My house is my castle: contraddizioni e aspirazioni dell’edilizia britannica

Negli ultimi mesi le copertine dei giornali del Regno Unito hanno dedicato ampio spazio al tema del mercato edilizio: il prezzo della casa e’ sceso del 4,4% rispetto ad un anno fa; il numero delle vendite (nello stesso periodo) si e’ quasi dimezzato; e quello di nuove case e’ praticamente sceso a livelli così bassi da toccare quelli del ‘45. L’attuale crisi finanziaria causata dalla irresponsabilità delle banche nella gestione del “mercato dei mutui” (credit crunch), che dopo gli Stati Uniti sta seminando panico in tutta Europa, va a minare, qui in Inghilterra, una crescita edilizia che, anche se a fatica, sembrava in grado di ri-attivare un processo di riforma della città’ britannica.

Una delle ragioni per cui i prezzi delle case in Gran Bretagna si siano alzati così tanto e’  la carenza di nuove case. Il fatto poi che la popolazione sia aumentata di più di 350.000 unità/anno, e con essa la domanda di alloggi per single e coppie, ha contribuito in questi ultimi anni a far lievitare ulteriormente il valore degli immobili. Il rapporto governativo Baker Review of House Supply (2004) ci dice che c’è’ bisogno di almeno 120.000 case/anno, se si vuole portare il prezzo dell’abitazione alla media di quello europeo. Ma il fattore principale dell’anomalia britannica in materia di edilizia, e quindi di sviluppo urbano, e’ da ricercare nel controllo rigido del suolo da parte del governo che attraverso il Town and Country Planning Act del 1947 ha, per decenni, creato aree permanentemente inedificabili dando la possibilità alle autorità locali di circoscrivere le proprie aree comunali con “green belts”, oggi misure di controllo del territorio indubbiamente anacronistiche rispetto alle realtà socio-economiche del dopoguerra. L’effetto di questo programma, insieme alle pressioni esercitate da organizzazioni come la Campaign for the the Protection of the Rural England, rende urbanizzabile solo il 10% del terreno contro il 27,5% della Germania e il 28% dell’Olanda.

Dagli anni ‘50 ad oggi, il mercato ha solo minimamente incrementato la qualità dell’edilizia e la situazione non e’ stata certo aiutata dall’assenza di una legislazione in materia: allo stato (ad l’eccezione della Scozia) non e’ ancora stato fissato alcun standard minimo per regolare le dimensioni dello sviluppo commerciale dell’edilizia. Il fatto che ogni altro paese europeo abbia affrontato la questione della casa sul piano legislativo spiega in qualche modo perché nel Regno Unito si abbia in media il più piccolo spazio abitativo nonché il più basso coefficiente di alloggi costruiti in Europa.

Era la fine degli anni ’70 quando si andava concludendo la lunga fase di ricostruzione del paese. Tale fase coincise con il ritorno dei Conservatori al governo dell’Isola che in materia di politiche sulla casa si presentarono con un programma che diede un evidente supporto alla candidatura ed elezione dell’On. Margaret Thatcher alle legislative del ’79 (vedi capitolo quinto del Conservative Manifesto). Nel pensiero dei Tories dell’epoca si puntava a gestire la questione casa, ed in particolare quella dei mutui, favorendo l’acquisizione da parte degli inquilini delle council houses (case di edilizia economica e popolare) nelle New Towns con misure come la  sicurezza del diritto di possesso e lo sconto sul valore di mercato fino ad un massimo di 50% dopo 20 anni. Questo programma, poi integrato con un altro volto a facilitare l’affitto a breve termine (short fixed-term lettings) di case libere, tentava in qualche modo di rafforzare il rapporto casa-abitante-territorio e al, tempo stesso, di sfruttare al meglio gli immobili esistenti, così da contenere le spese di manutenzione e quelle di realizzazione di nuove infrastrutture.

