Housing a Bologna per l’amministrazione

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© arcomai l Cantieri edili in fase di completamento e nuovi insediamenti lungo la fascia periferica bolognese.

I FATTI

  1. Bologna torna sotto i riflettori nelle riviste di settore. Si producono studi specifici, ma, si palesa il “poco da dire”. È certo, invece, che si è detto troppo di una sola esperienza, ovvero il “centro storico”.
  2. Una politica della casa promossa da un’Amministrazione comunale dovrebbe passare attraverso il progetto, oltre che per i programmi e le quantità. Dovrebbe incentivare la ricerca anziché riproporre un modello obsoleto, che ha esattamente quarant’anni. Bisogna riflettere inoltre sulla tradizione del moderno anziché evocare malinconicamente il mitico centro storico, etc. …. Le questioni sollevate sono molto più corrispondenti ed organiche, anzi “simpatetiche”, di quanto si voglia credere.
  3. Si noti come non solo Parma e Modena siano più attive di Bologna nel promuovere iniziative sulla trasformazione della città, ma anche Ferrara e Cesena risultino più dinamiche (vedi le nuove sedi universitarie) Tra i piccoli centri segnaliamo Budrio, vincitrice di un concorso europeo con relativi finanziamenti con il progetto di riuso della torre dell’acquedotto. Anche questo è un tema interessante, se è vero che le Amministrazioni hanno sempre meno fondi fissi ed esiste tutto un mondo di finanziamenti possibili a cui attingere sistematicamente (vedi anche Ravenna con la darsena). Non risulta che Bologna sia attiva in tal senso.

I PUNTI

  1. Bisogna andare oltre il “centro storico” come ultimo evento noto al dibattito a Bologna.
  2. A Bologna, nell’attività professionale così come nel mercato edilizio, il tema residenziale e’ prevalente.
  3. proposta: LA RESIDENZA COME MOTORE DI RIQUALIFICAZIONE NELLA CITTÀ ESTERNA AL CENTRO STORICO. Questi gli strumenti operativi:
    • impostazione di STU su aree specifiche individuate dall’amministrazione, preferibilmente già costruite; meglio se private ma con difficili attese di valorizzazione. L’alternativa è un bando tipo “programmi integrati”;
    • convegni ripetuti di presentazione e informazione su cosa s’intende fare e come;
    • applicazione di procedure concorsuali aperte accompagnate da workshop e da iniziative partecipative guidate;
    • applicazione di innovazioni possibili di tipo urbanistico e regolamentare – ricerca di nuova normativa…;
    • ricerca progettuale;
    • procedure di valutazione aperte secondo i criteri impostati nella fase c);
    • evidenza e pubblicità dei risultati e attraverso questa marketing urbano cosciente;
    • segnale chiaro contro le corporazioni, i “professionisti della partecipazione” e gli slogan;
    • accordi pubblici e pubblicizzati.

La premessa.
La visibilità nazionale ed internazionale del modello urbanistico bolognese è ancora oggi, nella sostanza, riconducibile al Piano di Edilizia Economica e Popolare per il centro storico, che risale alla fine degli anni ’60, sebbene le condizioni strutturali dell’assetto urbano siano profondamente mutate in rapporto al quadro originario. A partire dagli anni ’90, si registra la progressiva perdita di credibilità del modello della “città chiusa” (1) , premessa alle politiche della casa per il centro storico, rispetto alle problematiche di “area vasta” (è noto il ritardo almeno ventennale rispetto allo sviluppo delle stesse tematiche in ambito europeo). Le questioni connesse, confermate dal riconoscimento di Bologna Città Metropolitana, in base alla legge n°142/’90, non sono state tuttavia in grado di generare una riflessione capace di superare i confini provinciali e di “provincialismo”, nonostante l’importanza degli argomenti trattati e, soprattutto, non hanno promosso un effettivo e sistematico monitoraggio della nuova configurazione che la città stava assumendo. L’amministrazione locale, infatti, ha progressivamente ridotto la propria responsabilità alla promozione e gestione della rete infrastrutturale, complice la distinzione, introdotta dalla legge regionale 20/2000, tra Piano strutturale e Piano operativo (il primo interpretato, riduzionisticamente, ad oggi, come “piano delle “infrastrutture). Oggi, pertanto, Bologna sembra aver perduto la consapevolezza della propria corporeità/urbanità tra centro storico e dimensione metropolitana. Queste considerazioni si integrano con la crescente preoccupazione per il consumo di suolo, risorsa per definizione non più riproducibile, indotta dai fenomeni di dispersione insediativa sintetizzati nel concetto di città diffusa (2). Ripensare il ruolo delle espansioni urbane e del tessuto consolidato tra centro e periferia (definibile come “zona grigia”) assume pertanto un valore strategico. Pensare a questo tessuto consolidato significa essenzialmente “pensare la residenza a Bologna”. Tra centro e infrastrutture c’è infatti una estesa zona interstiziale fatta di “case” esistenti o possibili, case che si porterebbero in dote i necessari spazi di servizio.

