Le “muratrici” di Hanoi alla mattina si alzano prima delle “architettirci” di Milano e non solo per motivi di fuso orario

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© arcomai I Copertine a confronto: Casabella 732 e Parametro 257.

Credo di stare invecchiando. Lo sento e so che devo farmene una ragione. Non e’ questione di fisico: faccio una quarantina di chilometri di corsa alla settimana, per ora riesco a fare qualche ripresa al sacco senza tanta fatica, e salto ancora la corda come un “ragazzino”. Sono piuttosto i cambiamenti d’umore. Sto inoltre diventando intollerante e penso sovente al passato; o meglio, mi affiorano per la mente sempre più spesso e in modo disordinato episodi, frasi ed azioni avvenute anche oltre una ventina d’anni fa. E’ grave? O e’ tutto nella norma? Ricordo addirittura con un po’ di nostalgia il servizio militare; ed oggi sono convinto che debba tornare “obbligatoriamente” anche per le ragazze. Del periodo universitario rammento le aule affollate, gli scioperi, le notti passate sul tecnigrafo ascoltando Radio Monte Carlo. Altri tempi. Altro mondo.

Come da un altro mondo veniva il relatore della mai tesi, il Prof. Rino Vernuccio. L’architetto (classe 1925) oltre ad essere uno stimatissimo professionista, era prima di tutto un “uomo gentiluomo”: educato, colto, pacato, sempre disponibile con una grande passione per il mare. Solo una volta lo vidi “incazzato”. Uno studente a revisione lo fece infuriare al punto che in un atto d’ira prese disegni e plastico del ragazzo e lancio’ tutto dalla finestra. Eravamo in una stanza all’ultimo piano della sede della facoltà all’Accademia (Firenze). Ricordo benissimo che ciò che lo fece arrabbiare non fu tanto la scarsa qualità del materiale prodotto, ma le scemenze detta a supporto di quel materiala. Per il professore era sostanziamene una questione di linguaggio.

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© arcomai I Muratrice al lavoro in un cantiere nel centro di Hanoi.

Da un po’ di tempo a questa parte, noto (a distanza) che in Italia la nostra lingua sta subendo alcune profonde trasformazioni lessicali. A parte le inevitabili contaminazioni linguistiche, dovute alle tecnologie emergenti o a nuovi costumi della società “allargata”, mi accorgo, leggendo i giornali online, che e’ in atto un processo di “genderizzazione” delle professioni che – guarda caso – interessa solo quelle più “nobili”, in passato esercitate solo dagli uomini. Cio’ avviene secondo un procedimento piuttosto semplicistico, per il quale si crede che ’emancipazione delle donne si realizzi semplicemente  sostituendo l’ultima lettera del proprio titolo professionale con la vocale A. Quindi, oggi si può trovare scritto o sentire alla televisione titoli come prefettA, presidentA, sindacA, ministrA, assessorA, ingegnerA, … con evidenti perplessità nei confronti delle intrinseche peculiarita’ fonetiche che fanno dello “Italiano” una lingua unica per musicalità. Questo percorso di emancipazione linguistica sembra non risparmiare anche le “donne architetto” o le “architetto donne” che rischiano di essere chiamate architettE.

Nel settembre del 2005, in occasione della seconda edizione del Festival dell’Architettura di Parma, fui presente alla presentazione congiunta di due riviste d’architettura dedicate al lavoro delle nostre colleghe: “Casabella 732 + Parametro 257: architettura femminile”. Mentre la copertina di Milano riportava la foto di una donna elegante (forse Lina Bo Bardi) sdraiata dentro una stanza sulla LC4 (di Le Coubusier), quella di Bologna mostrava un collage metafisico con una donna semi nuda al centro di un paesaggio. Il titolo di questo volume era “Architettrici”. Quella parola mi piacque da subito perché andava oltre l’accezione tecnica (arco + tetto) che distingue il nostro titolo professionale. Inoltre con quell’accezione non si può avere la corrispettiva versione maschile. Purtroppo di quel sostantivo sembra che non vi sia rimasta alcuna traccia nel vocabolario contemporaneo, a scapito di quella un po’ “pornografica” sopra riportata.

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© arcomai I Muratrici al lavoro in un cantiere a Semarang (Indonesia).

