Architettura senza costruzione: ma l’arte è libero pensiero o intelligenza applicata?

“la progettazione di un edificio deve iniziare con l’incommensurabile (forma), quindi passare attraverso il misurabile, per finire ancora nell’incommensurabile: come un nuovo contributo all’architettura e alla storia, perché, alla fine, l’architettura esiste solo nelle sue opere”. Louis Kahn

Architettura senza costruzione (1) è il titolo dell’ultima Biennale di architettura a Venezia, ancora in corso (2). Se ancora qualcuno avesse avuto dubbi, l’undicesima mostra internazionale di architettura di Venezia conferma la direzione che anche l’architettura, in quanto arte, sta prendendo, spostandosi verso il mondo dell’ideazione, della concettualizzazione, della comunicazione. L’architettura come fatto costruttivo è in via di estinzione (3). L’architettura oggi vive nelle mostre, sulle riviste, sui media. La costruzione di edifici delle nostre città –almeno in Italia- non è affidata nella maggior parte dei casi agli architetti, che, dunque, si ritrovano altri spazi di lavoro e potere in cui operare. L’architetto non può più essere l’artigiano che “fa, plasma” in cantiere (si pensi a Carlo Scarpa), ma –quando riesce a fare, e spesso fa solo quando è star, firma- è diventato un regista di progetti di grande dimensione, e come tale progetta l’assemblaggio di pezzi fatti da altri. O fa concorsi e progetti utopici che poi non si realizzano. E pensa a comunicarli. Così come ha già fatto l’arte, anche l’architettura sta procedendo verso l’astrazione, e opponendosi alla sua natura fisica, materica, costruttiva. Quello che conta è il concept, la strategia comunicabile. L’architetto non riesce più a governare il fatto costruttivo nei dettagli. E di questi non ne sente la responsabilità, perché è una parte del processo delegata ad altri. La ricerca di qualità dell’architettura oggi, anche per necessità di mercato, si è spostata su nuovi parametri: l’architettura non cerca più la sapienza costruttiva, la durata, i materiali nobili (forse perché non possiamo più permettercelo?), il progetto del dettaglio, ma l’idea innovativa; il valore dell’architettura sta sempre più nel fatto ideativo (strategia, spazio, spesso ottenendo brillanti soluzioni e interessantissimi progetti) e sempre meno nella pratica manuale-artigianale, nella “sapienza costruttiva” che l’ha contraddistinta in passato, quando una costruzione non era attribuibile a un nome.

Ma la vera architettura non è dunque più l’opera, quello che rimane, come diceva Kahn, risposta concreta, intelligenza applicata a vincoli e problemi, piuttosto che libero pensiero? Ma non sono allora puri formalismi, il contrario di quanto la mostra dichiara, queste libere scenografie (4) presentate alle Corderie della Biennale? Addirittura Betsky arriva a volere “un’architettura che non risolva i problemi, ma li ponga…”. Dunque l’architetto si arrende alle logiche del nuovo mondo e depone le armi?

Sembra che oggi tutte le arti (cinema, pubblicità, grafica, architettura, design, moda,…), stiano convergendo verso la comunicazione. L’unicità del fatto artistico è stata relegata alla sola idea (con tutti i problemi e i paradossi portati da copyright connessi). Ma cosa fa di un messaggio concettuale un’opera d’arte (5)?  (Di chi è un’idea finchè rimane tale?). Il concept, nuovo motore dell’arte, sta portando questa verso una libertà o verso un impoverimento? Non è forse un pericolo il riduzionismo che produce l’idea sulle cose? Difficile, infatti, a volte, segnare il confini fra disimpegno, facilità e genialità, il limite fra arte e presa in giro, raccontare agli amici non architetti che l’architettura non deve più “funzionare” come tale e perdonarle facilmente errori costruttivi perché è diventata “qualcosa di più” (6).

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© oscar ferrari_arcomai | Installations e Manifestos, Zaha Hadid.

