Dal mio punto di vista

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© jehangir sorabjee l La spiaggia di Chowpatty (Mumbai) durante il Festival di Ganesh sembra ispirare il Site specific_SHANGAI 04 di Olivo Barberi. (Foto esposta alla 10. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, cortesemente concessa dall’Urban Design Research Institute).

La gran parte della comunicazione in questa 10.ma Mostra Internazionale di Architettura di Venezia è stata affidata alle immagini, fisse o in movimento, ad esclusione di alcuni tabelloni coi dati dei modelli tridimensionali delle densità e dei pochi plastici di architettura. La comunicazione attraverso le immagini va comunque presa con attenzione poiché può generare confusione o indurre chi legge ad una visione parziale sbagliata o addirittura di parte. Se l’immagine del satellite è qualcosa di tecnologico e oggettivo su cui si possono fare valutazioni precise, non altrettanto affidabile è la visione fotografica convenzionale, poiché essa non è guidata da un occhio elettronico a diecimila metri di altezza ma da un occhio umano che percorre con la sua sensibilità il labirinto urbano.

In molte immagini fotografiche presenti in mostra ho trovato come una sorta di compiacimento per gli aspetti più drammatici – per non dire terrorizzanti – della città, poiché queste visioni aeree o ad altezza grattacielo restituiscono solo gli aspetti formali e più inquietanti dell’ambiente urbano trascurando tutto ciò che è umano/abitato/animato.  Percorrendo gli immensi spazi dell’Arsenale mi sono chiesto: che senso ha drammatizzare il drammatico? Ingigantire il dramma lo trovo facile ed inutile allo stesso tempo, un po’ come sparare sulla Croce Rossa. L’allestimento e l’illuminazione perfetta di queste enormi foto contribuiscono a creare un indiscutibile impatto estetico, ma trovo il tutto poco utile ad entrare ed analizzare quella parte fondamentale delle tematiche urbane costituita dalla “società” e a cui la mostra fa riferimento nel proprio titolo.

Con una diretta proporzione tra l’effetto-dramma e la dimensione dell’immagine, queste enormi fotografie non sono più documenti informativi ma piuttosto oggetti dal forte shock visivo. E allora non dovrebbero essere collocate a fianco dei tabelloni coi dati e le foto satellitari perché un osservatore poco accorto potrebbe prenderle per verità!  Bisognerebbe  forse scrivere al loro fianco con un grande cartello informativo che quello che mostrano non é la verità ma una visione personale? È ovviamente un paradosso, ma è importante chiarire che se si fa sempre troppo affidamento all’immagine prendendola troppo spesso per descrittiva e oggettiva, magari a fianco di foto satellitare, si rischia di fare confusione. Per spiegare meglio ciò che dico bisognerebbe vedere dal vivo le immagini (quelle in allegato per formato non rendono a sufficienza) ma si può riportare un dettaglio di una enorme foto di Olivo Barbieri in cui compaiono tanti omini ripresi dall’alto clonati come figurine di un rendering per avere una idea. Certamente molto estetico ma poco etico… e molto finto!

Il mio non vuole essere un giudizio sulla fotografia, o in particolare su queste fotografie ma piuttosto sottolineare che si tratta di “opere d’arte” anziché “documenti” su cui basare l’analisi urbana. Ogni città contiene infinite modalità di vita a cui si può guardare da infiniti punti di vista. Queste immagini offrono alcune visioni sulla città, che trovo distanti e superficiali, nel vero senso della parola visto che sono sempre ad una quota elevata,  e dall’alto non si può che avere una visione d’insieme e non puntuale. Avrei voluto vedere anche fotografie di quello che succede “dentro le città”, avrei voluto dei racconti per immagini su quelle situazioni “di mezzo”, di ordinarietà  che non emergono per dramma o spettacolarità ma che costituiscono l’essenza della vita delle città. La fotografia ha tra le sue possibilità quella di “raccontare” oltre che stupire e, delle città, credo ci sia ancora molto da dire ma bisogna avere voglia di entrare e guardare da vicino, per scoprire l’infinita bellezza che può nascondersi anche dentro ripetuti e apparentemente insignificanti gesti quotidiani chiaramente invisibili dall’elicottero o dal trentesimo piano del grattacielo. In questa biennale le immagini viste sono già viste, gli autori più o meno gli stessi. Spero che la prossima mostra, qualunque sia il titolo mostri fotografie nuove e in grado di raccontare qualcosa magari di più intimo e meno drammatico sulla città l’architettura o l’ambiente.

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© olivo barbieri l Site specific_SHANGAI 04 (Foto esposta alla 10. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia).
© oscar ferrari_arcomai l Lo spazio pubblico è vissuto/riempito da omini clonati (particolare de Site specific_SHANGAI 04).


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