Mentre la decadenza della nostra civiltà continua inesorabile il proprio corso degenerativo, grazie anche ad un pugno di burocrati annoiati che si scervella nella comodità dei loro salottini di modificare la lingua italiana senza averne titolo, qui in Asia le cose vanno diversamente. E aggiungo, se alcuni miei colleghi del Belpaese non sanno come doversi chiamare tra loro, in Asia non c’è tempo per questo tipo di speculazioni. Dalla Cina all’Indonesia, dalla Malesia alla Thailandia, passando attraverso la Birmania e la Cambogia, milioni di donne sono quotidianamente impiegate nelle costruzioni, nell’agricoltura e nell’industria, formando il nocciolo duro delle economie dei rispettivi paesi. Sono loro le vere eroine “invisibili” di questo mondo politically correct. Ci auguriamo che un giorno ottengano il rispetto e il riconoscimento che si meritano, senza dover necessariamente passare attraverso i complessi e contraddizioni delle società occidentali. Nel mentre, nei cantieri asiatici continuiamo a chiamarle “brickies”, termine non dispregiativo che se in Italia ci fosse bisogno di tradurre – in caso vi siano donne che per diverse ragioni si trovassero a lavorare nelle costruzioni – noi suggeriamo il titolo di “muratrici”, per evitare da subito un improbabile plurale di muratorA che – oltre a suonare alquanto male – tornerebbe ad essere un sostantivo maschile.

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© arcomai I Muratrice al lavoro in un cantiere a Bali (Indonesia)..

Qui in Vietnam circa il 72% delle donne fanno parte della forza lavoro nazionale, come riportato dalla International Labour Organisation delle Nazioni Unite, facendo di questa percentuale la più alta al mondo. Sebbene, tra il 2012-2013, il Vietnam sia stato uno dei pochi paesi dove il divario in termini di rimunerazione salariale tra uomini e donne e’ addirittura aumentato, qui non si segnalano questioni di androcentrismo linguistico. In particolare, nel settore edile le donne sono spesso impiegate per lavori di manovalanza come: rimozione dei materiali di risulta, spalatura della sabbia, sollevamento di mattoni, posizionamento delle barre per armature ed assemblaggio di ponteggi. E poi, dopo un lungo giorno di lavoro, la maggior parte di loro torna a casa per coprire i panni della madre/moglie; a parte quelle che hanno deciso di andare a lavorare in città, vivendo spesso in condizioni disagevoli, per poter mantenere la propria famiglia a distanza. Ciò naturalmente avviene anche per quelle donne che lavorano in ufficio, nelle scuole, nelle fabbriche.

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© Daniel Londono I Brickie” all’opera nel cantiere dell’Ambasciata Australiana a Bangkok.

Dal Vietnam alla Thailandia. In un breve articolo dal titolo “Bangkok Brickies”, pubblicato sul sito dello studio australiano BVN, che ha progettato la nuova Ambasciata Australiana a Bangkok, si segnala la presenza di “muratrici” in cantiere. L’edificio, che e’ in via di completamento, si caratterizza per avere una lunga facciata curva in mattoni alta cinque piani. La ditta appaltatrice, Bouygues Thai-VSL Australia, impiega attualmente 600 carpentieri, di cui la meta’ sono donne. Poiché l’industria delle costruzioni tailandese ha poca esperienza con questo tipo di facciate, sono stati inviati dal sud dell’Australia tre “bricklayers” (muratori maschi) per addestrare gli operai e supervisionarne il lavoro. Uno di loro, Matt Cheso, tende a precisare con orgoglio che la meta’ del suo team e’ composto di donne, per le quali nutre una gran stima poiché queste si distinguono dai colleghi maschi per una innata capacita’ realizzativa, dovuta sia all’attenzione ai dettagli che ad una profonda volontà di apprendimento. “On site” i problemi di tipo linguistico e culturale (tra australiani e tailandesi) vengono superati con la cooperazione ed rispetto reciproco.

Vernuccio era solito ricordare a noi studenti l’importanza sociale, civile e culturale del cantiere. All’epoca non si parlava di “integrazione” con la disinvoltura con cui se ne fa uso oggi, anche se il nostro paese era stato per anni la “palestra nazionale” per molti connazionali migrati al nord e successivamente “terra d’invasione” per disperati provenienti dall’est europeo, ma di formazione e consolidamento di valori comuni attraverso il rispetto e la collaborazione di tutti. Li’ chiunque e’ ben accetto, basta che sia dispostO/A a sporcarsi le mani. Le chiacchiere lasciamole ai burocrati.

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© Daniel Londono I Particolare e vista della facciata della nuova Ambasciata Australiana a Bangkok progettata dallo studio australiano BVN.


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