Il silenzio del paesaggio

Delle fotografie mi interessa più quello che non si vede che quello che si vede, il silenzio più che il rumore! Stanco di fotografie chiassose e gigantesche che gridano drammi urbani vado a ritrovare foto di due autori le cui immagini secondo me sono sempre attuali, mai violente e di una forza incredibile, basta avere la voglia di scoprirle lentamente. Parlo in particolare di Joel Meyerowitz e di John Davies: americano di New York il primo, inglese di Cardiff il secondo. Le fotografie di città fatte da  Meyerowitz a San Pietroburgo, ad Atlanta, New York o Saint Louis (vedi: L’avventura delle città, Federico Motta, 1994) ci appaiono di una spettacolarità ridotta ma di una forza notevole, è l’emozione che lui ha provato fermandosi “in quel momento” che vuole comunicarci attraverso l’immagine, non vuole colpirci con uno spettacolo formale e gratuito di quello che si vede ma piuttosto farci condividere  quello che “si sente”, o almeno di quello che lui ha sentito.

La parola “sentire” può sembrare poco affine col fare fotografie ma è lui stesso a darci una chiara spiegazione: “Non è il mio occhio che coglie per primo il campo sensoriale davanti a me, ma una situazione ancora più originaria. Quando sorge, ho imparato ad accostarmi lentamente e lasciare che mi afferri. E’ qui, nel breve momento nel dare la rotta a questa sottile resistenza, che viene alla luce la sensibilità del fotografo. Ti fermi un momento, diventi cosciente della chiamata – guardi cosa c’è li fuori, apparente eppure invisibile – e diventi capace di effettuare una identificazione originale e personale, di fare una fotografia, una descrizione della tua consapevolezza.” (L’avventura delle città). Solo se riusciamo a soffermarci sulla fotografia e lentamente cercare di penetrarla oltre la superficie per entrare nelle sue luci, nei suoi colori e nelle sue atmosfere più sottili possiamo apprezzare le sue immagini e meravigliarci per la sua grande sensibilità alla luce della città.

Anche John Davies  ci parla di città attraverso uno sguardo leggero e sottile e di ridotta spettacolarità immediata. Nel suo recente The British Landscape (Chris Boot, 2006) compaiono diverse fotografie panoramiche riprese in Inghilterra negli ultimi 20 anni. Il suo  punto di vista, rialzato ma non distante, e la nitidezza delle sue visioni in bianco e nero, ci trascinano dentro il paesaggio; guardando le sue foto siamo con lui nello stesso punto ma se percorriamo col nostro occhio cominciando a muovere lo sguardo sulla superficie dell’immagine, siamo attirati con forza al suo interno e dal  profilo dell’orizzonte, ai tetti  delle case in primo piano, soffermandoci sulle due persone ferme in basso a destra all’angolo della strada… cominciamo a  creare il nostro paesaggio, il nostro racconto… su ogni immagine possiamo rimanere a lungo, c’è sempre qualcosa da scoprire, di non visto ed in grado di stupirci.

Le fotografie di Davies o di Meyerowitz hanno bisogno di tempo: non gridano e non ci colpiscono all’occhio con un pugno colorato e spettacolare. Vanno guardate con lentezza, pagina dopo pagina lasciandoci trasportare dentro un racconto  fatto di sensazioni, dalla leggerezza al sorriso, dalla riflessione allo spaesamento, diverso ad ogni lettura… e, come l’aria fresca di mattina, ci aiutano a risvegliare lo sguardo ormai anestetizzato da troppo “spettacolari” immagini.


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