A Dar la foresta in cemento di Kariakoo e’ ancora più sostenibile della “giungla in vetro” del Capitale

«Il Brutalismo cerca di fronteggiare la società della produzione di massa traendo una rude poesia delle forze potenti e confuse che sono in giro. Finora si è discusso del brutalismo stilisticamente, ma la sua essenza è etica».

(Thoughts in progress: the New Brutalism, in “Architectural Design, 1957)

© arcomai I Vista del Mercato di Kariakoo.

Tra il secondo dopoguerra e i primi anni ’80 si sviluppa una tendenza architettonica – nota col termine “Brutalismo” – che, criticando/superando il Movimento Moderno, proponeva un’architettura plastica, tettonica, a volte monumentale e scultorea, caratterizzata dall’impiego massivo del cemento armato a vista (béton brut). Sebbene si sia soliti ricordare esperienze europea (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Unione Sovietica, …), asiatiche (Giappone, India, …) o americane (USA, Brasile, …), anche in Africa (Ghana, Nigeria, Tanzania, …) vi sono ancora testimonianze eccellenti – che fanno capo a questo movimento architettonico – su cui soffermarci, e non solo sul piano prettamente estetico. Esempio unico nel suo genere e’ il Mercato (ancora funzionante) di Kariakoo a Dar es Sallam (capitale della Tanzania fino al 1961) progettato da Beda Amuli nei primi anni ’70, quindi in pieno periodo “brutalista”. Il complesso e’ nel suo genere tra i più grandi della città. Si trova nel quartiere di Ilala (uno dei tre distretti in cui è amministrativamente suddivisa la città-regione di Dar es Salaam) in un lotto rettangolare tra Nyamwezi Street, Tandamuti Street, Mkunguni Street e Swahili Street. Sebbene l’edificio abbia solo 50 anni, l’area su cui grava era già diventata strategica per lo sviluppo della città un secolo fa.

© arcomai I Vista del Mercato di Kariakoo.

Nel 1914, l’amministrazione tedesca acquistò l’area di Kariakoo da un uomo d’affari di nome Schoeller allo scopo di trasformarla in una township per la popolazione locale, in linea con la politica di segregazione razziale che stava entrando in vigore anche nell’Africa Orientale Tedesca. Schoeller vendette poi l’area al governo al prezzo di 500.000 rupie che successivamente inizio’ ad urbanizzare. Nello stesso periodo venne creato un mercato; l’avvento della Prima Guerra Mondiale, tuttavia, ne fece rimandare l’apertura. Nel 1916, quando gli Inglesi conquistarono Dar es Salaam, insediarono li’ i propri depositi di rifornimenti. Fu proprio in questi anni che la zona acquisì l’appellativo di “Kariakoo”, nato dalla deformazione del nome dell’ente che gestivano l’area, i “Carrier Corps”. Quando questa lascio’ l’attività, il mercato entro’ in funzione nel 1923 anche se da li’ a poco subi’ un forte degrado. Agli inizi degli anni ’70 il consiglio comunale di Dar es Salaam penso’ di costruirvi nella medesima area un nuovo mercato. Il giovane Beda Amuli fu convocato per un colloquio dall’ufficio tecnico della città al quale lui presento’ alcuni schizzi di un progetto pertinente a quella funzione, elaborato quando lui era ancora studente in Israele. Dopo aver convinto gli addetti dell’ufficio che il nuovo complesso sarebbe dovuto essere realizzato da un progettista locale, il giovane architetto produsse alcuni schizzi di studio che in seguito lo aiutarono a prendere la commessa.

L’idea concettuale fu ispirata dal tradizionale mercato africano che solitamente si sviluppa sotto gli alberi. I tecnici sembrarono convinti della professionalità del giovane architetto e, poiché volevano che il progetto andasse avanti speditamente, affidarono la realizzazione alla ditta di costruzioni MECCO Ltd (Mwananchi Engineering and Contracting Company Limited) senza indire una gara d’appalto. La parte strutturale fu elaborata dallo studio d’ingegneria GMP (Gordon Melvin & Partners) che sviluppo’ l’elemento strutturale a forma di “albero” come da indicazioni del progettista – che lo aveva concepito come un’iperbole parabolica. La costruzione inizio’ nel 1972 e si concluse due anni dopo.

© Google Earth I Foto aerea del Mercato di Kariakoo.

L’immagine del complesso e’ sicuramente forte per la rudezza del cemento a vista che da’ al mercato un’apparenza di cattedrale gotica, ma e’ anche la testimonianza di un tempo in cui quel materiale rappresentava ancora (negli anni ’70) un simbolo di modernità. Sebbene il cemento sia visivamente pesante e monotono, Beda Amuli lo ha usato interamente creando elementi giganti ma leggeri al tempo stesso a generare al suo interno uno spazio dalle forme plastiche che ne esalta la forza della struttura aggiungendo, pero’, anche un senso di levitazione nonché la sensazione di trovarsi non dentro un edifico ma all’interno di una foresta. Questi “alberi” dall’apparenza grezzi sono modellati con eleganza secondo una narrativa visiva di forte vigore architettonico. Insieme formano una fitta selva il cui volume da’ ombra al suo interno mentre all’eterno ne crea un’altra che durate il giorno gira riparando dal sole le attività commerciali attive attorno al complesso. Per questi esercizi, e insieme al fatto che non lontano da qui c’era fino a pochi anni fa un’importante stazione di autobus – poi sposta a Ubungo nell’area occidentale della città – Kariakoo e’ diventato negli anni – e rimasto ancora oggi – un catalizzatore urbano per Dar es Salaam e forse per tutto il paese, visto che li convergono molte delle risorse prodotte nel paese.

