Memory field

Le mutazioni avvenute con la “socializzazione” dei luoghi della cultura ha in qualche modo cambiato la concezione del museo nonché la sua politica gestionale. Quello che era innanzitutto un luogo di osservazione, cultura e contemplazione per un pubblico borghese selezionato, costituisce oggi un elemento di istruzione e di divertimento di massa, grazie anche all’ingresso di un vasto ed eterogeneo pubblico (turisti, scuole, viaggi organizzati,..) che a sua volta ha attratto sponsor e mass-media. Così l’edificio-museo è costituito oltre che dalle sale espositive tradizionali anche da stanze per le esposizioni temporanee, auditori, librerie, biblioteche, mediateche, bar, ristoranti e punti vendita del museo stesso. Il nuovo “tempio laico” dell’arte riformata e massificata diventa anche il canale mediatico più efficace per far conoscere all’esterno una città, mostrare le potenzialità economiche di una regione, ostentare le politiche socio-culturali di un paese. Sebbene l’architettura non abbia il potere di sostituirsi alla storia, ha sicuramente quello di aiutare gli uomini a comprenderla. Nicola Desiderio, direttore di Arcomai ha intervistato il gruppo vincitore del concorso per il Museo Nazionale Estone di Tartu (seconda città d’Estonia), convinti che dalle risposte di Dan Dorell, Lina Ghotmeh e Tsuyoshi Tane possano emergere elementi utili al dibattito sull’architettura contemporanea e ai rapporto che lega l’opera dell’uomo al suo ambiente.

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© Dorell, Ghotmeh, Tane l Progetto per il Museo Nazionale Estone: il tetto a sbalzo che si proietta sulla campagna e il “ponte espositivo” sul lago di Raadi.

Nicola Desiderio. I musei oggi non possono più essere concepiti come dei luoghi in cui si conservano le memorie di un passato vicino e lontano, soprattutto in un’epoca in cui la società contemporanea – ampiamente diversificata dal punto di vista socio-culturale e disinteressata a ricevere dalla visita ad un museo solo una semplice emozione, si aspetta da esso un arricchimento vero di conoscenza. In questo, il nuovo MNE di Tartu si presta bene, raccontando qualcosa di più dei singoli oggetti che al suo interterno verranno esposti: la libertà ritrovata dell’Estonia; un passato “involontariamente” comune ad altri paesi ma vissuto lottando per salvaguardare la propria dignità, identità, lingua e tradizione; una storia “collettiva” – purtroppo poco conosciuta – che oggi più che mai non riguarda solo un paese ma tutto un continente, una parte di mondo che ha subito in silenzio e per decenni un regime devastante e crudele come quello sovietico; popoli che hanno vissuto sulla propria pelle le nefandezze della storia e che oggi si trovano – fortificati nell’anima – a dover costruire sulle macerie degli eventi un futuro diverso. In che modo il vostro progetto ha tenuto conto di questi aspetti?

Dorell, Ghotmeh, Tane. Come hai accennato l’ubicazione di questo Museo Nazionale in questa parte d’Europa dei paesi baltici, ha offerto la possibilità di affrontare il tema di una comune storia “collettiva” – che questi paesi hanno vissuto – e, quindi, di confrontarsi su vicende e ricordi di luoghi che sono poco noti nella storia/immagine comune di ciò che si potrebbe definire come la cultura “europea”. Ciò ha, inoltre, dato l’opportunità di trattare questo caso specifico insieme al periodo post-sovietico e ai suoi rispettivi spazi, specialmente oggi che questi paesi sono in grado di continuare la propria storia in modo indipendente. Importate è sottolineare come si sia potuti entrare nel merito di questo tema grazie, soprattutto, alla tipologia (un museo etnologico) – che noi contiamo di costruire qui in Estonia – ed alla sua scala di intervento (28.000 mq. rispetto ad una popolazione di 1,3 milioni di abitanti).

