Architectural Zoo without animals

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© arcomai I The Interlace e Sky Habitat.

In un articolo pubblicato la scorsa domenica sul giornale locale The Straits Times, l’architetto Joshua Prince-Ramus – “evaso” nel 2006 da OMA (dopo 10 anni di collaborazione) per fondare insieme ad Erez Ella (altro dissidente OMA) lo studio newyorchese REX – parlando di come secondo lui Singapore sia cambiata dal 2000 ad oggi, ha lasciato intendere che esiste il rischio per questa città di diventare uno “Zoo di Architetture”. Probabilmente si riferiva ai tanti edifici (principalmente residenziali) completati o in via in costruzione elaborati in questi ultimi anni da architetti di fama internazionale come Zaha Hadid, Moshe Safdie, Ben van Berkel, Daniel Libeskind e Ole Scheeren.

Quest’ultimo, altro enfant prodige cresciuto sotto le ali di Rem Koolhaas ed oggi uno dei più noti progettisti al mondo, ha da poco completato (sotto l’egida di OMA) il complesso residenziale The Interlace, da noi recentemente documentato in Le “case” di OMA prendono in giro le “torri” di Singapore. Lo stesso ha firmato con il nome del suo “giovane” studio con sede a Pechino (Büro Ole Scheeren) il progetto per il complesso DUO Residences sulla centralissima Beach Road, il cui cantiere e’ già operativo e si dovrebbe chiudere nel 2017. Si tratta di un intervento edilizio costituito da due torri curvilinee al cui interno vengono ospitati uffici, 660 unita’ abitative ed un hotel a 5 stelle. Concepito come un oggetto autonomo rispetto alla morfologia urbana di Singapore, il concept mostra l’ambizione di diventare matrice per un “nuovo nucleo civico” che pero’ sembra dialogare poco con l’adiacente distretto storico di Kampong Glam.

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The Straits Times, 19/04/2014. L’architetto Joshua Prince-Ramus parla di Singapore.

Daniel Libeskind e’ invece autore del Reflections at Keppel Bay. In Reflections: Le torri piegate dal vento del Pacifico abbiamo sottolineato come quest’opera sia la prima realizzata in Asia dal suo studio nonché la più grande per dimensioni mai costruita dall’architetto polacco naturalizzato statunitense. Esperanza simile e’ quella che si sta materializzando con D’Leedon, un complesso di sette torri (per un totale di 1715 unita’) progettato dallo studio londinese Zaha Hadid Architect. Questo e’ il primo progetto verticale ed ad uso abitativo del noto vincitore del Pritzker Architecture Prize 2004. Il disegno originario e’ senza dubbio lontano anni luce da quello che sia sta definendo in cantiere. Infatti, a causa degli elevati costi di costruzione il cliente ha deciso di sostituire l’originale facciate in curtain wall con una in cemento e infissi in alluminio. Inoltre per la complessità del concept originale il design e’ stato drasticamente rivisitato per facilitare il calcolo del GFA (Gross Floor Area) al punto che le silhouette delle torri hanno perso la loro eleganza apparendo ora tozze e sgraziate. Un’esperienza questa che il progettista farà buon uso in futuro. La modellazione parametrica potrà aiutare ad elaborare forme accattivanti ma sembra essere incompatibile con la “matematica” commerciale del real estate in un paese dove anche pochi centimetri quadrati (moltiplicati per decine di piani) possono un peso economico rilevante se mal distribuiti.

Moshe Safdie e’ di casa qui a Singapore a mio avviso non tanto per il noto Marina Bay Sands (2010) quanto per un elegante edificio purtroppo demolito, lo Ardmore Habitat (1985) e per lo Sky Habitat a Bishan, un condominio in costruzione formato da due torri da 38 piani ciascuna caratterizzate da uno sviluppo a terrazze. A distanza di trent’anni queste due opere hanno in comune solo il nome che ricorda quello ‘storico” dello Habitat 67. Ideato sempre dall’archetto canadese in occasione dell’EXPO di Montreal (Canada, 1967), questo complesso oltre ad essere stato all’epoca antesignano per il sistema costruttivo (prefabbricazione) e per quello distributivo (flessibilità modulare) e’ ancora oggi uno degli esempi più interessanti ed intelligenti realizzati in ambito residenziale su scala mondiale. Infatti oltre a comprendere funzioni residenziali (158 unita’), commerciali e di servizio, in modo da creare una sorta di villaggio urbano formato da case separate ma tra loro servite da strade pedonali esterne, rimane ancora oggi un modello di edilizia economico-popolare che lo Sky Habitat sembra voler scimmiottare senza pero’ riuscire a raggiungere quel livello d’innovazione e ricerca.

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© arcomai I D’Leedon e Sky Habitat, dettagli delle facciate.

Ben van Berkel (UNStudio) e’ invece impegnato nella realizzazione della Scotts Tower dopo aver recentemente completato (in collaborazione con lo studio locale Architects A61) The Ardmore Residences. Questa torre di 36 piani ospita appartamenti ispirati al ‘living landscape’, cioè ambienti versatili in cui gli occupanti possono godere di spazi indoor-outdoor ottenuti da ampie finestrature e balconi a doppia altezza, ampliando cosi’ la percezione spaziale degli interni e consentire i collegamenti visivi tra i diversi ambienti. La Scotts Tower sembra seguire la stessa filosofia compositiva volta ad aumentare la quantità di luce diurna e sfruttare appieno le viste panoramiche rigorosamente rivolte a mare, baie, parchi e colline. Joshua Prince-Ramus forse non sbaglia a vedere Singapore come una sorta di “Architettural Zoo”. Di certo – grazie all’incoscienza calcolata del real estate – architetti famosi ma con poca esperienza (in termini di scala e alta densità abitativa) possono qui imparare a progettare case.

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© arcomai I D’Leedon e Reflections at Keppel Bay.


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