Il tema.
Bologna, nel corso degli ultimi 15 anni, non è stata più in grado di promuovere efficaci politiche di housing, sebbene “la casa” costituisca la parte più rilevante del sistema insediativo, delegando all’iniziativa privata la progettazione, costruzione, promozione e gestione del relativo mercato (3). La qualità degli interventi, peraltro legata all’occasionalità delle circostanze ed alla disomogenea lungimiranza degli attori coinvolti e, soprattutto, tradizionalmente “non premiata”, non ha prodotto un sistema coordinato di iniziative, inseribile all’interno di un più organico progetto urbano. L’edilizia convenzionata ha costituito l’unica forma di correttivo praticata, spesso solo virtuale, senza che ciò abbia potuto incidere in termini strutturali sulla configurazione della città. (4) Per effetto di politiche sostanzialmente disattese, Bologna continua a registrare una sistematica emorragia di abitanti a favore dei comuni della cintura, che ovviamente coinvolge soprattutto le categorie con minor capacità di reddito e, in generale, tutti i ceti sociali, ma anche, ricordiamolo bene, categorie abbienti o comunque portatrici di domanda elevata e qualificata che in Bologna non ha modo d essere soddisfatta (e non è importante per il cosiddetto “rinascimento” tenere in città professori e professionisti, imprenditori …?). Il fenomeno determina una condizione di degrado sociale ed economico; il tessuto locale, infatti, viene non solo privato delle risorse umane più giovani ed efficienti, insieme a quelle “più ricche”, sulle quali sarebbe opportuno investire per il futuro della città, ma anche di potenziali risorse economiche, necessarie a garantire un sufficiente bacino d’utenza per far fronte ai costi di esercizio per servizi pubblici di livello adeguato. Investire sul tema dell’housing significa, pertanto, pur nel rispetto di un sistema policentrico metropolitano, promuovere iniziative capaci di invertire il fenomeno in atto. La nostra opinione è che si dovrebbe fare il contrario di quanto oggi si propone insomma, densificare e riempire di servizi la città, e non costruire, anzi continuare a costruire, satelliti enormi all’esterno molto spesso del tutto definibili come “suburbi”, alias dormitori. Il problema, inoltre, è quello di capire come coniugare l’esigenza di alloggi a prezzo equo con la qualità degli interventi, in modo tale da rilanciare anche l’immagine complessiva della città e, inoltre, se il prezzo equo debba essere imposto o, piuttosto, favorito dalle condizioni di contorno. (5)