Partendo da un’ampia scala sino ad arrivare ad una più specifica, questo Museo Nazionale è in grado trattare l’argomento di questa storia e svilupparla spazialmente, attraverso la particolare attenzione nei confronti del luogo assegnato, l’area di Raadi. Il progetto si rivolge in modo specifico alla configurazione spaziale ed urbana degli elementi di questo luogo con la consapevolezza delle loro implicazioni storiche (era post-sovietica) e socio-politiche. Dall’elemento più presente (spazialmente e emotivamente) nel sito, un preesistente campo di aviazione militare, il museo “decolla” per trasformare il suo significato. Attraverso questo prima relazione si ottiene una poetica e singolare configurazione spaziale che adotta la scala dello stesso elemento, a suo tempo matrice della degenerazione di questa parte orientale della città, per rigenerarla a livello urbano. Sfruttando la possibilità di realizzare un “edificio” monolitico, gli spazi del museo si fanno strada in modo appropriato e variegato così da raggiungere gli edifici storici che insistono sul sito (il ristorante diviene un elemento separato attorniato da alberi che penetrano nel piano del museo collegando visivamente alla distilleria e il vecchio museo ENM, i ciclisti passano sottono l’edificio dal basso / le diverse esperienze espositive…).

In questo modo, il museo può essere concepito come la “Casa dell’Estonia” (così definita dai suoi abitanti), come il luogo in cui si può mette a fuoco la storia e la realtà specifica locale con quella nazionale, al punto di estende i dibattito sulla storia dell’area anche oltre i “confini nazionali”.

 

N.D. Nell’articolo, da noi pubblicato, del critico di architettura estone Triin Ojari (Il concorso per il Museo Nazionale Estone: un poesia polemica), si fa accenno ad una polemica (non solo architettonica) innescata da alcuni “oppositori” nei riguardi del vostro progetto. In quali termini sono state poste queste critiche?
DLT. Il Museo tiene in considerazione un elemento particolarmente sensibile presente nel sito di Raadi: un campo di aviazione da guerra che a livello emotivo è carico di ricordi dolorosi a causa degli anni di occupazione sovietica che gli Estoni hanno dovuto subire. Un elemento urbano impossibile da ignorare. Il fatto che il museo se ne sia occupato ha emotivamente toccato gli Estoni e dato origine ad alcune polemica. Mentre alcuni – temendo che con il nostro intervento si sarebbe potuto monumentalizzare la dolorosa occupazione sovietica – erano infatti orientati più a “cancellare” questa memoria e ignorarla; altri, invece, hanno visto nella nostra proposta la volontà di occuparci della loro storia, intendendolo come un gesto verso il futuro, come il tentativo di trasformare il significato “negativo” di questo campo di aviazione in un altro che verrà reso attraverso la piattaforma pubblica adottata nel nostro intervento. A ciò si deve aggiungere anche il riconoscimento della possibilità di creare un Museo Nazionale dinamico che non si chiuda dentro i suoi confini, ma sia capace di ricreare costantemente il suo significato, prestandosi ad una continua costruzione di questa “identità nazionale”. In questo senso, pensiamo che l’intervento museale svolga il ruolo di “Casa Nazionale” grazie al quale gli Estoni si possano interrogare sulla loro immagine/identità.

Su un altro piano, quest’intervento spiega un altro discorso teorico che ha a che fare con le assurdità di una “era modernista”. Possiamo leggere la presenza dell’oramai smantellato campo di aviazione come un assordo spazio utopico che si può paragonare al “monumento continuo” che era stato una volta immaginato da Superstudio. In questo periodo compreso tra gli anni ’60 e ’70, il monumento da loro immaginato era un’aspra critica allo stile internazionale che ripete sé stesso incurante del paesaggio urbano in cui è collocato. In modo provocatorio, attraverso la loro critica esagerata, i membri di Superstudio sono stati capaci di presentare immagini-collages utopiche che istigavano a un contrasto tra uno spazio “astratto” e il vivere quotidiano delle persone che si muovono in questi assurdi spazi. Nel contesto del sito di Raadi, ci siamo trovati con un “assurdo” spazio urbano che taglia il paesaggio. Questa condizione si presenta a noi come un’opportunità irripetibile grazie alla quale appropriarsi di quest’unica “astratta” qualità spaziale e trasformare i suoi significati con molte specifiche situazioni, istigata sempre dai rapporti che esso determina con i nuovi interventi.

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Fotopiano e vista aerea dell’area di Raadi (dal sito www.museumcompetition.org).

