Il ponteggista, il vigile, l’operatore ecologico e l’architetto

È uscito in questi giorni Il Signor Trumò [Fabula 0, S. Lazzaro di Savena (Bo)], una raccolta di 44 saggi scritti da Mauro Bellei. Come pensieri dimenticati nei “cassetti” di un mobile, si scoprono uno dopo l’altro gli appunti – alcuni pubblicati in passato per la rubrica “Dopo di che” della rivista Modo ed altri completamente inediti –  che hanno accompagnato in questi anni il lavoro dell’architetto bolognese, il quale gentilmente – e per questo lo ringraziamo – ci ha autorizzato a pubblicare nelle nostre pagine e a nostra discrezione alcune brevi storie riportate nel libro. Quelle scelte da Arcomai sono quattro: affascinati dalla “giustezza” dei rispettivi protagonisti così diversi dall’architetto dal punto di vista delle mansioni, ma così simili a noi sia nell’indole che nella pratica. Loro come noi “eroi” spesso incompresi, bistrattati, criticati, vinti ma quasi sempre unici ostinati “combattenti” della quotidianità. Fare l’architetto è sì praticare una professione, oggi tra l’altro molto difficile, ma a differenza di altri mestieri spesso chi fa “progetto” va oltre le ragioni del suo “fare” al punto di divenire anche e inconsapevolmente committente di se stesso, cliente ultimo, referente finale; perché il progetto – qualsiasi esso sia – richiede comunque il raggiungimento di un obiettivo che non sempre si esaurisce con il semplice incarico; perché il progetto è scelta, è rischio, è senso di responsabilità; perché il progetto è il fine per avvicinarsi sempre più a ciò che è “giusto”.

 

Il cassetto pieno

Ch’egli sia pazzo, 
è vero, è vero che 
sia un peccato; ed è
un vero peccato
che sia vero. 
(W. Shakespeare, Amleto)

Non importa dove si trovasse, o chi 
fosse a chiederglielo, ma alla domanda 
“Che lavoro fa tuo padre?”, solo il 
secondogenito dell’interno sette ha sem- 
pre preso troppo tempo per rispondere.  
Lui voleva cercare il tono e le parole 
giuste per restituire massima importanza 
a quel lavoro, ma l’indugiare spesso 
veniva interpretato come un momento di  
imbarazzo - neanche suo padre fosse 
un poco di buono, cosa che alcuni avranno
sicuramente pensato. 
Però ci cascava ogni volta, così non gli 
usciva nulla dalla bocca, quando sarebbe 
bastato dire una semplice parola: 
ponteggi. 
“Ponteggi per scelta” gli ripeteva sorri- 
dendo il papà. Malgrado ciò, al secon- 
dogenito non gli riusciva mai di rispon- 
dere altrettanto bene. Voleva essere più 
disinvolto, e far capire a tutti come quel
lavoro fosse carico di variabili costrutti- 
ve. Ma si bloccava e non diceva beo.  
Come faceva a rispondere “Ponteggi per  
scelta”, quando lui stesso sapeva quanto 
fossero riduttive quelle parole? E ne  
aveva avuto prova più volte da chi rias- 
sumeva l’attività del genitore col mestie- 
re del muratore, evidentemente troppo 
poco per lui. 
Certo è che suo padre fa sì lavori di
muratura, ma prima di tutto è un ponteg-
gista, e i tubi dei ponteggi sono sempre 
stati uno stimolo continuo nella loro  
intimità familiare. Col passare degli anni 
no hanno mai messo di discutere di 
magiche gabbie, proprio come abili 
costruttori di grandi voliere a maglia
larga facevano e modificavano, senza 
il minimo sforzo. 
Per fortuna, oggi, il secondogenito ha
finalmente capito, ma è dovuto arrivare
all’essenza del lavoro del padre e libe-
rarlo da ogni peso superfluo. Gli è 
bastato osservare quei ponteggi che 
inglobano l’edificio più insignificante 
per trasformarlo in una moderna archi- 
tettura. Altroché muratore, d’ora in poi  
quando gli chiederanno la professione
del genitore risponderà sicuro di sé che 
suo padre fa castelli, castelli con l’ani- 
ma.
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l cassetto a righe