La proposta.
La necessità, o meglio “volontà”, di avviare una sistematica azione sul tema dell’housing, oggi e qui, per noi, questo è il nostro contributo se si vuole, deve necessariamente contemperare forme di parternariato tra amministrazione pubblica e forze private. La scarsa forza finanziaria della pubblica amministrazione impone, inoltre, la ricerca di alleanze virtuose con il mondo del credito al fine di garantire la fattibilità dei contenuti, già impliciti nelle linee programmatiche di questa Amministrazione. La legislazione nazionale, in tal senso, offre strumenti interessanti, in grado di stimolare la ricerca di fonti di finanziamento in funzione del perseguimento di interessi dichiaratamente collettivi. Le Società di Trasformazione Urbana, per esempio, istituite dalla legge Bassanini bis, n°127/’97, integrate dall’art. 120 del nuovo Testo Unico degli Enti Locali (Dlg. n°267/2000) e dalla successiva Circolare esplicativa (n°622/2000), permettono a Comuni e Città Metropolitane, in qualità di soggetti proponenti, di promuovere Società per Azioni relativamente alla progettazione, esecuzione, gestione e commercializzazione di interventi di rilevanza strategica ai fini della riqualificazione urbana, perseguendo in tal senso finalità di pubblica utilità. Attraverso meccanismi di pubblica evidenza, ovvero prevalentemente mediante bandi d’asta pubblica, viene stimolato il coinvolgimento di soci privati, contemperando gli interessi pubblici di cui sopra con le legittime aspettative di redditività d’impresa. Il legislatore individua nelle iniziative di riqualificazione di aree industriali dismesse, nelle aree comprese nel cosiddetto tessuto urbano consolidato (definito dalla classificazione vigente di PRG come zona “B”), nell’edilizia residenziale pubblica e nelle aree contraddistinte da una inevasa carenza di servizi collettivi i temi da privilegiare. In tal senso le iniziative da intraprendere a Bologna troverebbero condizioni ideali di sviluppo nello strumento assegnato. Ma, poiché le STU sono “solo” uno strumento di gestione, tipicamente intermedio tra fini e risultati, è proprio sul cosa e come fare, cioè nella definizione chiara ed operativa di fini e modalità, che vuole intervenire questa proposta. E ci vengono in mente, per stare in cronaca, le caserme e le aree ferroviarie.

Il progetto comunicativo per la città.
Le Società di Trasformazione Urbana (STU) non contemplano esplicitamente il ricorso a strategie partecipative da affiancare alle procedure di pubblica evidenza richieste per la selezione dei soci privati. La delicatezza del tema dell’housing, e la sua capacità di promuovere una ridefinizione strutturale della configurazione urbana, suggerirebbero il ricorso a politiche di ampia condivisione dei contenuti e, d’altra parte, questa Amministrazione fa della questione partecipativa “la strategia” del proprio operare. Noi riteniamo prevalente, dal punto di vista operativo e nel caso specifico, l’informazione rispetto alla condivisione, l’assunzione di responsabilità rispetto al consenso, la prova e la ricerca rispetto al risultato ottenuto, la partecipazione, appunto, se non altro perché se i secondi termini sono auspicabili, è solo attraverso i primi che si possono raggiungere. A volte pare che la politica, fissando i soli secondi termini, non sappia o non voglia perseguirli “praticamente” attraverso “la fatica” dei primi; che, naturalmente, vanno inventati qui ed ora, cioè per vie sempre aggiornate e nuove, non presi dalla letteratura solita. Oggi più che mai, la delega implicita nel concetto di democrazia “rappresentativa” deve essere integrata da forme di partecipazione “diretta”, innanzitutto attraverso nuovi canali (che non siano, in pratica, i soli quartieri, le sole associazioni, i soli partiti, i soli ordini professionali, … i soli “organizzati” insomma). Tale forma potrebbe e dovrebbe trovare attuazione, momento di verifica e di visibilità pubblica, secondo noi, all’interno delle attività dell’urban center che il Comune intende perseguire ed incentivare. In tal senso l’attività dell’urban center potrebbe diventare il luogo nel quale “informare” i cittadini, innanzitutto, della complessità degli attuali strumenti di gestione del territorio, integrando il momento partecipativo con una funzione prettamente informativa più spinta e “tecnica” di quanto in genere non si voglia, cosa diversa dai “laboratori” partecipativi avviati dal Comune, e ben vengano, anche se non ne sappiamo abbastanza ma stiamo con il giudizio entusiasta dell’Assessore. (6). Chi non sa o non comprende bene le cose è più restio ad affidare deleghe, ovvero delegando “al buio”, spesso non concede i tempi e le risorse perché le procedure ed i meccanismi avviati abbiano modo di svilupparsi ed andare a compimento (trattasi della fibrillazione tipica che genera la sindrome del governo interrotto).