N.D. Molte città hanno assegnato spesso a singole costruzioni o a sistemi museali il compito di redimere la realtà di territori urbani destrutturati, slabbrati, abbandonati; di re-istituire collegamenti; di ri-configurare relazioni; di svelare stratigrafie dimenticate, di attivarsi in sostanza come matrice di progetto urbano. Nelle motivazioni con cui la giuria ha premiato la vostra proposta (vedi: PRIMO PREMIO: concorrente nr. 40 – “Memory Field”) è stato rimarcato l’auspicio che Tartu, con la realizzazione del nuovo MNE, trovi nell’area di Raadi una sorta  di risarcimento nei confronti del corpo ferito della città. In che modo il vostro progetto si attiva come dispositivo strutturale di intervento per un contesto come quello indicato dal bando?

DLT. Possiamo affermare che il progetto si comporta come un “dispositivo strutturale” su due livelli. Al primo livello, possiamo discutere del/dei nuovo(i) “significato(i)” che questo intervento museale attribuisce all’area di Raadi. Nella condizione attuale, guardando al sito assegnato, non si può ignorare il taglio urbano o il vuoto che si è creato a causa dell’esistente campo di aviazione militare, la presenza e il significato del quale ha portato alla degenerazione di questa parte della città. La decisione di rivolgere la nostra attenzione proprio a questo vuoto o scarto urbano e di non ignoralo è un passo essenziale per trasformare il significato di quest’area e tentare di rigenerarla. In questo senso, il nuovo museo nazionale non rimane indifferente al suo contesto e sviluppa le sue proprie qualità spaziali ed emozionali attorno ai diversi elementi presenti nel sito. In modo dialettico, attraverso il decollo dalla “pista”, si tenta di appropriarsi e quindi di rigenerare in maniera “paliensestica ” del significato di questo campo di aviazione, e quindi rigenerare l’intera area di Raadi. L’intervento propone poi lo “uso” di questa piattaforma e la sua appropriazione da parte degli Estoni. Non è più solo un campo di aviazione da guerra, testimone di anni di occupazione, ma il tetto e il piano del museo etnologico, una sua estensione, una piattaforma pubblica e artistica, un esempio di land-art che si estende verso lo spazio infinito.

L’appropriazione da parte del museo di questo campo di aviazione, che in sé può essere percepito come un oggetto etnologico, lo fa uscire dalla “scatola” indipendente posta sul terreno per offrirgli una più ampia scala urbana e quindi un impatto ordinatore sull’area circostante, innescando un (nuovo) “speciale” processo di urbanizzazione; un processo che darebbe la possibilità a questo museo di vivere insieme alla città. Questo compito urbano non è facile, non è solo limitato al successo del museo e alle attività che può introdurre, ma dipende anche da una pianificazione responsabile dell’area attorno ad esso. La sfida sarà di evitare, una volta che il valore del terreno si è alzato, di cadere dentro le logiche del mercato economico globale che potrebbe spingere a sviluppi commerciali non regolati. E qui, l’impresa ricade sulle autorità responsabili dell’area che devono mostrare di aver capito l’intervento e di saper gestire in modo oculato lo sviluppo dell’area.

 

N.D. Ciò che colpisce viaggiando per l’Estonia è la “orizzontalità”: il paese è totalmente pianeggiante. Tale prerogativa è talmente forte che si perde anche dentro un mare che io ho sempre visto da Danzica a Tallinn, percorrendo le coste lituane e lettoni, sempre calmo, piatto, silenzioso. È troppo superficiale affermare che la soluzione del nuovo museo in un edificio a piano-unico corrisponde alla volontà di salvaguardare le caratteristiche morfologiche del luogo?

DLT. Certamente, l’aspetto morfologico dell’Estonia e nello specifico dell’area di Raadi è uno di quelli che il Museo ha tenuto in considerazione. Ma al tempo stesso non possiamo ridurre l’intero intervento a questo confronto poiché il processo di progettazione di questo museo è stato il risultato di diversi parametri: la storia del luogo, il preesistente campo di aviazione, la relazione con gli edifici esistenti, la logica interna del museo.…

Formalmente l’edificio-museo si inserisce in modo felice in questa estensione orizzontale e non si pone in contrasto con l’estetica del paesaggio. Quest’orizzontalità è espressa in diversi modi e scale. Infatti, mentre l’edificio può essere immaginato in pianta come un intervento a livello territoriale, esso cambia scala in sezione/prospetto per diventare un profilo sempre più basso sino a scomparire orizzontalmente nella linea del paesaggio circostante. Passando alla forma “generale” dell’edificio, l’esperienza di questo museo può essere descritta come la sovrapposizione di diverse orizzontalità: dall’esperienza longitudinale dello spazio espositivo che annuncia lo spazio orizzontale, il visitatore esce e si ritrova dentro un altro piano orizzontale (la preesistente “pista di decollo”) per poi tornare e ritrovarsi su un’altra orizzontalità (il “tetto” dell’edificio). A questo punto, il museo scopare per divenire informe, annullandosi dentro il piano di campagna.

