ll momento anticipato

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Copertina del libro Il momento anticipato, Joel Meyerowitz, Richard Misrach (Edizioni della eridiana, 2005). In homepage, immagine tratta dal sito ufficiale di Joel Meyerowitz.

E’ uscito nel 2005 il libro di Francesco Zanot Il momento anticipato, Joel Meyerowitz, Richard Misrach (Edizioni della Meridiana, 2005) che introduce, finalmente in Italia, il lavoro di due grandi paesaggisti americani: Joel  Meyerowitz e Richard Misrach, uniti (sin dagli anni settanta) da un comune atteggiamento esplorativo nei confronti del paesaggio urbano il primo, desertico l’altro. Si tratta di un lavoro editoriale particolarmente importante poiché presenta in modo inedito la ricerca di due fotografi di fama mondiale che nel nostro Paese sono stati pressoché ignorati dalla pubblicistica di settore, se si esclude (almeno per Meyerowitz) il libro, curato da Giovanni Chiaramonte, Joel Meyerowitz, L’avventura delle città (Federico Motta Editore, 1994).

L’interesse che nutro per questa pubblicazione sta nell’aver riportato alla luce alcune parole e modalità fotografiche “forti”, oggi sempre meno affiancabili alla fotografia di ricerca, come: meraviglia, emozione, commuovere, spettacolo del cielo, e soprattutto bellezza. Ciò che accomuna il lavoro dei due autori non è tanto il soggetto ma le modalità con cui entrambi affrontano il paesaggio; modalità che si esprimono con la lentezza e la contemplazione. Dice Misrach: “…non dobbiamo dimenticare che non è la cosa che conferisce significato a un momento. E’ il momento che conferisce significato alle cose” (p.153); e Meyerovitz: “…in questo luogo per essere felice mi basta uscire fuori e lasciarmi trasportare dalle emozioni” (p.80). Su questi temi si snoda il racconto di Zanot che traccia un percorso cronologico sulle ricerche dei due autori, iniziata in America ben tre decenni fa ed a mio parere ancora attuale. La forma individuata da Zanot è principalmente “narrativa” e il lavoro di Meyerowitz e Misrachdue è più “raccontato” che mostrato, (non si tratta infatti di un catalogo di immagini  anche se sono numerose le piccole foto  inserite nel libro), da qui l’originalità della ricerca e la possibilità per chiunque, non solo specialisti di fotografia, di comprendere alcune modalità operative e poetiche che contraddistinguono il lavoro dei due artisti americani.

La cosa che sorprende di più in questo lavoro editoriale, per me in modo certamente positivo, è l’aver dato visibilità a lavori fotografici che ci sembrano provenire oltre che da altri spazi anche “da altri tempi”. Infatti, in epoca di immagine digitale da telefonino, leggere di fotografie fatte con enormi fotocamere in legno dai negativi 20×25 cm, e con estrema lentezza alla ricerca di luci ed emozioni del paesaggio urbano o desertico, può indubbiamente risultare fuori tempo. Ma il libro di Zanot, pur trattando di fotografie che risalgono a molti anni fa, non si adopera per fare un¹operazione “alla memoria”, ma, piuttosto, come un auspicio o un ritorno possibile alla bellezza applicata alla fotografia.

Credo che lo sguardo lento e contemplativo sia oggi sempre più difficile da realizzare e per questo – spero di non essere il solo – ne sento la mancanza, in un panorama in cui la ricerca fotografica contemporanea mi pare ancora troppo concettualizzata e ricca di immagini che necessitano di troppe verbose spiegazioni per supportare troppo poca bellezza. Bellezza che, invece, è ritrovabile nelle opere di Meyerowitz e Misrach, sia attraverso gli scatti di “bay sky” (fatti dalla sua veranda di Cape Cod sull’oceano come quelli delle città di Sant Luis o San Pietroburgo), o quelli nel deserto del Nevada devastato dai test nucleari del secondo, legate entrambe da un’attenzione estetica e cromatica non comune. In questo sta, a mio parere, la forza di questi due artisti, perchè trovo che sia ancora importante la bellezza in fotografia anche quando  si affrontano temi drammatici. La bellezza  consente a chi osserva di soffermarsi più a lungo sulle immagini fino a riflettere meglio su ciò che le stesse contengono.Le immagini troppo crude e drammatiche, che abitualmente accompagnano disastri d’ogni tipo, non attirano infatti il mio occhio, perchè lo shock visivo che contengono finisce in pratica per anestetizzare la mia visione  col risultato di  girare pagina sempre più in fretta.

Auspicando questo ritorno alla bellezza in fotografia, concluderei con lo stesso Misrach che dice: “… bellezza, ironia e umorismo sono tutti strumenti per comunicare e approfondire complesse questioni politiche, sociali e psicologiche. Un mondo privo di estetica o filosofia sarebbe semplicemente un’altra forma di olocausto” (p.136).


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