Note
(1) in altro senso ancora, Bologna è città chiusa, in senso economico e culturale-sociale-antropologico; qui trattasi di modello urbanistico, ma il dubbio che non sarà mai “condiviso” un modello “aperto” permane. ANCHE OGGI, vuoi per contrapposizioni “politiche” (non ideali o ideologiche) permanenti e pervadenti, vuoi per l’abitudine a contrapporsi sterilmente sul piano teorico e degli interessi di parte al fine di non fare nulla e addebitare le colpe ad altri, insomma, è e resta chiusa anche l’urbanistica (il suo modello, la sua normativa, le sue procedure). Ciò è in contraddizione con il forum e l’apertura ai contributi di tutti di cui questa è un esempio?, no purtroppo. Ringrazio l’Assessore e tutti i collaboratori per avere aperto lo spazio del dibattito, ma non posso non constatare che lo spazio del fare e delle scelte è riservato ai soliti. Perché ancora una volta le scelte di fondo, quelle importanti davvero, vengono fatte in stanze chiuse, senza evidenza, e poi vengono SOLO comunicate, per condividerle? Chi sono i consulenti dell’Ufficio di Piano o dell’Assessore per il PSC?, come sono stati scelti?…
(2) ci pare poi che la Provincia ed il Comune, oggi, sostenendo il cosiddetto modello “policentrico”, vadano pervicacemente in tale direzione. Se per non “appesantire” Bologna di ulteriore costruito la proposta è di costruire di più, molto di più, in Provincia … proprio laddove il rapporto con la campagna, vera, è più vero, laddove le masse edificate tendono a costituirsi come basse cementificazioni a macchia d’olio erodendo più territorio che se, invece, fossero interpretate secondo l’edilizia alta, possibile ed auspicabile, in ambito urbano; laddove ai costi ed agli effetti dell’insediamento si sommano i costi e gli effetti amplificati degli spostamenti. Il tutto in una provincia fatta di paesini e paesoni al confronto di un’unica vera città, capace, se solo si volesse, di mettere in campo enormi aree degradate da riqualificare e comparti interi da demolire e ricostruire, una città che, fatta salva la collina, i fiumi ed i corridoi ecologici, ha margini di crescita dimensionali naturali, vedi i confini amministrativi ristretti, che inevitabilmente verranno occupati, semplicemente l’urbanistica li avrà abbandonati, salvo poi piangersi addosso per colpa del “mercato” o dell’iniziativa degli “speculatori”. Nel tentativo di “decongestionare” Bologna poi non bisogna privare la città di risorse (si rifletta sul circuito: abitanti – consumi – tasse – servizi – ricerca – cervelli – polo metropolitano – lavoro – abitanti – consumi – tasse – …).
(3) cosa, di per sé, non è necessariamente negativa.
(4) l’effetto calmierante presunto, peraltro, è palesemente fallito; inoltre, già ragionare in termini di correttivo è sintomo di una rincorsa vana piuttosto che una buona impostazione. Oggi il Comune propone di mettere in ballo le proprie aree, sulle quali non si applicherebbe la rendita fondiaria. Se così sarà, sarà un gran bene, ricordiamoci però che nel recente passato proprio il Comune ha incassato la rendita in più occasioni. È banale forse, ma per noi sostanziale, prendere a riferimento oggi quanto sta facendo Milano con le proprie aree e con la sequela, proprio così, di concorsi di progettazione sulle medesime.
(5) con strumenti amministrativi o incentivi, per es. a tipologie innovative “castrate” dai regolamenti edilizi.
(6) Non abbiamo né la pretesa né la volontà di occuparci della “politica della casa”, ma le abbiamo invece a riguardo del “progetto di case”. Non intendiamo assumerci ruoli politici, ma civili si. Tenuto conto, inoltre, della “alfabetizzazione” progettuale dei cittadini, forse necessaria. In particolare poi sul tema dell’architettura “contemporanea” e non convenzionale.

