L’architettura in formato tabloid
I giornali EURO ZERO.
Il dibattito sull’architettura non può, oggi, essere affrontato al di fuori del mondo globalizzato dell’informazione che, per quando riguarda la carta stampata, sta vivendo una stagione per noi particolarmente interessante. Mi riferisco a quei giornali EURO ZERO Printed in Italy (es. Urban, Project, City, Metro o Leggo) che oramai da almeno tre anni hanno invaso crocevia, fermate di autobus e stazioni delle principali città italiane. A parte l’essere gratis, questi quotidiani sono stampati in formato più ridotto nelle dimensioni e coinciso nei contenuti, secondo una formula di stampo anglosassone che ha portato anche nobili testate come l’inglese The Times ad uscire (sulle orme de The Independent) in veste di tabloid, proprio per agevolare chi lavora e si muove con i mezzi pubblici. Oggi si è ben informati solo se coinvolti nel traffico, se si è pendolari, se si lavora al computer, se si e’ costretti, in sostanza, in uno stato di attesa e a volte noia. Domani l’informazione non si pagherà più. Tutto sarà in-formazione e tutti noi saremo “formati” poiché sapremo di tutto un po’ – sfogliando ciò che ci accade intorno, senza essere costretti ad approfondire “il tutto” – e liberi[?] di conoscere solo quello che ci interessa. Perché dovrebbe essere diversamente anche per le riviste di architettura?
Tralasciando volutamente il variegato e complesso mondo editoriale in rete nonché quello dei quotidiani di tutto il diorama della carta stampata e specializzata in Italia, sembra essersi accorto del cambiamento in atto solo Il Giornale dell’Architettura – fratello del già veterano e più corposo Il Giornale dell’Arte – che, anche se con scadenza mensile, esce dall’ottobre 2002 in edicola in veste di quotidiano. E lo fa “parlando” al grande pubblico con titoli d’effetto, articoli sintetici e immagini quasi tutte in bianco e nero, a dimostrazione che non basta solo “informare” su come si muove il “mondo del progetto”, della formazione, dell’istruzione, ma seguirlo e commentarlo costantemente. Il tutto privilegiando un approccio nuovo al modo di “comunicare” l’architettura rivolto ad un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori. Significativo è come ogni numero del Giornale sia aperto fino agli ultimi due giorni che precedono la messa in stampa, operando così, anche solo per qualche notizia, come un vero e proprio quotidiano di architettura; anche se poi il sistema della distribuzione annulla inevitabilmente questo lodevole “vorrei ma non posso”. Nella polaroid intitolata “La Architektur in fascicoli” dell’autunno 2003 avevamo riportato una notizia pubblicata proprio dal GdA, in cui si documentava l’esperienza alternativa della rivista austriaca FORUM che usciva nelle edicole con una inedita formula suddivisa in più giornali.
Da questi esempi emerge come alcune redazioni tentino con coraggio di snellire forma&modi del fare informazione, mentre la maggior parte dei protagonisti del panorama editoriale di settore continua a perseguire (soprattutto in Italia) formule e linee editoriali-commerciali oramai anacronistiche, perché indifferenti ai cambiamenti della dimensione mediatica: il mondo è cambiato e con esso anche l’architetto che è poi&pur sempre un lettore. Oggi, se è possibile, prima di spendere dai 15 € in su, le riviste si sfogliano per verificare se dentro non vi siano gli stessi servizi/progetti che saltano da un magazine all’altro nel giro di poche settimane con i soliti disegni, i soliti renderings e le solite foto, quelle tra l’altro imposte dai diritti di chi le scatta che però fa risparmiare alle redazioni l’invio in loco di un inviato.
Le copertine delle rviste di architettura o.bjecto e Il Giornale dell’Architettura.
Un lettore (un po’ disinibito) sa bene che gran parte delle pagine dei periodici vengono sponsorizzate da chi sarà poi ospitato con i propri lavori, o meglio dalle ditte produttrici dei materiali con i quali tali progetti vengono realizzati, allo stesso modo in cui altri marchi di mobili, mattonelle, rubinetti,… patrocinano onerosamente le riviste, occupandone in modo sempre più invasivo lo spazio messo loro a disposizione. Un tempo l’indice si trovava dietro la copertina, ora lo si deve cercare tra le pagine centrali del volume, lì collocato quasi a sancire le diverse clausole contrattuali tra chi vende bagni e chi pezzi di città. Il risultato è che, per quanto vi siano nomi autorevoli all’interno dei comitati scientifici, gran parte delle nostre riviste più note si sono trasformate, e per questo vivono, in “cataloghi” pubblicitari di lusso. Ciò’ e’ dovuto a politiche aziendali molto commerciali che probabilmente si rendono necessarie per fare in modo che queste testate non siano costrette a chiudere, come è accaduto recentemente ad altre riviste che hanno fatto la storia dell’editoria.
In un momento in cui nel nostro paese si registra il proliferare di nuove riviste di architettura, proprio in una stagione in cui è piuttosto raro vederne di vera, ma soprattutto in un’epoca in cui l’audio-visivo e il digitale sembrano aver non sostituto ma sicuramente spiazzato l’informazione su carta, il livello culturale nel nostro paese ha subito una tale flessione che fa dell’italiano il lettore più pigro tra i coinquilini del “Condominio Europa”. Di fronte a questa realtà si auspica per tutto il panorama editoriale nazionale un cambio di rotta che possa portare anche ad una inedita “alleanza” tra tutti coloro che intendono aggiornare il proprio modo di “parlare” di architettura.
Con questo augurio attendiamo con fiducia che la “nostra cultura” si appropri nuovamente di quella componente critica verso il progetto e il suo tempo – che tanto ha influenzato generazioni di architetti (non solo italiani) e prodotto stagioni irripetibili – così da renderla rappresentativa del percorso di una società all’interno di un processo di nuova crescita e – perché no – divenire il ‘timoniere’ di una riforma di più ampia portata. Infatti, convinti che l’architettura possa essere strumento di cambiamento, noi crediamo che le riviste abbiano oggi più che mai una grande responsabilità. Se le redazioni avranno volontà e coraggio di uscire dallo stallo edonistico ed auto-referenziale in cui si trovano oggi, e partecipare in modo attivo ed integrato all’interno del mondo della comunicazione – partendo magari dal ri-considerare struttura&forma del loro essere rivista – allora queste potrebbero divenire presenze attorno alle quali attivare un processo di svecchiamento, coltivare strategie di intervento, incidere sull’emancipazione di altri ambiti della società civile, costruire una nuova “era” dell’architettura in Italia.
I giornali EURO ZERO.