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© Dorell, Ghotmeh, Tane l Progetto per il Museo Nazionale Estone: planimetria di progetto.

N.D. I musei di nuova generazioni, oggi organizzati secondo complessi sistemi di sicurezza, sono diventati delle vere e proprie “scatole blindate”: sistemi avanzati di controllo/allarme, telecamere a circuito chiuso, vetri antiproiettili spessi e verdastri coprono quasi tutte le opere. Al loro interno il visitatore si muove seguendo una rete (spesso labirintica) di percorsi pre-stabiliti regolata da una serie articolata di costrizioni (non sedersi, non fotografare, non parlare, …) ed ostacoli che lo portano a seguire inconsciamente un programma emozionale standard/globale. Da questa razionalizzazione dei flussi/file – che ordina intelligentemente la macchina museale – emerge in modo preoccupante che un’opera d’arte viene contemplata in media per non più di 30 secondi. A ciò si aggiunge che – prima, durante e dopo questa esperienza il nostro può subire anche un quantitativo elevato di informazioni che, se da un lato lo avvicinano all’arte, può altresì produrre (pericolosamente) intorno a questa un tale eccesso di messaggi al punto da escludere definitivamente il contatto diretto con l’oggetto originale, se non addirittura arrivare a stravolgerne i contenuti di cui esso è portatore. Sul piano progettuale, come avete affrontato questi delicati aspetti?

DLT. È vero che i musei – assomigliando ironicamente a centri commerciali, aeroporti o qualsiasi altra grande “istituzione” pubblica – sono, al giorno d’oggi, sottoposti a rigidi modelli e parametri che scandiscono l’esperienza dell’utente in un modo già stabilito. La sfida in questo contesto è di evitare di fare di quel museo un altro “solito” percorso museale dove, sebbene gli oggetti esibiti differiscano, questi finiscono per avere, a causa della somiglianza con la promenade, la stessa impressione di altre opere esposti in molti altri musei.

Riguardo al nostro Museo Nazionale Estone, possiamo affermare che esso tenta di prendere le distanze da questo prototipo inglobando al suo interno altri “parametri”. Il museo non vuole essere un “padiglione” fine a se stesso poichè correrebbe il rischio di avere un “programma funzionale” e prototipo come sola linea guida per la concezione dei suoi spazi espositivi.

Mediante il collegamento con le strutture presenti nell’area di Raadi è stato adottato un elemento di contrasto nei confronti dei “controlli” standardizzati imposti sui musei. La logica interna dei musei è differenziata qui per seguire una forza “longitudinale” esterna che lo arricchisce e lo libera dal suo prototipo tipico. Mediante il collegamento alla preesistente pista con un’altra entrata, si è potuto distribuire le attività pubbliche in zone differenti del museo e non più concentrate su un solo punto d’entrata.

Un altro aspetto che ci permette di differenziare quest’esperienza museale da altri musei è la peculiarità delle sue attività e oggetti. Fortunatamente, gli oggetti da esporre sono al di fuori della rete internazionale che gestisce quelli di valore. Pertanto, tale materiale è valutabile solo per i significati che rappresenta per il popolo estone. Ciò introduce un altro modo atipico e restrittivo di esporre. Questa mostra dovrebbe essere sviluppata successivamente da una squadra multi-dispilinare in grado di studiare il significato di diversi oggetti e le storie peculiari che questi vogliono raccontare.