Bibilografia OIKOS E REGIONE EMILIA ROMAGNA “forme e tracce dell’abitare”, TESTO DI RESOCONTO EDILIZIA PUBBLICA-CONVENZIONATA IN REGIONE FINO AL 2003. Le realizzazioni per lo più si caratterizzano per pochezza concettuale ed assenza di concretezza. I riferimenti di progetto sono estetico-emozionali; non si lega la programmazione-politica ad una rigorosa ricerca architettonica. GOMORRA – N° 7/2004 –“BOLOGNA, LA METROPOLI RIMOSSA” – LA VISIONE DI BOLOGNA DALLA PARTE DEI “ROMANI”. Il titolo del numero monografico sintetizza efficacemente la condizione di arretratezza in cui langue il dibattito urbanistico in corso. La cultura del centro storico viene contrapposta a quella metropolitana. L’obiettivo è quello di dimostrare che, al di là delle dichiarazioni di intenti, il modello di “città chiusa”, intesa in termini tanto urbanistici quanto “corporativi”, sembra prevalere nei fatti rispetto a quella “aperta”. “PRESS LETTER DI LUIGI PRESTINENZA PUGLISI” – COMMENTO SUL NUMERO DI GOMORRA SU BOLOGNA. La percezione che si ha di Bologna dall’esterno, e che abbiamo noi dall’interno, è esemplificata prima dallo stralcio del testo di Ilardi, poi dal commento acido di Brini ed infine dalla controreplica di Parmeggiani. Emerge un quadro di sconforto. “OTTAGONO DI OTTOBRE” N°174/2004. Finalmente una rivista che trova “qualità” in alcune architetture a Bologna, qualità dunque presenti ma episodiche. La rivista prescinde dalla storia della città per concentrarsi sulle dinamiche in corso, soprattutto per quanto concerne la pratica architettonica. In tal senso si evidenzia il ruolo del privato nella promozione di iniziative che, per quanto sporadiche, rivelano l’insorgere di una pratica sperimentale attenta a coniugare una coscienza ormai globale del progetto con i vincoli della cultura locale. I temi proposti confermano la centralità del tema residenziale.“L’URBANISTICA DELLE AREE METROPOLITANE” – VOLUME CURATO DALL’INU EMILIA ROMAGNA – INSUPERATO SULL’ARGOMENTO NONOSTANTE DATI 1992. La disanima dei modelli urbanistici ed urbani assieme è efficacissima ed ancora aggiornata. Molto concretamente ed opportunamente qui si introduce il concetto di “marketing urbano”, ad oggi ancora considerata certo una parolaccia dagli “urbanisti” militanti.”GIORNALE DELL’ARCHITETTURAN°25/2000”. Rappresenta la prima aggiornata riflessione organica sui destini dell’urbanistica bolognese. Viene riscontrato l’avvenuto superamento del modello della “città chiusa”, strumentale al Piano per il centro storico della città, per effetto di un processo “spontaneo” di dispersione dell’urbano sul territorio metropolitano, sostenuto dalla impalcatura infrastrutturale del Sistema Metropolitano Ferroviario. In tal senso la città reale sembra perseguire alcune ipotesi già contenute all’interno del Piano Intercomunale degli anni ’70. Rileva inoltre la perdita di unità ed organicità urbana, a fronte di un paesaggio oramai contraddistinto dalla frammentazione e da una evidente articolazione per “parti” realmente autosufficienti dal punto di vista insediativo, sebbene non complementari in termini funzionali. Il compito dell’urbanistica, nel futuro prossimo viene sostanzialmente individuato nel dare forma compiuta al fenomeno in atto, contrastando la dispersione attraverso operazioni di ridensificazione urbana in alcune polarità strategiche. L’ARCHITETTURA. CRONACHE E STORIA N° 576/2003. Offre un bilancio esauriente della storia della città, integrato da un’analisi degli interventi di trasformazione urbana più consistenti: PRU, Programmi Integrati, Accordi di Programma, Concorsi di progettazione internazionali, progetti istituzionali di grande “respiro”. Il quadro complessivo conferma la frammentazione delle iniziative e, soprattutto, individua un doppio “regime” delle trasformazioni, delle cui ricadute l’Amministrazione locale non sembra essere consapevole. Da una parte, infatti, i grandi interventi, in ragione dell’impatto sul sistema urbano, vanno sistematicamente in deroga alla logica di piano; dall’altra gli interventi di trasformazione capillare, che vanno progressivamente a saturare gli spazi interstiziali rimasti nella città, ridisegnandone la struttura complessiva, sono sottoposti ad un regime di vincoli che risulta astratto ed indipendente dalle caratteristiche degli specifici contesti.

 


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