Quindici anni di vigile urbano, sempre 
operativo sulla strada, hanno fatto della
matricola 67 una figura esperta sul lavo-
ro. Ma oggi, alle riunioni interne, basta 
quel suo impuntarsi con ostinazione per 
escluderlo dalle decisioni importanti. 
Appena alza la mano per chiedere la 
parola, alcuni ridono prima che apra 
bocca e altri fanno la faccia scocciata, 
come se fosse realmente il matto del 
Corpo.
Sta di fatto che non lo sopporta più nes-
suno. Qualunque cosa dica, nessuno lo 
ascolta più e lui soffre molto per questa 
situazione. Stanco delle spalle girate ha 
chiesto di essere ricevuto dal sindaco. 
Ha una proposta, un progetto pensato, 
un’idea per migliorare la sicurezza dei
pedoni: le sue preziose unità produttive 
del suolo pubblico.
La matricola 67 ha sempre svolto il pro-
prio lavoro nel modo più diligente e con
una disponibilità che pochi altri hanno 
dimostrato. È risaputo da tutto il corpo 
dei vigili che nell’eventualità ci sia biso-
gno di un volontario per rimpiazzare un
collega in malattia, egli è il primo a farsi 
avanti, e se c’è un turno vacante non
troppo gradevole, senza alcun problema, 
lo fa suo. Il problema, perô, salta fuori 
quando vuole esprimersi andando oltre 
le mansioni specifiche. Come quando si 
era permesso, di sua iniziativa, di valuta-
re e gestire le contravvenzioni per alcuni 
divieti di sosta imposti dal piano del 
Comune.
Forse su alcuni di quei divieti poteva 
anche avere ragione, ma era chiaro per
tutti che non doveva e non poteva agire 
in quel modo. Però lui è fatto così,
quando sente una cosa come giusta va 
diritto come un treno. Gli era anche arri-
vato, attraverso il suo comandante, un 
rimprovero scritto dall’assessore respon-
sabile.
In passato aveva attraversato momenti di 
grande lucidità e intuizione, ma adesso, 
sul problema delle righe, non lo prende 
sul serio più nessuno.
Cerchiamo di fare qualcosa alle strisce 
pedonali, aveva detto la prima volta, ma 
in modo troppo leggero, come se fosse 
un problema dettato da un ghiribizzo. È
stato quell’intervento che oggi lo frega 
ancora; la proposta che aveva tirato fuori 
allora oggi gli ha bruciato definitiva-
mente l’argomento righe. D’altronde 
come si poteva sostenere, con quella 
ostinazione, che le strisce pedonali 
andavano movimentate un pochino, e 
poi così, senza un piano preciso. Era 
chiaro fin dall’inizio che ne sarebbe 
uscito deriso!
“Bisogna tenerli meglio i pedoni”, aveva 
detto in quell’intervento parlando di 
righe curve in sostituzione delle rette, e 
disquisendo tra linee inclinate e linee 
appuntite. Insomma, secondo lui, qual-
cosina alle strisce pedonali andava fatta,
neanche fosse una questione di normale 
arredo stradale.
In realtà voleva sollevare un problema 
che sentiva, voleva discuterne, ma pro-
prio quell’atteggiamento lo aveva rovi-
nato. Al punto che le riunioni finivano 
sempre nello stesso modo: tutti gli dice-
vano che la doveva smettere di rompere 
con le sue idee, e soprattutto doveva
piantarla con quella storia perché le righe 
andavano bene così come erano sempre state.
Adesso, perô, pare proprio deciso. 
Sebbene gli sia stato suggerito di lasciar
correre, lui vuole andare dal sindaco. Da
tempo ha inoltrato richiesta e domani 
sarà ricevuto per discutere di strisce 
pedonali e pedoni. Stavolta la soluzione 
ce l’ha in pugno: “Le righe vanno solo 
girate”, si ripete soddisfatto. Nella sua testa 
tutte le righe del mondo, allo 
schiocco delle sue dita, dovrebbero ruo-
tare di novanta gradi. Cosicché sarebbe
il veicolo a incrociare le strisce, non il
pedone, come sempre accade. Soltanto
in questo modo, egli sostiene, si potreb-
be creare un canale sicuro per chi deve 
attraversare la strada e uno sbarramento 
netto al veicolo.
Fermo sulle sue idee, la matricola 67 
non sa ancora che tra un attimo riceverà 
una comunicazione da parte del sindaco 
che, con infinite scuse e per falsi impe-
gni sopravvenuti, rimanderà l’appunta-
mento a un altro giorno da stabilirsi.
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Il cassetto sostenibile

