I cartelloni ci svelano i segreti della città

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 © arcomai l I manifesti presentano le convenienza del tram su gomma (maggio 2004).

Alla conferenza “Estetica dell’architettura e percezione dello spazio urbano”, organizzata da ARCOMAI nell’autunno del 2003, il Prof. Franco Farinelli nel ricostruire in poche battute il concetto di città dal ‘500 in poi – “…per Torquato Tasso la città era una radunanza di uomini non una serie di oggetti  […] in epoca dei lumi la città era tale perché identificata come spazio fisico ben definito entro un recinto (la cerchia muraria) […] mentre  oggi è (invece) un’entità astratta di cui è difficile, impossibile e forse inutile tentare di definirla poiché non più riconoscibile e circoscrivibile da segni/confini/limiti chiari” – arriva a dimostrare come in ogni epoca: “la città è tale nella misura in cui riesce a produrre un’immagine condivisa in sé e a farla circolare”. In questo, secondo il professore, Bologna è un caso straordinario essendo stata sin dal medioevo “città informazionale” che, grazie all’elaborazione/diffusione del “sapere”, ha esportato nel corso dei secoli e in tutto il continente modelli del “vivere” civile.

Bologna, come una qualsisia altra città, sebbene abbia subito profonde trasformazioni durante le diverse epoche, si trova ancora adesso a dover fare i conti con il comunicare se stessa. I mezzi a sua disposizione oggi non sono solo i libri e le pitture, ma un complesso sistema di media del quale fanno ancora parte i vecchi cartelloni stradali, tra l’altro attualmente in via di rottamazione essendo stati (almeno lungo i viali di circonvallazione) per buona parte sostituiti da quelli di nuova generazione. Mettendo a confronto due campagne informative, indette nel giro di pochi mesi dalle due compagini politiche che si sono fronteggiate nell’ultime elezioni, cercheremo di svelare quale messaggio, oggi, la città dia di sé.

Nel maggio del 2004 a poche settimane dalle amministrative, la giunta uscente aveva fatto affiggere per le strade di Bologna quatto grossi manifesti aventi tutti per protagonista TEO, il Tram Elettrico a guida Ottica. L’obiettivo era quello di far conoscere al cittadino il sistema di trasporto pubblico di massa che sarebbe stato di lì a poco adottato per risolvere i problemi legati al traffico. I quattro cartelloni, tutti caratterizzati da altrettanti ritratti che con il loro sorriso mimavano il percorso trasversale (direzione est-ovest) che la line tranviaria avrebbe percorso, così dicevano di TEO:

“Per me, il modo PIÙ PULITO per attraversare il centro di Bologna”,
“Per me, il modo PIÙ VELOCE per attraversare il centro di Bologna”,
“Per me, il modo PIÙ MODERNO per attraversare il centro di Bologna”,
“Per me, il modo PIÙ COMODO per attraversare il centro di Bologna”.

Con la vittoria del sindaco Sergio Cofferati su Giorgio Guazzaloca si è tornato a parlare (dopo quell’estate) di SIRIO: un sistema (già esistente ma mai attivato) di telecamere che, posizionate nei punti di ingresso alla ZTL (Zona a Traffico Limitato) della città e rilevando le targhe dei mezzi privati non autorizzati ad entrare nel centro, agisce come spietato vigile (automatico) e/o potenziale dissuasore nei confronti dei disubbidienti delle quattro ruote. Così nel febbraio 2005 prende così il via una nuova campagna di messaggi stradali che, ucciso TEO, [ri]presentava SIRIO sulla scena urbana con due slogans:

SIRIO SI ACCENDE, LA CITTÀ SI ILLUMINA.
Il più grande centro culturale di Bologna, il centro storico.
(4.000 posti auto fuori la porta).

SIRIO SI ACCENDE, LA CITTÀ SI ANIMA.
Il più grande centro commerciale di Bologna, il centro storico.
(A piedi o in bici la città svela i suoi segreti).