Il mondo contemporaneo investe la maggior parte delle proprie energie su simulazioni piuttosto che sulle opere reali (7). Tutto ciò delinea un più ampio processo di teorizzazione della nostra cultura, nel quale si avverte il pericolo della perdita del rapporto con la realtà come unica nostra vera esperienza possibile, e, per questo, fonte inesauribile di “ispirazione” (realtà intesa dunque come Natura, come già sosteneva Gillo Dorfles (8); realtà che sempre dimostra una complessità superiore a quello che di essa si è capito; infatti la realizzazione è sempre differenza; la costruzione, il passaggio alla concretezza porta alla diversificazione, alla crescita, alla complessità, all’autenticazione, mentre nell’idea astratta la copia vale tanto quanto l’originale, così come accade nella realtà virtuale dei computer. “…La macchina dell’assimilazione, dell’analogia, dell’identità (la macchina dei concetti isolati dalle cose) continuerà a trascinarci e a soffocarci in un mondo, questo sì davvero fittizio e illusorio, di automatismi e semplici ripetizioni, in un mondo che alla fine è morto…” (9) .

Se guardiamo all’arte, che alcuni passi in questa direzione li ha già fatti da tempo e proviamo (forse un po’ ingenuamente, perché la vera arte sfugge ad ogni definizione) a chiederci cosa essa sia oggi, potremmo rispondere: l’arte contemporanea è messaggio, idea, concetto, comunicazione, ironia, gioco, interazione,… Qualcosa di profondamente diverso da ciò che è stata in passato, dove era oggetto “plasmato”, unico, virtuosismo, gesto, espressione, irripetibilità, fisicità. Oggi non siamo più interessati, sembra, né in arte, né in architettura ad ottenere un “prodotto finale”, una realtà ultima, che rimanga e possa anche essere utile, a creare degli oggetti “finiti” e “belli” (bello non come forma imposta, precostituita, ma derivata dalla intelligenza applicata che fa corrispondere a una forma, una funzione ed una ricerca di equilibri,…). Troppa fatica e tempo (sottratto alla veloce generazione di nuove idee) per arrivarci, incapacità di fermarsi poi ad apprezzarlo in una fase contemplativa, molta critica all’oggetto “finito”; ma il progresso non è mai stato fatto da idee eclatanti (percentualmente poche, in quanto tali); come si capisce che un’idea è migliore di un’altra se non proprio per corrispondenza alla realtà? il “bello” non è solo forma riproducibile (o in arte le copie varrebbero quanto l’originale); come distinguere, infatti, il valore di un’architettura se questo non è più nel fatto oggettivo del dato finale (la costruzione), né in quello tecnico, costruttivo, funzionale? Se non lo si deve cercare più in se stessa (rinunciando anche alla valenza estetica? perché?…), se l’architettura contemporanea si rifiuta di essere oggetto, imposizione, durata, memoria? La difficoltà che molti trovano ad accettare e ad apprezzare gran parte dell’arte (e dell’architettura) contemporanea sta proprio qui, nel fatto che, essendo queste concettuali, dunque riproducibili senza gravi perdite (la qualità di queste sta nell’idea, nel significato più che nella matericità dell’opera), non ne è più misurabile il valore con il valore dell’oggetto, il parametro della capacità tecnica, del virtuosismo, del gesto (dunque dell’unicità), dell’espressività, della piacevolezza/emozione estetica (della bellezza?).