 

N.D. In futuro, poiché le opere esposte nei musei (soprattutto i grandi capolavori) non saranno più visibili – se non per pochi secondi e comunque non più ad occhio nudo -, la tendenza, indicata da quei musei che hanno sviluppato le proprie attività commerciali, va nella direzione di dare sostanzialmente in pasto ai visitatori qualcos’altro. Così per questi luoghi il modello sembra orientato verso riferimenti come: il “museo a tema” (un misto tra museo e parco dei divertimenti); il “museo-mall” che trova il proprio simbolico complimento nel grande centro commerciale sotterraneo; il “museo-monumento” (vedi Guggenheim di Bilbao); il “museo-catena” o “museo-satellite” che, all’interno di una rete interna/globale sfrutta la circolazione di suoi prodotti secondo la logica della cultura-consumo; e i nipoti dei “eco-musèes” francesi (museo-spettacolo, museo-territorio, …) che insieme contribuiscono a divulgare la civiltà della citazione e dello svago. Per quanto architettonicamente varie, tutte queste varianti hanno in comune l’essere espressione di una “politica della gestione” che vuole i luoghi della cultura – e quindi anche i musei – economicamente produttivi, al punto che chi li dirige deve essere al tempo stesso maneger, impresario, avvocato, notaio, esperto in comunicazione ed altro ancora. Il nuovo MNE rischia di essere inghiottito da questa logica in un periodo in cui l’Estonia (vedi Tallinn) sembra aver capito oramai (con successo ) da qualche anno che il mercato del turismo e il marketing urbano sono formule veloci/vincenti per il rilancio economico del paese? La scelta di collocare negozi, café e bar di pertinenza del museo nei locali dell’esistente edificio-deposito dell’ex campo di aviazione è mirata a tenere il più possibile distinte le funzioni museali da quelle commerciali?

DLT. Dobbiamo ammettere che questa è la realtà dei musei oggi, poiché essi stanno diventando prodotti del mondo capitalistico della produzione. La sfida non è ignorare questi spazi commerciali, ma confrontarsi con loro per creare “altri” e unici spazi all’interno di questo museo. La realtà è che, oggigiorno, queste attività creano “attrazione” per le persone e, quindi, la questione è in che modo introdurle nel museo e gestire le loro relazioni con altre attività, così che il museo non si trasformi in un ipermercato. È l’equilibrio impercettibile tra il capitale economico e il capitale culturale del progetto che dovrebbe determinare il suo successo.

Oltre a questo, è l’esperienza spaziale e sensoriale che bisognerebbe creare tramite queste attività in modo che non rimangano spazi commerciali astratti, privi di qualsiasi qualità. Per esempio, il ristorante dell’ENM è uno spazio del museo interno ed allo stesso tempo esterno in cui, perfino dentro la  struttura più grande dell’edificio, vive una propria condizione separata poiché circondato dagli alberi che lo isolano dagli edifici esistenti. Allo stesso modo, ciò che noi proponiamo per questi edifici è un uso sia di tipo culturale che commerciale. La distilleria che era usata come produzione di Vodka può diventare un suo museo-punto di vendita di prodotti artigianali. Il vecchio museo ENM rimane un luogo-archivio che, però, con l’integrazione di altre attività funzionali, potrebbe essere collegato attraverso una rete di percorsi al nuovo intervento. La persistente e vicina cantina-deposito può costituire un’estensione per le attività educative del museo, così come una futura casa per l’artigianato. La rigenerazione economica e di sviluppo di quest’area dovrebbe poi essere possibile attraverso l’assegnazione di attività  “normali” e miste all’interno degli edifici esistenti.

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© Dorell, Ghotmeh, Tane l Progetto per il Museo Nazionale Estone: sistema dei livelli in cui è costituita la piattaforma  e sezioni trasversali dell’edificio.

N.D. D’analisi di alcuni casi eclatanti, si evince che l’architettura museografica esprime oggi quella cultura del progetto dominata dalla logica perversa del “museo-monumento” – che è poi il “monumento-a-rimpire” – in cui il visitare sembra attratto più dall’involucro che da ciò che esso contiene. In controtendenza rispetto ad indirizzi suggellati dal successo di recenti architetture a noi note, considero il progetto del nuovo MNE particolarmente coraggioso, come dimostra la scelta di non voler essere per forza un elemento invasivo, di sorpresa, rottura e seduzione. Anzi, si manifesta come espressione di un programma spaziale sobrio e controllato che nel suo sviluppo longitudinale fa assomigliare – mi si consenta – l’edificio ad un aeroporto o meglio ad un terminal che – sebbene leggermente inclinato verso il cielo e quindi riconducibile ad una pista di decollo – si svela, con la grande hall/finestra di testa aperta all’esterno e orientata verso l’abitato, anche come “pista di atterraggio”: check-in urbano, sala di arrivo, di sosta, di riflessione. Condivide questa interpretazione? Sul piano funzionale e dell’accessibilità come è organizzato il complesso?

