Red, orange, green and yellow: la cromoterapia urbana applicata al Central St. Giles cambiera’ lo spirito della citta’

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 © arcomai l Viste del Central Saint Giles da St Giles High Street.

Ci siamo quasi. credo proprio che sia questione di giorni per l’inaugurazione del nuovo complesso multifunzionale di Central St. Giles, situato nel borough di Camden, a pochi passi dal Centre Point, grattacielo in vetro e cemento disegnato da Richard Seifert e Pell Frischmann alla meta’ degli anni ’60 che con i suoi 117m di altezza segna l’inizio dell’asse commerciale che lungo Oxford Street si snoda fino a Hyde Park. Ci sono passato anche oggi e ho notato che pure la seconda delle due statue situate in corrispondenza degli nuovi accessi su St Giles High Street e’ stata svelata.

Il Central Saint Giles – ideato da Renzo Piano Building Workshop in collaborazione con Fletcher Priest Architects e finanziato dalle due società immobiliari Legal & General/Mitsubishi Estate Corporation e Stanhope – e’ la prima opera realizzata dall’architetto italiano a Londra. Il secondo cantiere e’ quello del grattacielo oramai noto col nome di The Shard a London Bridge, i cui lavori procedono speditamente. Il progetto del valore di 70 milioni di sterline si sviluppa in una area di 0.63ha e va a sostituire un edificio logistico del Ministero delle Difesa con un complesso di oltre 37.000 mq adibito ad uffici, unita’ commerciali e appartamenti (109 flats tra privati e di edilizia agevolata).

Concepito come un sistema di volumi ad altezze variabili (da 10 a 14 piani), il complesso si distingue per i colori sgargianti dei fronti rivolti alla città’ che danno a questa parte di Londra un’atmosfera indubbiamente insolita e un po’ naïve. Questa scelta compositiva fa di St.Giles una sorta di macchina teatrale su scala urbana articolata attraverso un sistema di quinte sceniche  tinteggiate in rosso, arancio, verde e giallo che grazie al loro diverso orientamento rompono la massa dell’edificio in 13 blocchi apparentemente indipendenti. L’accesso al complesso e’ garantito da cinque nuovi percorsi pedonali – integrati con quelli di Covent Gardner e Bloomsbury – che convergono al centro del lotto in uno spazio a corte in cui si concentrano le attività pubbliche con caffè e ristoranti. Qui le quinte diventano “fronti neutri” che, trattati con pannelli di tamponamento vetrati in grigio e grigio chiaro, rendono questo spazio una sorta di “scatola immateriale” a cielo aperto. Il piano terra e’ occupato da “work lobbies” vetrate per una altezza di 6m che, staccando i diversi blocchi dal piano stradale, favorisce la funzione scenica dei paramenti cromatici e crea spazi porticati che contribuiranno a rendere tinteggiati in rosso, arancio, verde e giallo viva la corte interna a tutte le ore del giorno.

Il nuovo complesso e’ 50% più’ grande di quello precedente, demolito tre anni fa. L’uso intelligente e ironico del disegno scenico non solo contribuisce a ridurre l’impatto visivo dell’intervento snellendone la cubatura complessiva, ma dimostra un atteggiamento compositivo sicuro da parte del progettista che esclude ogni espediente formale teso alla autoreferenzialita’ della forma, o l’uso pacchiano del rivestimento con cladding appariscenti per impreziosire un edificio altrimenti ordinario. A prima vista l’intensità’ dei colori ricorda quella dei giochi per bambini per abituarli a fargli riconoscere oggetti e geometrie semplici, mentre la composizione dei blocchi fa venire in mente la tettonica dei Lego. Questi espedienti hanno l’effetto di rendere più’ “banali” ed economici i moduli di rivestimento che invece sono elementi prefabbricati particolarmente sofisticati per un costo totale stimato oltre i 28 milioni di sterline.

Ci sono tre tipi di facciate in questo progetto: il rivestimento in ceramica in sei colori differenti (prodotto dalla tedesca NBK), le  facciate in “double-glazed“ e quelle “triple fully glazed” situate al nono e al decimo piano del blocco per uffici e nei set-backs tra le pareti colorate in ceramica. Non e’ certo la prima volta che Renzo Piano Building Workshop utilizza rivestimenti in ceramica per i suoi edifici; uno dei piu’ noti e’ senza dubbio la torre a Potsdamer Platz. “It’s really a modern version of brick, and we felt this material would work well with the surrounding buildings,” dice a tal proposito il project architect Maurits van der Staay che continua affermando: “The surrounding brick buildings have a certain depth and we wanted to pick up on that by creating a cladding system with bespoke extrusions that would create different effects – we didn’t want a flat surface”.

Leggo nel Central St. Giles di Piano una citazione al Quartiere Schützenstrassen (1994-1998) di Aldo Rossi, intervento nel quale l’architetto milanese, proiettando sulle facciate la struttura urbana di Berlino, enfatizzava con l’aiuto di colori sgargianti gli edifici dell’isolato come entità’ indipendenti. A Berlino come a Londra la policromia di contrasto dei prospetti rompe la monoliticità’ del blocco edilizio dando l’illusione che vi siano più’ edifici di quanto in realtà’ si vedano. La maestria dei due architetti e’ nello smontare la struttura del luogo per poi ricomporla dando a questo nuova identità’ e spirito. C’è’ un attento studio urbano dietro al progetto di Piano, studio che se riconosciuto dai pianificatori potrebbe dare spunti utili a realizzare interventi intelligenti in una città’ che non riesce ad andare oltre all’edificio in quanto forma. Rossi e Piano, anche se con modalità’ diverse, ci ricordano che un edificio e’ per l’uomo; cosi’ in entrambi le due opere la finestra e’ elemento compositivo primario, unita’ di misura  della scala umana sulla quale viene misurata/proporzionata la costruzione per poi perdersi nell’unita’ del disegno.

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 © arcomai l Viste del Central Saint Giles da St Giles High Street.


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