Contro la gerentrocazia

È stato pubblicato oggi nelle pagine de Il Corriere della Sera un articolo di Italo Rota, intitolato “Gli anni in cui si poteva essere bravi anche da giovani”, nel quale, con riferimento alla mostra Piero Portaluppi, linea errante nell’architettura italiana del ‘900 che la Triennale di Milano dedica (dal 19 Settembre al 4 Gennaio 2004) all’architetto milanese(1888-1967), l’autore dichiara: ”Nessuno immaginava che fosse bravo, ma uno scenario necessita di menti giovani e sgombre da preconcetti”. Rota, mettendo a confronto la generazione di architetti di quegli anni con quella che oggi occupa la scena contemporanea, elabora un ragionamento critico di cui ne riportiamo una parziale sequenza per noi particolarmente significativa.

“Con l’avvento del fascismo l’apporto dei trentenni alla costruzione della città fu determinante: Terragni, Figini e Pollini, fino a Moretti che, anch’egli ventiquattrenne, progetta il Foro Italico a Roma. Mussolini ed il regime fascista facilitarono i giovani architetti (concorsi, aiuti economici, inserimenti nelle riviste e nelle case editrici), inserendoli nella èlite culturale ed economica del Paese. Saranno loro a sviluppare quello che viene definito l’ambiente moderno. Molti diventeranno nel dopoguerra maestri e professori, come Gio’ Ponti e Ernesto Rogers. Molti dei loro allievi, oggi settantenni, sono divenuti, invece, i più acerrimi nemici delle giovani generazioni. Sembra che l’architettura sia solo fatta da loro e, dopo, il nulla. E oggi, a cinquant’anni, si viene considerati ancora “giovani architetti”. Dominati da questa gerontocrazia precoce si pensa che l’architetto per essere utile debba avere almeno sessant’anni (non è raro vedere giovani trentenni di successo, milanesi, far fare la casa da architetti settantenni). Mitterrand in Francia durante il suo doppio settennato ha allevato due generazioni di architetti, quella di Jean Nouvel e poi quella di Dominique Perrault, l’autore della Grande Bibliotèque, da lui terminata ancora quarantenne. In Italia la crisi della società e la mancanza di visioni e di desiderio di futuro ci stanno portando verso una Disney del passato con mobili di modernariato”.

La condizione di ri-stallo, decadenza e de-crescita in cui vive oggi il mondo dell’architettura in Italia, qui denunciata da Rota, è in realtà la stessa che vivono altri settori della cultura contemporanea nel nostro paese. L’architettura, a differenze di altri ambiti del fare, ha il potere di segnare la storia con le sue opere, e allora facciamo in modo che le giovani generazioni siano messe nelle condizioni di essere protagonisti del loro tempo e di costruire il proprio futuro, solo così un popolo potrà essere sempre orgoglioso del proprio passato.


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