DLT. Per prima cosa dobbiamo dire è stata una scelta coraggiosa da parte del Ministero della Cultura Estone quella di aver deciso di indire questo concorso in modalità aperta ed internazionale, invece di affidare l’incarico direttamente ad un “architetto-star” che l’avrebbe inserito dentro l’ormai collaudato mercato “globale” dei monumenti “stilizzati” abbondantemente presenti nel paesaggio europeo. Così, con questa decisione, si è aperta la strada ad un edificio slegato dalla “firma”.

Il Museo Nazionale estone “Memory Field” gioca su due livelli:

Da un lato può essere descritto come un non-edificio, una non-architettura:

  • FISICAMENTE e letteralmente nel suo basso profilo/sezione con il rifiuto di assegnare uno stile architettonico;
  • SPAZIALMENTE nella varietà di qualità di spazi privati a pubblici che esso ospita (il tetto, la pista di decollo, le esposizioni interne, il ristorante, gli auditori …), nell’essere un sistema aperto, un edificio che mantiene un profilo “infinito” attraverso l’apertura verso la pista di decollo, una piattaforma pubblica;
  • SOCIALMENTE, nella molteplicità delle letture sociali nelle quali quest’edificio può essere compreso. Può essere al tempo stesso riconosciuto come un museo etnografico, un museo popolare, uno spazio pubblico, un paesaggio, un land art… uno spazio sociale che rispecchia un edificio frammentato.

Dall’altro, per le stesse ragioni che fanno di questo edificio una non-architettura, può essere visto come un monumento (o un’altra concezione di “monumento”); un paesaggio infinito, un testimonial dello spazio pubblico, o un monumento pubblico. Nella sua scala “esistente”, quest’edificio può essere definito (come da te detto) come una sorta di “check point” urbano che apre un silenzioso ma al tempo stesso forte taglio nel paesaggio urbano. Silenzioso nel suo poetico sentimento e intenso con le nuove attività urbane che genera attorno a sé. Allegoricamente, l’intervento assomiglia ad un aeroporto, dove l’inclinazione del tetto del museo può essere immaginata come se l’Estonia stia letteralmente decollando dal proprio passato

 

N.D. Il cantiere del museo – che si estende su un superficie di 28.000 mq. con un costo stimato di 38 milioni di Euro – inizierà nel 2007 e terminerà nel 2011, anno in cui Tartu sarà la Capitale Europea della Cultura. Sul piano meramente tecnico, cosa prevede il progetto riguardo all’apparato di approvvigionamento (riscaldamento e condizionamento) e a quello di illuminazione (diretta/indiretta), tenuto conto quei particolari aspetti ambientali (clima e luce) che caratterizzano questo paese del Baltico? Inoltre, queste condizioni sono state in qualche modo determinanti anche in fase progettuale?

DLT. L’edificio – com’è stato concepito – tenta (per il suo funzionamento) di conservare e utilizzare l’energia naturale. Al tempo stesso, il fatto che l’edificio sia situato in un’area paludosa (Raadi), ci ha portato a pensare di adottare un trattamento completo per la bonifica di quest’area.

Come si sa i musei hanno bisogno di un tipo speciale di illuminazione che potrebbe consumare molta energia; così abbiamo tentato, attraverso il nostro progetto, di utilizzare il tetto dell’edificio per fornire illuminazione naturale all’interno del museo. Mediante la suddivisione del tetto in livelli e l’introduzione di strati controllabili viene ridotto in modo significato il bisogno di luci artificiali. Mentre l’area espositiva permanente è compresa tra due volumi che necessitano di luci più controllate, l’esposizione temporanea è collocata sul lato Nord del museo. Questa soluzione dà la possibilità non solo di illuminare questa parte del museo con una grande facciata in vetro, ma anche di rendere flessibile uno spazio vuoto per diverse installazioni.