Da circa dodici anni il 221 fa l’operatore 
ecologico, incaricato della zona gialla. È
in turno con la 302, una ragazza più gio-
vane di lui, ma molto schiva e silenziosa 
sul lavoro.
Sono entrambi sulle strade, sempre le 
stesse, ogni mattina. Loro non girano 
col furgoncino elettrico a spazzole 
rotanti, usano invece il triciclo a pedali 
rosso scuro come si usava una volta, 
quello con i due bidoni circolari grigi 
allineati davanti e Ia scopa della befana 
sul fianco.
Il 221, rispetto ad altri colleghi, ha 
imparato molto dal suo lavoro. Dice che 
è stata Ia sua unica vera scuola, al punto 
da esprimersi già con dimestichezza con 
residui di frasi altrui o scorie di concetti 
in briciole, ma non solo. In pratica, gli
sprechi che è costretto a vedere ogni 
mattina sono diventati le sue lezioni. 
L’ attenzione che riserva a ciò che la 
gente butta lo fa sentire attivo e parteci-
pe ai problemi del suo tempo. Le sue 
parole possono nascere da rimasugli di 
opinioni recuperate per caso, e alcuni 
suoi pensieri riescono a fiorire da 
dimenticate croste di idee e ragionamen-
ti in bucce.
Non si è mai stancato di ripetere alla 
collega, la 302, che con poco e in poco 
tempo si possono costruire cose di ine-
guagliata bellezza. Lui fa dell’articolato 
collage: cerca di affinare pensieri cristal-
lini pieni di contenuti e profondi più
dell’oceano, ma non sempre riesce come
invece vorrebbe.
Un tempo era tutta roba eliminata da 
chissà chi, che solo dopo un lungo lavo-
ro di attenta selezione egli ha potuto 
reimpiegare. E alla fine, come in un 
sapiente intreccio di leghe, quelle cian-
frusaglie verbali, accuratamente rivedute 
e ricomposte, sono diventate raffinati
“pensieri ecologici”.
La sua voracità ancora oggi è insaziati-
le, raccoglie sempre con lo stesso inte-
resse ogni schifezza dialettica. Insacca 
anche quegli inutili scarti di avverbi che 
sembrano non possedere più vita, e non 
è che si deve sciacquare la bocca ogni 
minuto, quando parla.
In realtà non si sa con precisione se con-
serva proprio tutto quanto ciò che trova, 
qualcosina forse la abbandona anche lui, 
è difficile dirlo con sicurezza. Può suc-
cedere che non si incastri ogni cosa alla 
perfezione, ma gli basta infilare una 
diversa congiunzione recuperata all’ulti-
mo e il discorso si apre dove prima 
appariva impenetrabile.
Al bar, nella pausa del panino, molti lo 
scambiano per un pazzo. Invece chi lo 
conosce sa che attraverso il suo lavoro 
lui riesce a costruire mondi diversi con
diverse possibilità di senso, altrimenti 
difficili da immaginare.
Sono discorsi non facilmente ripetibili, 
si possono riportare solo sensi generici,
forse troppo riduttivi. Potrebbero perfino 
sembrare frasi buttate lì, come un 
Frankenstein di parole. Comunque, negli
ultimi tempi, nel circuito di pulizia mat-
tutina. la sua attenzione e diventata 
ancora più maniacale. Ormai ha scelto 
un preciso stile di vita ed è impensabile, 
per ora, prevedere un cambio di rotta.
…le parole hanno 
un potere di
commuovere al di 
fuori del loro significato...
Luciano Anceschi.
"Autonomia ed eteronomia
dell'arte".
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Il cassetto grigio
C’era una volta un giovane studente, con
 tutti i difetti e i pregi dei giovani studen-
 ti. Ogni cosa brillava ai suoi occhi e i
 suoi occhi luccicavano spesso.
 …
 C’era una volta una giovane studentessa
 con l’occhio che ti acchiappa, bella,
 avida di imparare, allegra, ansiosa di
 capire.
 …
 Quei due giovani oggi si amano,
 ma vivono una nuova melodrammatica sto-
 ria che finisce con l’incasso di compensi
 poco onorevoli. In ogni loro progetto,
 anche per una semplice casetta, inseri-
 scono quel tipo di mattonella, o quel
 mobile, per poi ricevere una percentuale
 dai rispettivi rivenditori, e ciò (detto tra
 noi) li spinge quasi sicuramente all’ille-
 cito ribasso della parcella professionale.
 Anche ai loro occhi, in passato, erano
 cambiate molte cose. Vedevano attive le
 cooperative di costruzioni, ma avevano
 messo più volte sulla bilancia quantità e
 qualità, frutto del cooperare, solo che
 vinceva sempre la quantità. Di fronte
 all’edilizia con lo stampino si chiedeva-
 no come migliorare quel benefico fine.
 Però è da troppo tempo che non si fanno
 più domande. Devono ancora rendersi
 conto che stando fermi hanno fatto il
 salto, sono già malamente capottati die-
 tro la Favola.
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 Mauro Bellei (Bologna, 1959) è architetto. Sue opere sono state pubblicate su importanti riviste internazionali di design e architettura. Ha curato numerosi allestimenti per il teatro, fra cui le scenografie degli spettacoli di Alessandro Bergonzoni. Inoltre, ha pubblicato da Pendragon All’altezza del bavero (2003) e per i tipi de II Melangolo, con Gene Gnocchi, La casa di clii (1996).


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