Dalla “Era Thatcher” ad oggi la città britannica e’ cambiata molto. Attualmente e’ sottoposta ad un profondo processo di trasformazione a livello economico, sociale ed urbanistico. La politica laburista di questi ultimi ha puntato tutto su una nuova legge che, a distanza di otto anni dalla sua applicazione, ha in parte contribuito a modificare la forma della città. Concepito sotto le indicazioni di un team guidato da Richard Rogers, il Planning Policy Guidance Note 3 (PPG3) imposta una serie di misure volte ad incoraggiare la costruzione di nuove unità abitative sui terreni che non erano stati urbanizzati precedentemente (brownfield site), il tutto a favore di una maggiore densità urbana che, oltre a contenere il fenomeno dello sprawl, agevola la ripopolazione dei centri urbani, molti dei quali hanno sofferto una profonda crisi economica nella metà del ‘900. Fattore significativo e’ come questo piece of legislation abbia ribaltato radicalmente le aspirazioni storiche del pensiero laburista in materia di urbanistica, per decenni fermamente convinto che il modello risolutore per “la città malata” fosse la doppia formula de-desification e de-centralisation. Esempio eclatante di riconversione urbana e’ quello di Leeds che in pochi anni ha visto un eccezionale incremento del numero di abitazioni proprio nelle aree centrali del comune. Nel paese che, un secolo fa, ha dato vita al movimento della città giardino, la “città compatta” sembra diventare il solo modello di sviluppo sostenibile sia sul piano ambientale che su quello economico.

Ciò che rende rilevante questo strumento legislativo e’ l’aver in qualche modo sfidato, e in parte cambiato, lo scetticismo tutto britannico – identificabile nel noto motto My house is my castle – nei confronti dello appartment block: un decennio fa solo il 15% delle nuove case costruite nel Regno Unito era costituito da appartamenti. Purtroppo, però, le aspirazioni risolutive del piano omeopatico elaborato dal programma riformista del governo per una migliore politica del territorio, non solo non e’ stato capace ad incidere su quegli aspetti che ne hanno determinato lo stallo, ma ha, addirittura, creato effetti collaterali. Infatti mentre sul piano socio-culturale chi abita nei nuovi appartamenti sono principalmente i giovani e la prima generazione di immigrati, a dimostrazione che molte famiglie britanniche aspirano ancora a vivere in detached houses, su quello economico il PPG3 ha innescato un processo speculativo che ha dato vita al cosiddetto mutuo ‘buy-to-let’ grazie al quale con l’affitto della seconda casa i proprietari riescono a pagare il rispettivo mutuo ed ottenere successivamente un sicuro profitto dall’aumento di valore del capitale.

Questi fattori oltre ad accentuare la profonda discrepanza tra offerta e domanda, ora più di quanto non fosse all’inizio del boom edilizio, ha creato un ulteriore aumento dei prezzi, beffando chi aspirava a diventare proprietario. Infatti, con mutui rimasti bassi, chi aveva immobili da affittare ha preferito lasciarli inoccupati, così da essere più libero di venderli quando conveniente. Questo e’ quello che e’ successo a Leeds ove il 25% degli appartamenti sono ancora vuoti e molto dei quali sono affittati a studenti o disoccupati, inquilini facilmente sfrattabili con un breve preavviso.

Come abbiamo detto all’inizio, il mercato dell’edilizia del Regno Unito e’ in uno stato di stagnazione anche a causa del credit crunch che ha drasticamente minato il “mercato dei mutui”. In questi ultimi mesi, i principali costruttori hanno licenziato una parte consistente del loro staff e molti di loro hanno messo in naftalina grandi interventi in attesa di una risalita del mercato. Stessa cosa sta accadendo per grandi e piccoli studi di progettazione. L’edilizia abitativa rappresenta la questione fondamentale che deve essere affrontata congiuntamente da progettisti, costruttori, economisti e rappresentati del governo. Per fare questo c’è’ bisogno di un disegno politico capace di incidere su una nuova cultura dello sviluppo edilizio e, chissà’, un giorno il castello diventerà’ città’.

20080828_01

© David Grandorge l Tony Fretton Architects, The Red House London, 2008. progetto esposto al Padiglione delle Gran Bretagna 2008, 5 British Architects Build Housing in Europe.

 


Back to Top