Tecnicamente stiamo lavorando con Ove Arup sulle tecniche di risparmio energetico. L’edificio avrà un involucro ad alta prestazione. Ciò sarà ottenuto da pannelli a triplo strato di vetro e da elementi opachi altamente isolanti. L’involucro, oltre a cercare di ridurre il costo del riscaldamento d’inverno e l’accumulo di calore in estate, fornirà un impianto di riscaldamento ecologico adeguato sul piano tecnico e finanziario alla realtà Estone.

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© Dorell, Ghotmeh, Tane l Progetto per il Museo Nazionale Estone: pianta del piano unico con indicate le funzioni degli ambienti.

N.D. Che cosa rappresenta il monumento del “grande ragno” che caratterizza il vostro progetto?  Dove è collocato e come sarà realizzato?

DLT. Il ragno che abbiamo rappresentato sul tetto rappresenta la scultura dell’artista franco/americano Louise Bourgeois. Questa scultura è stata esibita recentemente al Tate Modern di Londra. Sistemato sulla copertura del nostro edificio, mostra la scala d’intervento che può essere adottata per allestimenti artifici esterni all’edificio. In confronto al volume del Tate che ha adottato questo particolare tipo e scala d’intervento artistico, la “pista di decollo”, di cui il museo se ne è appropriato, dovrebbe attivare, assieme ad altre attività pubbliche, un’arte unica che è possibile solo grazie alla configurazione del “campo di aviazione”. Altre opere artistiche possono essere realizzate sulla pista di decollo attraverso semplici operazioni di land-art come farebbe l’artista Andy Goldsworthy. In questa cornice, qualsiasi intervento museale può essere letto come una sorta di land-art che può essere paragonata ad un intervento a “spirale” dell’artista Robert Smithson.

 

N.D. La storia dell’architettura di questi ultimi decenni si potrebbe anche essere raccontata attraverso i musei (vedi Piano a Parigi, Sterling a Stoccarda, O’Gary a Minneapolis e Libeskind a Berlino,…) non solo nei riguardi delle tendenze linguistiche, ma anche nei confronti della teoria/letteratura, così come della sperimentazione di componenti tecnologico-costruttivi. Gli architetti più disinibiti e preparati lo sanno e hanno sempre guardato al museo come ad un’opportunità unica grazie alla quale raggiungere – attraverso un processo di “sintesi” – ciò di cui l’architettura ha ciclicamente bisogno per esprimere il suo essere: la “poesia dello spazio”. E’ possibile, vista la felice collaborazione che vi lega, fare alcuni ragionamenti sulla cultura contemporanea internazionale del progetto? Che cosa emerge di inedito dalla vostra proposta? In quale direzione si muove l’architettura contemporanea in Europa?

DLT. È vero che, oggi, la “architettura” può essere raccontata attraverso l’evoluzione dei musei. Ciò può essere attribuito al fatto che questi edifici (come altri) fanno parte di quei “nobili” progetti che solitamente vengono promossi dal governo. Così, nel momento in cui il ‘”governo” capitalizza sull’immagine architettonica, si creano le condizione per condurre indagini sullo stato dell’arte dell’architettura, di cui questi edifici ne divengono la “voce”. Anche se essi costituiscano una percentuale piuttosto bassa del nostro paesaggio architettonico, essi hanno la possibilità di essere legittimati dalle istituzioni attraverso il trasferimento del proprio potere su di loro. Possiamo affermare che il nostro museo si rivolge in modo attento a questi aspetti. Esso prova ad evitare qualsiasi pretesa di rappresentare un intero campo “architettonico” mono-disciplinare. Poiché si pone in modo non invasivo rispetto al paesaggio, è in grado di costruire il proprio carattere attraverso il modo specifico con cui si confronta al sito e alla storia del suo contesto. È un intervento che può esse detto architettonico come anche artistico, astratto o sociale. In teoria, affronta diversi argomenti: da una posizione critica di non-architettonico, che era stata sostenuta tra gli anni 60 e 70 e che continua ad essere la base del lavoro di molti architetti contemporanei…, a una posizione più “contestuale” che vuole rispondere ad un sito specifico in cui è situato, per finire alla volontà di appropriarsi in qualche modo di un discorso socio-politico che ha a che fare con resti post bellici e che in questo caso tende a trasformare gli spazi post-sovietici.

