (scuola materna, primaria e secondaria), che è supportata da un programma di borse di studio finanziato attraverso contributi e donazioni. Nell’ambito di queste attività si inserisce il progetto per la Kibera Hamlets School nato nel 1916 dalla collaborazione tra il Louisiana Museum, gli studi di architettura SelgasCano di Madrid e helloeverything di New York, l’architetto keniota Abdul Fatah Adam, il fotografo Iwan Baan e la Second Home di Londra.

© Iwan Baan I Vista interna della Kibera Hamlets School.

Il progetto consiste in un padiglione originariamente realizzato come ambiente museale allestito nel giardino del Louisiana Museum di Copenaghen per ospitare una mostra sull’Africa. Concepito per diventare un “prototipo” in grado di viaggiare e’ stato smontato, imballato e spedito in un container per poi essere rimontato a Kibera per sostituire una scuola fatiscente. Il nuovo edificio, di 150 mq di superficie, e’ caratterizzato da otto aule, oltre a nuovi uffici, servizi igienici ed un angolo cottura. Le classi sono su due livelli collegati da due ampie scale in legno che possono fungere anche da platea. Una fila di contenitori di plastica riempiti d’acqua servono ad ancorare il traliccio metallico al suolo.

La strutturata è realizzata con ponteggi metallici su cui sono ancorati i divisori interni fatti con pannelli in truciolato e le lastre in policarbonato traslucido utilizzate per formare le partizioni esterne ed il tetto. Questo materiale e’ stato scelto per rimpiazzare la lamiera corrugata tipica di tutti gli “insediamenti temporanei” compresi dentro la fascia tropicale del pianeta. Il policarbonato ha pero’ una durata di conservazione di circa 10 anni contro i 50 anni della lamiera. Inoltre, chissà se avere tutto l’involucro traslucido sia addice alle caratteristiche climatiche di quest’area geografica? In caso di sostituzione dei pannelli, e’ facile trovare questo materiale in loco; e quanto cosa? Sono state considerate le sollecitazioni del vento ed eventualmente quelle telluriche? Come l’acqua piovana viene drenata? Il silenzio in questi anni da parte dei media nei riguardi dell’operazione, sembra far pensare che questa “architettura radical-chic” – costata circa 25.000 sterline – non abbia raggiunto quegli obiettivi a lungo termine necessari per farla diventare un modello di successo da adottare in contesti simili.

© Kounkuey Design Initiative I Mappa degli 11 progetti all’interno di Kibera.

Operazione decisamente più duratura ed efficace e’ quella avviata nel 2006 dall’organizzazione no-profit Kounkuey Design Initiative (KDI) che da allora sta lavorando con i gruppi della comunità di Kibera per concepire, raccogliere fondi e costruire i Kibera Public Space Projects (KPSP), una rete di 11 spazi pubblici d’aggregazione e servizi per la comunità. Fondata da sei studenti di Harvard Design provenienti da tutto il mondo, tra cui il co-fondatore keniano Arthur Adeya, KDI è crescita dopo il loro primo progetto ed oggi e’ una presenza consolidata a Nairobi. “Kounkuey” significa “conoscere intimamente” e riflette un approccio che punta al miglioramento della vita delle comunità locali e al soddisfacimento delle loro esigenze fisiche, sociali ed economiche primarie. Forte di un team che oggi coinvolge 40 persone, lo studio ha uffici non solo a Nairobi ma anche a Stoccolma, Los Angeles e North Shore negli Stati Uniti.

© Kounkuey Design Initiative I KPSP07. Pianta e vista del sito.

Ciascuno dei progetti è correlato alle esigenze specifiche del quartiere che lo circonda. La differenza è immediatamente percepibile percorrendo gli ampi camminamenti lastricati, dall’apertura di profondi canali di scolo e dalla creazione di aree con funzione pubblica che animano lo squallore deprimente delle baracche. Gli spazi pubblici sono intrinsecamente funzionali e multiuso, comprensivi di giardini, parchi giochi, strutture sanitarie, educative e di servizi. Il più grande degli progetti fino ad oggi completato (2015), il KPSP07, comprende una lavanderia pubblica presso il fiume Ngong adiacente ad uno spazio ricreativo per bambini che col tempo e’ diventato un luogo d’incontro e socializzazione.

© Kounkuey Design Initiative I KPSP10. Pianta e vista del sito.

Il processo per sviluppare ogni sito nella rete KPSP è completamente collaborativo, attraverso la sinergia tra le competenze locali e le risorse tecniche ed economiche disponibili. KDI lavora con i gruppi della comunità per progettare i componenti costruiti di ogni luogo attraverso un sistema iterativo di workshops. Allo stesso tempo, i residenti acquisiscono abilità gestionali e sviluppano programmi utili al mantenimento delle attività vitali della comunità. I siti KPSP sono centri di scambio culturale, attività economica e risanamento ambientale. Forniscono acqua, servizi igienici e di lavanderia e riducono il rischio di inondazioni attraverso aree verdi che facilitano il drenaggio delle acque. I programmi gestiti dai residenti, molti dei quali guidati da donne e giovani, generano entrate in grado di autogestirsi ed aumentare le competenze. La rete di progetti continua a crescere e con essa la resilienza socio-economica di Kibera.

© Kounkuey Design InitiativeAttività partecipativa della comunità di Kibera.

 

 

 


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