Dal confronto di queste due campagne non solo si manifestano due diversi modi di concepire il sistema della mobilità, ma anche due visioni (altrettanto lontane tra loro) di interpretare la città o meglio ciò che viene da entrambe definito “centro”. Nel primo esempio il messaggio è chiaro (forse troppo): “Abbiamo un centro che – divenuto parte ingombrante della città – va assolutamente attraversato con l’aiuto di un sistema di trasporto pubblico efficace e all’avanguardia”. Nel secondo invece, sebbene si voglia dire sostanzialmente che: “Liberato il centro dalle automobili questo può divenire catalizzatore culturale e commerciale della città”, il messaggio necessita di una più approfondita riflessione. Infatti, tralasciando il fatto che la tecnologia qui adottata oltre ad essere poco innovativa è anche repressiva, viene spontaneo chiedersi come il (questo) centro possa essere più “centrista” rispetto agli altri (universitario,  commerciale, amministrativo, fieristico, sociale, sportivo, ecc.); ma soprattutto in che modo il muoversi a piedi o in bicicletta possa contribuire a fare della ZTL “Il più grande centro culturale” se non addirittura “Il più grande centro commerciale” di Bologna. Quest’ultimo obbiettivo ci sembra francamente troppo ambizioso se non altro perché la città è servita da una fitta rete di “efficientissimi” centri commerciali (appena al di fuori la cintura dei viali di circonvallazione) abitati ogni giorno da migliaia di persone che tra l’altro hanno lì la possibilità di parcheggiare (senza limiti di orario e gratuitamente) la propria auto, a differenza dei posti appena “fuori la porta” che invece si pagano profumatamente.

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© arcomai l I manifesti preannunciano l’adozione del sistema di tele-controllo SIRIO (febbraio 2005).

Quindi mentre da una parte abbiamo la fin troppo schietta “indifferenza” nei confronti della città-ZTL, dall’altra emerge una sorta di “mitizzazione” della stessa che di per sé non basta a risolvere i problemi della città contemporanea. Riflettendo su questo dualismo emerge però quel “fattore comune” che fa sì che la città, anche se divisa sul piano della visione politica, riesce a far comunicare se stessa attraverso un messaggio univocamente [con]diviso: “Il problema della città è il centro storico; risolto questo la città sta bene”. Con riferimento alla definizione del Prof. Farinelli (sopra citata) i limiti di questa concezione culturale garantisce ancora a Bologna il suo status di città, ma ciò è fermo ad un livello meramente “ordinario”, poiché avendo perso l’unicità che la distingueva dalle altre, Essa non è più “città informazionale”, non è più il laboratorio della comunicazione, non è più in grado di essere promotrice di modelli aggiornati, innovativi e dinamici da seguire, da esportare e diffondere all’esterno.

Se esiste oggi un problema con il centro, non solo a Bologna ma soprattutto in quasi tutte le piccole e medie città italiana, questo va trovato nel voler continuare a dare ad esso una connotazione simbolica e/o funzionale chiusa, statica e omologata, quando poi i parametri e le dinamiche che regolano oggi il “sistema città” sono altri. Per mantenere il primato che le spetta, Bologna dovrebbe puntare sulla costruzione di un centro de-centralizzato, de-storicizzato, de-constestualizzato, de-funzionalizzato; di una presenza che non sia un problema ma qualcosa d’altro, di diverso, di alternativo, di imprevisto; di un’anima che si attivi come centralità esterna/estranea alla rete funzionale dei centri-servizi; di un pensiero che diventi manifesto di un cambiamento radicale e che si imponga come nuovo media per un sistema dell’informazione in cui paradossalmente “cartelli incollati su cartelloni”, oggi, dicono con la loro sinteticità più di quanto l’overdose faziosa dei media informatizzati riescano a comunicare.

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© arcomai l I cartelloni stradali di ultima generazione alle prese con una campagna pubblicitaria in cui si fronteggiano due note compagnie telefoniche.

 

Il temi qui tratti sono stati presentati dal sottoscritto alla seconda sessione “Comunicare l’architettura” delle giornate di studio sull’architettura promosso ed organizzato a Riesi (CT) dal Villaggio Monte degli Ulivi nel dicembre 2005.


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