L’arte astratta dell’architettura britannica

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© arcomai l Villa Godi Piovene e il Padiglione Barcellona. Progetto del Liverpool Kings Waterfront. Progetto del Guangzhou West Tower. Cris Wilkinson risponde alle domande del pubblico.

Si è concluso ieri sera con la presenza di Cris Wilkinson (studio Wilkinson Eyre) al Centrepoint di Londra il ciclo in quattro incontri organizzato da The Architecture Foundation col titolo Real Architecture l Autumn 2006. Arrivati con alcuni minuti di ritardo a causa di un ingorgo formatosi ad Angel, siamo riusciti ad entrare con passo felpato nella sala conferenze al primo piano della nota torre a Tothenam Court schivando i rimproveri delle hostesses. Fortunatamente il relatore era ancora alle prese con le prime slides della sua presentazione e in modo disinvolto si scaldava disquisendo sul rapporto che lega l’architettura dell’uomo con la grande architettura della natura. L’immagine che segna il passaggio dalla prima alla seconda parte della lecture mostra – senza però spiegarne i motivi – ciò che per l’architetto sono i grandi “capolavori” dell’architettura: Villa Godi Piovene di Palladio a Vicenza e il Padiglione di Mies Van der Rohe a Barcellona. Con le diapositive successive il Nostro entra nel vivo della sua dissertazione illustrando al pubblico due grossi progetti che in comune hanno l’essere stati elaborati entrambi per le celebrazioni di due eventi internazionali che si svolgeranno nei prossimi anni: il Liverpool Kings Waterfront per Liverpool Capitale Europea della Cultura (2008) e il Guangzhou West Tower (Sud della Cina) per gli Asia Games (2010).

Non ci soffermiamo tanto sul primo complesso (un’arena multiuso con una piazza, un centro congressi, un auditorium, spazi espositivi e parcheggi), risultato vincitore al concorso internazionale indetto nel 2004 dal Liverpool City Council per riorganizzare l’affaccio-mare della nota città portuale, poiché è il progetto per la torre gemella di Guangzhou che ci  interessa; è quella coppia di grattacieli che è stata scelta per il manifesto della rassegna; è in loro che noi crediamo di trovare elementi utili per trarre alcune considerazioni sull’architettura britannica a chiusura della rassegna organizzata dalla nota associazione di architettura londinese. Anche in questo caso la proposta architettonica è la riposta ad un concorso internazionale – vinto dallo studio Wilkinson Eyre nel 2005 – in cui si chiedeva l’elaborazione di un grattacielo-replicante di 400 metri capace di ospitare uffici, un albergo di lusso, una sala conferenze e servizi per il tempo libero. La forma triangolare dell’edificio tipo, spiega Wilkinson, è stata scelta sia per agevolare una migliore distribuzione degli spazi interni che per rispondere in modo aerodinamico alla pressione del vento.

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© arcomai l Il manifesto del ciclo di lectures Real Architecture l Autumn 2006. Il Liverpool Kings Waterfront  e le torri gemellle di

Poiché non siamo venuti qui per conoscere gli aspetti tecnici, quelli li leggiamo su internet o nelle riviste di settore, con pazienza attendiamo da Cris qualcosa di più gagliardo che da lì a poco non si fa attendere. Infatti, dopo aver accennato ad alcuni aneddoti riguardanti le stravaganze della committenza cinese, entra nell’intimità dell’idea progettuale svelando alla sala la musa ispiratrice per il sistema costruttivo adottato per la Guangzhou West Tower: la Swiss Re Tower di Londra, la cui shape è oramai divenuta codice architettonico se non addirittura un’icona mondiale per le torri di nuova generazione. Ma poiché il loro approccio nasce da obiettivi diversi da quelli che hanno portato a quell’esperienza, spiega Wilkinson, mettendo a confronto i profili delle più note/alte torri del mondo dove la più bassa risulta essere proprio il “gherkin” di Foster, come quell’interessante prototipo porta con sé una contraddizione in termini: un edificio di quell’altezza non avrebbe bisogno per stare in piedi di quella determinata struttura, al contrario del modello di Guangzhou che è in grado, sviluppando un sistema strutturale similare, di raddoppiare addirittura l’altezza del “cetriolino”. Questa affermazione mi ha fatto venire in mente uno dei primi volumi della collana/raccolta Cronache di architettura (Universale Laterza) in cui l’illustre storico/critico Bruno Zevi – parlando della Torre Eiffel – affermava che pur essendo riconosciuta come opera di ingegneria civile essa è, in realtà, con quei giganteschi archi di ferro che le donano quella unica ed inimitabile silhouette, una mera opera di architettura, essendo questi maestosi elementi costruttivi scarichi: cioè non partecipanti agli sforzi totalmente supportati dalle gigantesche gambe divaricate dell’antenna. Con questa affermazione l’architetto ha, involontariamente, fatto dono al noto e a volte discusso collega londinese di un inaspettato regalo natalizio.

