Bologna si muove o rimane a guardare?

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© arcomai l Il museo Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry ingloba nella sua articolazione compositiva la preesistente struttura del grande ponte di scavalcamento stradale sul fiume, contribuendo a monumentalizzarlo con l’opera d’arte, l’architettura con cui dialoga.

Si è tenuta venerdì 5 maggio, presso la sala senatoriale di Palazzo Ratta in Bologna, la prima conferenza inserita nel ciclo più ampio d’incontri, dibattiti e spettacoli, inaugurati con la mostra in Galleria Accursio il 28 aprile, intitolati BOLOGNA SI MUOVE, organizzati dall’assessorato Pianificazione Territoriale e Trasporti della Provincia di Bologna. “Territori, città e mobilità” è stato il tema su cui hanno esposto e dibattuto, introdotti e moderati da Franco Farinelli, dell’Università di Bologna, diverse personalità, coinvolte a vario titolo, sui temi della gestione e la trasformazione urbana legate alla mobilità.

Giuseppe Campos Venuti, urbanista, ha aperto la discussione passando in rassegna le vicissitudini che hanno portato la città di Bologna a fare in passato delle scelte, ritenute allora lungimiranti e coraggiose, sui temi dei trasporti pubblici e privati, raccordando prima molto da vicino il traffico su gomma con il doppio anello autostrada-tangenziale e poi cercando di compensare con il potenziamento del servizio ferroviario locale: temi questi di strettissima attualità (da cui la pertinenza di tutta l’iniziativa) per il futuro prossimo della città, messa di nuovo di fronte a scelte strategiche sugli stessi argomenti di funzionalità complessiva e trasporti.

Sconcerto e perplessità ha suscitato l’intervento, quasi provocatorio, di Marco Ponti, economista di lungo corso, che ha cercato di sostenere e dimostrare come in realtà siano solo le strade a plasmare il territorio, mentre le ferrovie, ed il trasporto pubblico in generale, non riescono da sempre ad avere un uguale conseguenza, soprattutto se si analizzano e si paragonano, conti alla mano, i costi rilevantissimi delle politiche e degli interventi a favore della mobilità collettiva con i valori di rendita, ugualmente ingenti, forniti dalla mobilità privata (tasse sui carburanti, concessioni, pedaggi…), quindi, invitando a riconsiderare attentamente le logiche univoche a favore del potenziamento della mobilità pubblica, in rapporto ai costi-benefici che ne derivano, alla luce anche dell’attuale e futuro scenario economico-finanziario di crisi.

Un poco trasognato è apparso il contributo dato al dibattito da Yodan Rofè, architetto che opera prevalentemente in Israele, e che vede nel tema della riqualificazione della grande viabilità cittadina la soluzione ottimale ai problemi di mobilità e d’accessibilità urbana, soprattutto in rapporto alla vivibilità degli spazi abitati attraversati. Dal momento che abbiamo da molti anni dimenticato come si fanno delle “belle strade principali” e che queste sono anche di riflesso una delle principali identità della città, la ricetta “manierista” può essere quella di guardare agli albori della città moderna, in cui il Boulevard ne caratterizzava positivamente la nuova immagine, legata alle nuove dinamiche di trasporto, pubblico e privato, rese compatibili con tracciati complanari a diverse velocità, ampiamente arredate dal verde dei filari multipli d’alberi ed in cui, soprattutto, il pedone aveva una quota molto significativa della sezione (larghissima) del tracciato stradale.

La cura proposta è quindi il recupero della funzione sociale della strada, del fattore di scambio che è stato da sempre a fondamento del valore urbano. Governare il conflitto tra il movimento e l’accessibilità, accettando una diminuzione della velocità (sempre più supposta, stanti gli ingorghi diffusi) a favore di un aumento della mobilità e dell’accessibilità delle aree cittadine, è la proposta “ingegneristica” rispolverata, nella direzione di integrare maggiormente le infrastrutture di trasporto con il contesto urbano. Ammesso sia possibile la perfetta funzionalità di tale riproposizione, è di certo difficile recuperare lo spazio necessario per operare con sezioni stradali assai ampie e comunque è una soluzione parziale, che procede solo per tratti molto ri-qualificati, ma senza dare una soluzione complessiva a tutta la città, anzi, imponendo delle gerarchie.

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© arcomai l Il parcheggio scambiatore di Strasburgo di Zaha Hadid è un’ampia area intermodale in cui avviene lo scambio tra diversi mezzi di trasporto, pubblici e privati (auto, bici, bus, tram, treno) in cui l’architettura si fa land art, paesaggio, con un semplice gesto di folding.

I contributi più estremi ed interessanti sono parsi quelli di Franco La Cecla e di Pippo Ciorra, dichiaratamente contrapposti. L’antropologo italo-spagnolo ha proposto una modalità di risoluzione alla congestione urbana incentrata esclusivamente sul recupero della pedonalità. Dal momento che nella contemporaneità abitare significa sempre più “stare in casa”, a differenza di un secolo fa fino al quale si abitava prevalentemente per strada, (cioè molte funzioni ed attività relazionali e lavorative avvenivano all’aperto), il concetto di residenza, in quanto staticità ed esclusione sociale, è una prerogativa solo della città moderna, ed in quanto tale ritenuta deleteria. Il modernismo ha promosso la mobilità solo dei veicoli e non già delle persone, anzi ne ha indotto il progressivo allontanamento dallo scenario urbano, verso contenitori chiusi e/o individuali.