Partendo dal fatto che ci presentiamo come il team che ha disegnato questo museo, si possono affermare due cose. La prima riguarda il fatto che stiamo cercando di uscire dal luogo comune che vuole l’architetto come figura “unica” o “geniale”. Nel nostro caso è una collaborazione di differenti architetti. Il secondo aspetto, che può essere singolare nella nostra situazione, è la nostra condizione globale in cui tre architetti di differenti nazionalità e formazione – un italiano, Dan Dorell; una libanese, Lina Ghotmeh; un giapponese, Tsuyoshi Tane – si trovano a lavorare insieme provando a trovare, perfino nella “globalizzazione” che li unisce, una “lente” specifica attraverso la quale possano analizzare in modo critico lo spazio dai loro molteplici punti di vista.

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© Dorell, Ghotmeh, Tane l Progetto per il Museo Nazionale Estone: interno della sala espositiva aperta sul giardini e della lunga galleria.

 

Dan Dorell è architetto, italiano nato a Tel Aviv (Israele).  Dan Dorell si è laureato al Politecnico di Milano dopo aver frequentato un programma di interscambio presso la Mackintosh School of Architecture di Glasgow (Regno Unito). Nel 2000, ha ricevuto una menzione d’onore per il Sarajevo Concert hall International Concert hall. Dan Dorell ha costruito la sua esperienza progettuale collaborando negli ultimi dieci anni con rinomati studi di progettazione internazionali a Milano, Londra e Parigi tra i quali: Renzo Piano Building Workshop (Parigi); Michael Hopkins and Partners e recentemente Ateliers Jean Nouvel (Parigi). Dal 2005, Dan Dorell gestisce uno studio associato di progettazione insieme a Lina Ghotmeh e Tsuyoshi Tane con sedi sia Parigi che a Londra.

Lina Ghotmeh è architetto libanese nata a Beirut (Libano). Lina Ghotmeh si è laureata (con lode) alla American University di Beirut. Durante il suo percorso di studi ha ricevuto il Premio Azar Award (borsa di studio annulale award for Architectural Excellence, Areen Award), il Diploma Project Excellence Award e il Premio Lebanese Order of Architects Honoring membership Award. Nel 2002 ha vinto il primo premio recupero della spiaggia (lunga 1km) della località balneare di Tyr (Libano). Lina Ghotmeh ha costruito la sua esperienza progettuale attraverso la collaborazione con studi internazionali di architettura a Beirut, Parigi e Londra tra i quali: lo studio Bernard Khoury Architects (Beirut), l’Ateliers Jean Nouvel (Paris) e successivamente l’Atelier Foster Nouvel a Londra, una joint venture tra l’Ateliers Jean Nouvel (Parigi) e Foster and Partners (Londra). Dal 2005, Lina Ghotmeh gestisce uno studio associato di progettazione insieme a Dan Dorell e Tsuyoshi Tane con sede a Parigi e Londra.

Tsuyoshi Tane, è architetto giapponese nato a Tokyo (Giappone). Tsuyoshi Tane si è laureato alla Hokkaido Tokai University (Giappone). Durante i suoi studi ha trascorso due anni in Svezia e Danimarca rispettivamente alla Chalmers Technological University di Goteburg. Dopo la laurea ha trascorso un anno alla Royal Danish Academy of fine Arts di Copenhagen. Durante i suoi studi ha ricevuto il Premio AIJ (Japan Institution of Architecture) Silver Diploma per la sua tesi e lo Student Excellence Award di Hokkaido. Nel 2002 ha ricevuto il Premio SD per il 21st SD Review, nel 2003 una menzione speciale al concorso per il centro di informazione KUMANOKODOU, e nel 2004 il premio vincitore per il 23rd SD Review  (Giappone). Tsuyoshi Tane ha costruito la sua esperienza progettuale attraverso la sua collaborazione con studi internazionali di architettura a Tokyo, Copenhagen e Londra tra i quali: lo studio Shigeru Ban Architects (Tokyo); Henning Larsens Tegnestue AS (Copenhagen) e David Adjaye Associates (Londra).  Tsuyoshi Tane, nutrendo un particolare interesse per la danza contemporanea, nel 2004 ha collaborato col coreografo giapponese Jo Kanamori alla performance del balletto “SHIKAKU”. Dal 2005, Tsuyoshi Tane gestisce uno studio associato di progettazione insieme a Lina Ghotmeh e Dan Dorell con sede a Parigi e Londra.

 


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