“Bamboo Stalactite” per un’architettura degli equilibri oltre lo “freespace”

© arcomai I ll padiglione Bamboo Stalactite affacciato sul bacino della Darsena Grande (Arsenale).

Mi trovavo ad Hanoi proprio in questo periodo dell’anno di due anni fa quando feci visita allo studio VTN Architects – fondato nel 2006 dall’architetto vietnamita di fama internazionale Vo Trong Nghia (classe 1976). Ero di passaggio in quei giorni e contatti Takashi Niwa (allora partner dello studio), con il quale mesi prima avevo avuto una lunga video-intervista durante la quale aveva risposto (con minuzia giapponese) alle mie domande su progetto da loro realizzato ad Da Nang; e poi successivamente recensito da me sulle pagine della rivista Abitare. Visto che la mia visita ebbe un preavviso di sole poche ore, la prima cosa che Takashi mi disse – dopo avermi fatto accomodare – era che ero fortunato a trovarlo in studio poiché nei giorni successivi l’intero ufficio sarebbero andato ad un ritiro di meditazione nel nord del paese. Successivamente l’architetto giapponese, mi ha poi porto le scuse/saluti di Nghia, che essendo quella settimana ad Ho Chi Minh City – dove ha un altro ufficio di progettazione – non mi ha potuto incontrare.

© VTN Architects I Bamboo Stalactite, pianta generale. 

Poiché anche il personale di Saigon si sarebbe unito ai colleghi di Hanoi, per trascorre 10 giorni in un centro buddista, VTN Architects sarebbe stato “chiuso per meditazione” per l’intero periodo, cosa “commerciale” improbabile in un mercato cosi’ competitivo come il nostro. Incuriosito sulle politiche interne dello studio, ricordo che la prima parte della nostra piacevole conversazione fu proprio riguardo a come il personale trascorresse (collettivamente) il proprio “free-time”, come quell’ora di meditazione che ogni giorno viene consumata da tutto lo staff prima di lavorare.

© arcomai I Bamboo Stalactite, vista.

Ricordo che, mentre Takashi mi parlava dello studio e dei progetti in corso, dentro di me sorridevo ricordato la mia esperienza lavorativa a Londra durante la seconda parte del primo decennio di questo secolo, conclusasi con l’inizio di quella crisi economica mondiale, partita da una “bolla immobiliare” scoppiata negli Stati Uniti nel 2007, che ha “intossicato” l’intera Europa, passando proprio dal Regno Unito. Era anni in cui (alcuni) colleghi e amici che lavorando nei noti studi della capitale inglese – e che a volte frequentavo dopo le ore lavorative – erano regolarmente sotto psicofarmaci (per tenersi “productive”) mentre altri non erano sotto stupefacenti vari ed abuso d’alcool, consumati non solo durante il fine settimana. Una percentuale, non certo alta ma ben distribuita sulla mappa della creatività del “Made in London”, testimone all’epoca di un costume di vita che ha avuto – a mio avviso – riflesso su un’architettura che io definisco “doppata”. Un “common sense” applicato ad una disciplina le cui trasgressioni hanno certamente subito un freno (a causa della recensione) ma di cui non ne ha saputo approfittare per rivedere i suoi fondamentali e rieducare un mercato a volte eterodosso sul piano etico.

© VTN Architects I Bamboo Stalactite, prospetto.

L’architettura secondo lo studio VTN e’ un processo complesso che necessita di purificazione ed equilibrio – a partire da chi la crea. Una lezione unica che va oltre il modo di fare la professione. ma al tempo stesso di difficile lettura se ci si ferma al voyeurismo superficiale del “villaggio globale” – espresso da ArchDayly – di cui, paradossalmente, ha usufruito VTN per farsi conoscere in tutto il mondo come uno dei maestri contemporanei dell’architettura in bambù. Al di la’ delle apparenze accattivanti dei suoi lavori, la filosofia progettuale dello studio va ricercata ben oltre. Il padiglione intitolato Bamboo Stalactite, ideato per la 16a Biennale di Architettura di Venezia, può aiutare a comprenderla. Non credo che Takashi abbia collaborato al progetto, poiché ha di recente aperto un proprio ufficio di progettazione, qui ad Hanoi. Ma il modus operandi sono gli stessi espressi in altri edifici a cui lui ha certamente collaborato come il caffè Kontum Indochine a Kontum (Vietnam, 2013), la cupola multifunzionale Diamond Island Community Hall di Saigon (2015) o il ristorante Ting Xi Bamboo a Xiamen (Cina, 2017).

© arcomai I Bamboo Stalactite, vista.

Il padiglione, antistante l’area dell’ufficio stampa all’Arsenale, ha un’altezza di 6m, una larghezza di 14m e una lunghezza di 27m. E’ composto da 11 moduli romboidali (colonne spaziali), ciascuno formato dalla combinazione di 2 strutture di guscio iperbolico, il tutto a formare un sistema di copertura a volte (paraboliche) a crociera che si poggia sul terreno, conferendogli quella forma a “stalattiti” che da’ il nome all’opera. Solo le travi strutturali del padiglione erano già state preparate in Vietnam; mentre la maglia (intrecciata) di bambù, che da’ volume al padiglione, e’ stata montata a Venezia (in 25 giorni) da 8 operai vietnamiti insieme all’aiuto di studenti. Il materiale appartiene alle specie Dendrocalamus e Phyllostachys che sono particolarmente adatte per le costruzioni grazie alla loro elevata resistenza. Le caratteristiche statiche (in particolare per il carico del vento) sono state verificata dallo studio italiano di ingegneria Ergodomus di Franco Piva.

© VTN Architects I Bamboo Stalactite, assonometria strutturale.

La fitta orditura di canne fornisce un efficace effetto di ombreggiatura che, insieme a una serie di poltrone color arancio, contribuisce a creare un “spazio libero” – cosi’ da tradurre in pratica il motto “Freespace” proposto dalle due curatrici generali di questa edizione della mostra. Yvonne Farrell e Shelley McNamara parlando del padiglione hanno detto: ‘Il termine stalattite è intrigante e suggerisce che questa struttura è stata concepita come sospesa dal cielo, semplicemente toccando il terreno in punti per non volare via”. Una suggestiva e poetica descrizione dell’opera che contiene (involontariamente) significati che possono essere riconducibili a quella filosofica delle polarità complementari – nota dello Yin e Yang – che e’ alla base, non solo della medicina tradizionale cinese diffusa anche in Vietnam, ma di un modo di vivere (associabile ai principi del Taoismo, Confucianesimo e Buddismo) praticato in gran parte del continente asiatico. Infatti per questa dottrina lo Yang (il potere creativo, maschile, forte) e’ associabile al Cielo, mentre Yin (l’elemento femminile e materno, buio, ricettivo) alla Terra. Entrambi affermano il legame necessario fra le cose, certo per distinguerle singolarmente, ma soprattutto per denotare la natura mutevole delle loro relazioni. Ecco che allora il Bamboo Stalactite e’ un edificio: “non-edificio”, effimero, temporaneo, economico, indipendente, trasportabile (smontabile e rimontatile), riciclabile, riproducile (in qualsiasi contesto spaziale), flessibile nella struttura (possono aggiungersi o rimuovere moduli) e nell’uso (museo, scuola, piazza, …). Si’, uno spazio libero, gratuito e aperto a tutti in un luogo che diventa di riferimento in base ai diversi significati per chi lo usa.

© arcomai I Bamboo Stalactite, vista.


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