Dobbiamo semplicemente capire che dell’arte godremo con la testa e non più con gli occhi? L’arte oggi è idea, pensiero. Si è finalmente slegata da vincoli realizzativi e costruttivi e sta volando libera, più in alto, o ha perso il contatto con, non è più risposta alla realtà? L’arte serve all’uomo, alla sua vita. E’ vero, l’arte non è solo l’oggetto. Ed è da avversare un rispetto reverenziale per oggetti che non si sentono, non si capiscono, che sono lontani e celebrati solo perché resi dalla storia famosi. Dall’arte non si deve stare distanti, spaventati da un timore reverenziale. La si deve invece vivere, sentire. Ma l’arte non è neanche solo l’idea. L’arte c’è solo nella vita, nell’unica forma in cui ci è dato di conoscerla, fatta di fisicità, di spazio, di tempo. Non è solo l’oggetto; non è solo l’idea. L’arte esiste nell’uomo, nel suo pensiero e nella sua fisicità. Solo se un uomo la riconosce l’arte esiste. Per questo non la si può possedere o comprare. E’ di chi la sa vedere, riconoscere, esiste negli attimi in cui questo succede. E’ il valore che l’uomo dà alle cose. L’arte è l’incontro invisibile di pensiero e materia. E’ l’idea che dall’uomo si trasferisce alle cose, perchè le fa secondo il suo pensiero; è il suo lavoro, materia plasmata, con valore aggiunto. E’ l’oggetto fatto, che ispira il pensiero di ritorno, il riconoscimento della stessa o di altre e più idee, da parte dello stesso o di altri uomini. Un museo senza visitatori non è arte, sono oggetti. Mi sembra che oggi, nonostante i fenomeni di turismo artistico, l’arte non sia mai stata tanto lontana dalla vita delle persone, che la guardano ma non la vedono e non sanno più cosa essa sia; e spesso questo distacco avviene, nonostante i proclami, anche per l’arte e l’architettura contemporanea, che a volte perdono di vista l’unico obiettivo che ha il fare dell’uomo, che è l’uomo e la sua vita. L’idea della merda d’artista è geniale e dissacrante. Ma l’opera rimane merda. Neanche l’arte contemporanea è tale se rimane distante dalla vita dell’uomo, dalla sua sensibilità, dai suoi desideri. Se non crea gli oggetti, la bellezza, l’architettura dove vivere.

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© oscar ferrari_arcomai | Installations e Manifestos, Asymptote Architectoure.

 

(1) Out there: Architecture Beyond Building, di Aaron Betsky

(2) 14 settembre-23 novembre 2008

(3) “…quello che dovrebbe essere un fatto ovvio: l’architettura non è il costruire…Gli edifici sono oggetti e l’atto del costruire produce oggetti-edifici, ma l’architettura è qualcosa d’altro. E’ il modo di pensare e parlare sugli edifici. E’ il modo di rappresentarli…allo stesso tempo possiamo godere di spazi ideali nei film e nell’arte, che spiegano ai nostri occhi mondi immaginari…”, Aaron Betsky

(4)  Installations e Manifestos di: Asymptote, Atelier Bow Wow, Barkow Leibinger Architects, Nigel Coats, Coop Himmemblau, Diller Scofidio+Renfro, Droog Design+Kesselkramer, Vincent Guallart, Frank O. Ghery, Zaha Hadid, Ante Liu, Greg Lynn, M-A-D, Massimiliano Fuksas, MVRDV, Penezic e Rogina, Philippe Rahm, Matthew Ritchie con Aranda Lasch e Daniel Bosia, ARUP AGU, Kramervanderveer, Thonic e Un Studio. Interessanti e pieni di accadimenti vari non riferibili a questo unico discorso, invece, le opere dei Padiglioni dei Giardini.

(5) L’arte rappresentativa è stata, da sempre, artificio, ma non falsità, bensì ricerca. La rappresentazione, quando è arte, è “cosa vista tramite”, non copia.

(6) Oltre che la realtà sembra viaggiare più lenta dell’idea, ed è apparentemente, rispetto a questa, sempre insoddisfacente.

(7) Si può forse dire che la conoscenza moderna si attui attraverso la simulazione, non essendoci più il tempo per l’esperienza.

(8) “…dal ristabilimento  dell’equilibrio uomo-natura dipende buona parte delle possibilità di recupero di molte condizioni esistintive e creative (…) si dovrebbe riscattare l’innaturale, trasformare eventi artificiali in eventi naturali, attraverso un’azione di volontà e conoscenza…” Gillo Dorfles, Artificio e Natura, 1968, riedizione Skira, Milano 2008

(9) Gilles Deleuze, differenza e ripetizione. La riproducibilità è la strada che l’architettura contemporanea utilizza per sopravvivere nel tempo e che sostituisce la durata.


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