La “modernità incompiuta” secondo Jean-Louis Cohen

20140614_01

Il padiglione francese: “Modernità:? Promessa o minaccia”.

LA MODERNITE’: PROMESSE OU MENACE? La Modernità: Promessa o Minaccia? è il titolo del padiglione francese alla 14. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia scelto dal suo curatore, Jean-Louis Cohen, il quale propone una propria lettura critica del percorso dell’architettura francese verso la modernità, rispondendo in modo altrettanto acuto al tema “Absorbing Modernity: 1914-2014”, assegnato ai padiglioni nazionali da Rem Koolhaas, direttore di questa edizione della Biennale. L’architetto e storico dell’architettura francese con intelligente maestria mette in discussione le false illusioni di una modernità fondata sull’ideologia del comfort, dell’ottimismo, dello sviluppo e dell’omologazione, riportandoci ad una dimensione più complessa che in un secolo di eventi non e’ riuscita sempre a realizzare appieno le aspirazioni di una società in profondo mutamento di identità. Cohen ha costruito la mostra dividendola in quattro sale, ognuna identificata da un proprio titolo – che poi e’ un quesito – lasciando al visitatore la possibilità’ di interrogarsi ed elaborare un proprio punto di vista sull’architettura del 20° secolo. “La Modernità: Promessa o Minaccia?” e’ anche il nome del film proiettato simultaneamente in tutte le quatto sale del padiglione. Ideato da Teri Wehn Damisch, la pellicola raccoglie documentari d’archivio, cinegiornali d’epoca e spezzoni di pellicole di Jacques Tati e Jean-Luc Godard.

20140614_02

© arcomai l Il padiglione francese: “Modernità:? Promessa o minaccia”.

Nella sala centrale “Jacques Tati e Villa Arpel: Oggetto del desiderio o della macchina ridicola?” sono proiettate scene della pellicola Mon oncle (Mio zio, 1958) scritto, diretto e interpretato da Jacques Tati. Protagonista del film e’ lo stesso set, o meglio la casa “moderna” con giardino dove vive la famiglia Arpel. I signori Arpel, sono persone benestanti ed hanno un figliolo che trascurano: il marito preso della propria attività imprenditoriale, e la moglie dedicata a tempo pieno alla gestione della villa. In questo contesto familiare appare frequentemente il fratello della signora Arpel, lo zio Hulot, per il quale il ragazzo mostra una predilezione poiché questi lo farà uscire dalla monotonia della vita quotidiana, dove tutto è già previsto perché si ripete automaticamente. Questa casa – in cui ogni cosa e’ connessa (“tout communique”) – invece di facilitare la vita dei suoi occupanti, sembra uscire dal loro controllo. L’idea originaria della casa, ideata dal pittore (e amico di Tati) Jacques Lagrange e raffigurata dagli schizzi esposti in mostra insieme ad un plastico in scala 1;10, nasce dalla fantasia creativa di dell’artista che si inspiro’ ad una dimensione abitativa ultra-tecnologica, poi tradotta da Tati in “parodia della modernità” mostrando la vacuità della vita idealizzata sull’automazione e consumismo.

20140614_03

© arcomai l Il padiglione francese: “Modernità:? Promessa o minaccia”.

La seconda sala, intitolata:”Jean Prouvé: Immaginazione costruttiva o utopia?”, sono esposti alcuni prototipi  di facciate metalliche leggere che l’architetto francese progetto’ e mise in produzione. Prouvé (1901-1984) si  definì sempre un “costruttore” piuttosto che architetto, ingegnere o artigiano. Nella sua lunga carriera lavoro’ non solo con archetti del calibro di Robert Mallet-Stevens, Marcel Lods e Le Coubusier, ma negli anni ’70 ispiro’ la generazione di quelli come Norma Foster, Renzo Piano e Richard Rogers. Per questi ultimi contribui’ all’assegnazione per il concorso del Center Pompidou (1971), di cui era membro di giuria. “Padre fondatore” della prefabbricazione metallica francese, sebbene alcuni suoi elementi vennero applicati ad edifici innovativi come il complesso dell’UNESCO, il CNIT della Défence o la sede del Partito comunista di Oscar Niemeyer, non riceverà adeguata attenzione da parte dell’industria edile francese che, negli anni della ricostruzione, preferirà  sviluppare sistemi di standardizzazione in cemento.  Memorabili sono le le sue lezioni alla Conservatoire des Arts et Métiers di Parigi dal 1958 al 1971, qui documentate.

Nella terza sala “Prefabbricazione pesante: Economia di scala o di monotonia?” si possono vedere i pannelli in cemento progettati dall’ingegnere Reynold Camus per la ricostruzione di Le Havre. Questi elementi costruttivi andranno a sostituire quelli prefabbricati in metallo, sviluppati prima della Seconda Guerra Mondiale, poiché ritenuti più idonei al processo di ricostruzione edilizia del paese, grazie anche allo sviluppo della grande industria francese. Il “brevetto Camus”, che ebbe un grande successo all’estero con il nome di KPD ed in particolare nei paesi del blocco comunista (Germania dell’Est, URSS e Cina), diventerà modello abitativo di omologazione per centinaia di milioni di persone per diversi anni.

20140614_04

© arcomai l Il padiglione francese: “Modernità:? Promessa o minaccia”.

L’ultima sala e’ quella dedicata alla “Edilizia di massa: eterotopia della salvezza, o luogo della reclusione?” dove e’ esposto un modello della Cité de La Muette a Drancy (1934) – città giardino realizzata a Drancy a nord di Parigi nonché primo intervento di grandi dimensioni nella regione ad essere costruito con una struttura portante in metallo e pannelli in calcestruzzo prefabbricati. l complesso, elaborato da Eugène Beaudoin e Marcel Lods insieme agli ingegneri Eugène Mopin e Vladimir Bodiansky, era composto da cinque “grattacieli” di 16 piani ciascuno ed originariamente destinato ad uso residenziale. Per ironia della sorte, fu trasformato nel 1940 in un campo di prigionia durante l’occupazione nazista. In anni a noi più vicini questo modello non ha avuto migliore fortuna generando infelici sobborghi, o banlieues, che sono oggi simbolo negativo di esclusione sociale.

Ponendosi in posizione opposta alla maggior parte degli altri progetti in mostra, questo padiglione si presenta come uno studio meno accomodante e più critico sul tema della modernità senza pero’ enfatizzare le più paradossali contraddizioni di essa. Il curatore usa un linguaggio sintetico, sottile e ironico articolato trascurando forse un po’ troppo le vicende storiche del paese (modernità delle tecniche, dei costumi; delle istituzioni, …) ma anche quelle relative all’architettura: “Beaucoup de choses se sont passées dans ces 100 dernières années”.

 20140614_05

© arcomai l Jean-Louis Cohen ai Giardini della Biennale.

 

 

 


Back to Top