La visione, tutta sociale della città, porta invece a facilitare al massimo la mobilità dei pedoni, ritenendola la “prima mobilità”, per favorire di nuovo la socializzazione delle comunità, di recente dissolta dal traffico dei veicoli, che hanno occupato gli scenari da sempre appartenuti ai pedoni, i veri “cittadini”. Con questa inversione di tendenza si dovrebbe riuscire a favorire il commercio minuto, di vicinato, dotato di potenzialità relazionale assai maggiore della grande distribuzione: il primo si relaziona con il pedone e la strada dei “viandanti” che unisce, la seconda con le superstrade dei veicoli che separa. Dal momento che tra le tante definizioni possibili che si possono dare alla città quella di “luogo delle persone” ha senz’altro ancora un valore attuale, la quasi totale impraticabilità di questo luogo è l’ennesima conferma del “fallimento dell’urbanistica” e del modernismo. Le “città si devono pertanto riconsegnare ai pedoni” è la proposta “estremista” del sociologo, agendo una regressione netta sulle velocità dei mezzi di trasporto, poiché “qualsiasi mezzo di trasporto più veloce impedisce agli altri più lenti di circolare liberamente”, per cui tutto si deve livellare sui valori più bassi, facendo così trionfare la democrazia e naufragare il progresso e l’evoluzione.

L’architetto contemporaneo deve credere assolutamente nell’innovazione, cercando disperatamente di valutarne il potenziale di crescita sociale e culturale: per questo Ciorra propone invece un’accelerazione di prospettiva di dinamicità. In quest’ottica, un elevato tasso di democrazia si ottiene elevando i livelli d’accessibilità e di mobilità urbana e territoriale: muoversi in città, anche se in maniera virulenta, è l’anima del modernismo, e pertanto anche la velocità è democrazia, se riesce a fare raggiungere ogni luogo. Di fatto, la città diffusa, che caratterizza in nostri scenari insediativi, rende difficile muoversi perché dilata le coordinate delle connessioni e pertanto l’infrastruttura di trasporto diventa la città possibile: l’architettura assume così il ruolo d’elemento negoziale tra città e infrastruttura e diventano importantissime le relazioni che si riescono ad instaurare tra questi. Oggi, la ”infrastruttura ibrida l’architettura” con molte proposte di convivenza: la strada-mercato è oramai da tempo uno degli archetipi della città contemporanea.

Comunque, anche per poter camminare (passeggiare) in città c’è bisogno di usare la macchina, perché quasi sempre si vive e si lavora altrove. Il problema della contemporaneità è quindi infrastrutturare la città (diffusa) per renderla coesa e praticabile: in questo processo, le infrastrutture possono essere viste come l’unico “tracciato di fondazione moderna”, anche se spesso si interviene a posteriori, ed alta dev’essere la consapevolezza del tracciato stradale, per gli effetti che induce. In tale incedere si deve andare verso la densificazione dei territori abitati, dal momento che solo la densità elevata riesce ad andare d’accordo con le logiche urbanistiche/trasportistiche. Le infrastrutturazioni urbane sono in definitiva le migliori occasioni per attualizzare la città, se si cercano tutte le possibili integrazioni con l’arte, il paesaggio ed il “nuovo senso della città”.

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© arcomai l La stazione ferroviaria di Standelhofen a Zurigo di Santiago Calatrava si dispone su tre livelli sovrapposti, mettendo in relazione-tangenza le linee metropolitane in sotterranea con le ferrovie nazionali, un parcheggio scambiatore ed alcuni percorsi pedonali, trasformando l’infrastruttura in scenografia urbana mirabilmente integrata con un giardino pubblico.

In definitiva, il dibattito ha riproposto molti dei temi della città d’oggi ed alcune possibili soluzioni di problematiche tipiche, ma poco si è parlato delle peculiarità della città di Bologna e dei problemi che propone.  Calandosi in questa realtà si può allora immaginare che più di una riflessione è doveroso fare sull’efficacia ed il potenziale trasformativo che si avranno con l’attuazione delle recenti programmazioni trasportistiche, prime fra tutte l’Alta Velocità ed il metro-tranvia, in rapporto ai costi ed i disagi che si dovranno ancora sostenere, le reali portate di questi nuovi mezzi e la tipologia di viaggiatori coinvolti, il tutto in uno scenario urbano forse impreparato a sostenere tanta innovazione.

Di nuove strade di rappresentanza non sembra esserci possibilità di prevederne, neanche attraverso la trasformazione degli assi esistenti, dal momento che mancano gli spazi adeguati per entrambi: l’interesse sulle tipologie stradali dovrà semmai attestarsi sui nuovi ruoli e l’immagine che la complanare autostrada-tangienziale dovrà assumere, una volta realizzato il Passante nord, per riuscire ad appartenere alla città. Diverso è invece il discorso della riconquista della città da parte dei pedoni per la risocializzazione urbana: nella città per eccellenza dei portici, e cioè della separazione dei flussi come modello insediativo, il problema sembrerebbe non sussistere, anche se non pochi sono i contrasti emersi per la dilatazione proposte delle ZTL ed in conflitti quotidiani per l’”eccessiva” invadenza dei pedoni rispetto ai bisogni residenziali, nella città pedonale che tende sempre più a coincide con la città dei consumi e dei divertimenti. Lo scenario più interessante lo apre senz’altro l’attuazione del Piano Provinciale della Mobilità, in funzione delle opere che si dovranno realizzare e se queste riusciranno ad essere anche occasione per ibridarsi con l’architettura, il suo portato di contemporaneità e la capacità di nuova immaginazione: in definitiva, la città è sempre stata il luogo dello “stupore” e può ancora così tornare ad esserlo, uscendo da un lungo immobilismo e mettendo in moto prima di tutto il pensiero.


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