© arcomai I Dettaglio interno della sistema di copertura ad “alberi di cemento” del mercato di Kariakoo.

L’edificio non e’ solo una testimonianza eccezionale di architettura “brutalista” (made in Africa) ma anche un esempio di design sostenibile in anticipo di decenni rispetto alle correnti di pensiero contemporanee. La copertura, infatti, e’ formata da 24 (4×6) elementi a forma di imbuto che, sorretti da esili colonne cave, permette all’acqua piovana di essere raccolta e immagazzinata in un serbatoio sotterraneo. Il vuoto tra il tetto e il volume del complesso permette la ventilazione naturale (orizzontale) necessaria all’attenuazione degli effetti dell’umidità e calore. Questi elementi (tutti uguali) sono raggruppati secondo due corpi: uno perimetrale di 16 “alberi” e uno centrale di 8 che pero’ sono più alti di circa un metro rospetto a quelli esterni. Questo gap tra le due coperture ha la funzione non solo di facilitare l’espulsione del calore in senso verticale ma anche l’emissione dei rumori e voci prodotti dl pubblico.

Prospetto e sezioni del progetto originario (fonte: Istagram),

Il mercato e’ gestito dalla Kariakoo Market Corporation che vorrebbe rimodellare il complesso perché non più adatto ai tempi in termini di economie e funzionalità. Lo farebbe con il coinvolgimento del governo centrale chiedendo una partecipazione per l’ammodernamento ed integrazione delle infinestrature dell’area. Attualmente le ditte che vendono all’interno dello stabile sono principalmente all’ingrosso e legata all’industria dell’agricoltura e dell’allevamento – e quindi non al commercio al minuto. Ciò vuol dire che il volume di avventori che giornalmente accedono all’area di Kariakoo si rivolgono alle attività commerciali esterne al mercato stesso. Negli ultimi anni – per decongestionare l’area – e’ stato costruito il Machinga Complex, un nuovo mercato a 10 km da Kariakoo lungo la viabilità che collega la città a centro del paese; ma senza ottenere il successo sperato. Ciò dimostra che qui ogni intervento di recupero non potrà solo essere di mero restyling ma dovrà considerare un approccio olistico e a scala più urbana (moderno sistema di accessibilità/mobilita’, riequilibrio delle economie gravanti sull’area, arredo urbano, …) senza la pretesa di chiede alle persone di cambiare le loro abitudini per alternative funzionali disconnesse da quei fattori di tipo socio-culturale che le fanno appartenere ad una comunità.

© arcomai I Vista interna del Mercato di Kariakoo.

Nel 2011 in occasione del 50mo anniversario d’Indipendenza della Tanzania, Amuli non nascose pubblicamente il suo disappunto nei riguardi della recente pianificazione urbana, architettura ed industria delle costruzioni. Le sue critiche si rivolsero principalmente contro la distruzione degli edifici storici e la crescente sparizione di spazi pubblici. Contesto’ anche l’atteggiamento degli investitori stranieri che, portandosi dietro i propri progettisti, stavano trasformando parti di città in “glass jungles”, spesso incompatibili con le condizioni estetiche e climatiche locali. “Loro vengo qui per un periodo breve, ma i loro edifici rimangono per lungo tempo”.

Sebbene il “brutalismo” si racconta in maniera diversa a seconda del paese in cui si trova, porta con se’ (dalle sue origini) la voglia di ricostruire e di affrancamento dalla storia – concentrandosi sull’architettura civile ma anche su chiese, scuole e case popolari con la finalità di ritrovare il senso di appartenenza e di aggregazione. Per questo motivo lo troviamo sopratutto in edifici per la collettivista. L’architettura è realizzata pensando agli spazi insieme ai/per i suoi abitanti, e la schiettezza dei suoi materiali veicolano questo messaggio. Non sappiamo i motivi se Amuli si sia avvicinato a questo movimento consapevolmente, di sicuro il suo agire in coincidenza degli eventi storici, che portarono nel 1961 alla indipendenza del paese dall’impero britannico, fa di questo complesso un monumento alla libertà.

© arcomai I Vista del Mercato di Kariakoo.

Beda Jonathan Amuli (1938-2016) nasce nel villaggio di Machombe nella regione di Mtwera, capitale della Regione di Mtwara nel Sud-Est della Tanzania non lontano dal confine col Mozambico. Fu il primo architetto ad essere registrato nel suo paese (1966) nocche’ successivamente in Kenya, Uganda e Zambia. Nel 1966 apri il suo studio in Tanzania e nel ’73 in Kenya. Fu anche presidente della Associazione degli Architetti della Tanzania, di cui fu membro molto attivo. Al secondo anno di università presso il Royal Technical Collage of East Africa in Nairobi (Kenya) ottenne una borsa di studio al Techinion (Techical Israel’s Institute of Technology) ad Haifa (Israele). Beda era l’unico studente africano in un corso di 4000 studenti. Durante l’estate del quarto anno di studi lavoro’ presso Zevet Intenational Architects (Tel Aviv). Fu questo studio che lo invio’ nell’ottobre del 1964 (a conclusione degli studi) a Dar es Salaam per seguire i lavori (come associato) del Kilimanjaro Hotel, commissionato allo studio israeliano. Per loro segui altri progetti importanti fino al 1969 quando, a causa di alcune discrepanze coi soci, decise di dare le dimissioni ed aprire un proprio studio a Dar es Salaam e poi nel 1973 a Nairobi in Sunglora House. Questo ufficio chiuse nel 19782 a causa della rottura delEast Africa Community.


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