Proseguendo nella sua lecture, il Nostro arrivare al nocciolo della presentazione e con orgoglio svela l’elemento che rende intelligente il modulo costruttivo che garantirà la maestosità della futura torre più alta della Cina, il gioiello tecnologico che ha permesso di tradurre un’aspirazione formale in forma: il nodo strutturale. È quell’enorme fiocco d’acciaio il segreto che permette ad una costruzione con quella forma ed altezza di toccare il cielo e perché no di farlo in compagnia con un altro gigantesco dito. Frutto di mesi di intenso lavoro, questo giunto replicato per decine e decine di piani non è per noi un innocuo dettaglio archiettonico tanto meno un fattore che può essere liquidato solo con la facile convinzione che la “cultura del particolare” traduca quella genetica del pragmatismo, ma il segreto della cultura architettonica anglosassone e britannica in particolare. Infatti Wilknison riducendo l’architettura ad un elemento tanto complesso quanto banale – perché replicato all’infinito diventa “nulla” perdendosi nella verticalità del missile – crea una sorta/forma di astrattismo tettonico che fa di questa, come di altre architetture nate dalla stessa matrice concettuale, una composizione astratta, un’astrazione spaziale.

Nell’illustrare in dettaglio il progetto, il relatore mostra divertito l’interno renderizzato di una delle 800 stanze dell’albergo a cinque stelle la cui superficie vetrata è oscurata proprio da uno dei nodi della ragnatela strutturale, liquidando questo incidente progettuale come una sorta di errore consapevole. Guardando le slides succesive, si ha la sensazione di essere dentro un dripping di Jackson Pollock che – sebbene visto da fuori sarebbe caos e quindi non un sistema rigoroso di ingegneria – si materializza qui in “testura”, trama spaziale, superficie costruttivista. La coppia di “gerkin” cinese, grazie alla moltiplicazione dell’elemento tridimensionale diventa astrazione geometrica che – dopo aver depurato la forma dagli originari significati tecnologici – si manifesta in simbolo, stilizzazione, introspezione.

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Particolare del modello del Guangzhou West Tower (studio Wilkinson Eyre).

L’architettura moderna ha fatto di tutto per liberarsi dal grosso vincolo che aveva condizionato tutta la produzione del XiX secolo: quella di mascherare gli edifici con una “pelle” stilistica a cui affidare la riuscita estetica del manufatto. Con l’adozione della pianta libera e la finestra a nastro l’architettura ha iniziato ad alleggerirsi anche dal peso della decorazione fino ad arrivare a sostituire il figurativo con la volontà di espressione/comunicazione che è finalità principe dell’arte astratta. Durante questo processo il pensiero architettonico ha tentato di elaborare un nuovo linguaggio visivo. Lo ha fatto cercando di comprendere gli elementi interni alla forma dai quali poi poter giungere alla vera essenza delle cose, alla struttura più profonda delle dinamiche che regolano la natura, come spiegherebbero le belle immagini proiettate nella prima parte della presentazione. Nel lavoro di Wilkinson – come di molti altri architetti inglesi – si individua una sorta di ritorno all’ordine: la struttura torna in facciata anche se solo come sintesi decorativa; l’oggetto architettonico è un elemento estruso in cui l’esasperazione dell’ordito dei rami tecnologici gli fa perdere ogni riconoscibilità naturalistica e quindi abitativa; la forma è ora autonoma rispetto allo spazio; la struttura spaziale diventa destrutturazione dello spazio urbano, la ricerca architettonica è subordinata al fine concreto della sua applicazione artistica, al bisogno commerciale dell’originalità, della comunicazione, dell’impatto visivo, così da creare l’ideale connubio tra attività artistica e vita produttiva. Tutto questo in Cina.


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