Mahanakhon – la Breakout Tower di Bangkok

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 © arcomai I Viste della Mahanakhon Tower.

Sono sicuro che molti di voi si ricorda Breakout, un videogioco, realizzato da Atari, che nella seconda meta’ degli anni ’70 spopolo’ in tutte le arcades (sale giochi) del mondo. Scopo del “giocattolo digitale” era quello di abbattere un muro di mattoni posto nella parte superiore dello schermo. Per poter vincere il giocatore doveva manovrare (a destra e sinistra) una piccola barra, posizionata nella parte inferiore del video, con la quale colpire una palla che, rimbalzando, distruggeva uno dopo l’altro tutti i mattoni colorati delle cinque file di cui la barriera era composta. Se il concorrente non riusciva a colpire la sfera la stessa usciva dalla schermata e dopo tre errori, “game over”. Questo gioco ha segnato l’infanzia di molti ragazzi cresciuti tra i primi anni ’70 ed il decennio successivo del secolo scorso. Ole Scheeren, l’enfant prodige dell’architettura mondiale, rientrando in questa fascia anagrafica, ha sicuramente avuto modo di cimentarsi a questo video-game; ed essendo una ragazzo smart, ci piace credere che fosse anche molto bravo.

Guardando per la prima volta la Mahanakhon Tower di Bangkok alle ultime rifiniture di facciata, ci viene spontaneo credere che il fondatore dello studio Buro Ole Scheeren (autore del progetto) si sia ispirato proprio al Breakout. D’altronde anche per il complesso residenziale The Interlace di Singapore – da noi documentato in Le “case” di OMA prendono in giro le “torri” di Singapore – avevamo riscontrato come nell’immaginario compositivo dell’architetto tedesco vi fosse un gioco all’origine del concept: il jenga. In questo caso un “gioco di società” i cui partecipanti, dopo aver costruito una torre con dei blocchetti di legno, devono sottrarre a turno un elemento a loro scelta dalla costruzione e riposizionarlo sulla stessa. Durante l’edificazione, la torre diventa sempre più instabile, così quando uno dei partecipanti sottrae il pezzo che la fa collassare, il giocatore che ha fatto la mossa precedente vince. La nuova torre di Bangkok sembra la sintesi tettonica tra questo gioco da tavolo e il Breakout.

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Il videogioco Breakout realizzato da Atari negli anni’70.

Il complesso è un grattacielo situato nel quartiere centrale degli affari di Bangkok (Silom/Sathon Central Business District)  e precisamente nell’area tra la stazione di Chongnonsi Skytrain BTS ed il fiume Chaophraya. Con i suoi 314 metri d’altezza e’ attualmente l’edificio più alto della capitate tailandese. La struttura ha uno sviluppo commerciale di oltre 150.000mq e comprende una torre (con 200 appartamenti, 150 camere d’albergo e un top-roof che ospita uno sky bar e ristorante) ed una piazza pubblica su cui si affaccia The Cube, un edificio di 7 piani al cui interno si trova un centro di vendita al dettaglio con ristoranti e caffè.

La particolarità di questo progetto e’ senza dubbio dettata dal fatto che la Mahanakhon smantella la tipica tipologia a podio, con cui solitamente si costruiscono questi tipi di edifici (mixed-use), attraverso la creazione di un grattacielo che si sbriciola a terra. Una serie di terrazze a cascata (interna/esterna) enfatizza il gesto “de-costruttivista” che e’ alla base del sistema compositivo dell’opera. Siamo di fronte ad una “non-architettura” dalla geometria instabile, determinata dal “caos” dopo un evento drammatico inaspettato. Che cosa e’ successo? Quale e’ stata la causa che ne ha determinato il collasso? Forse una calamita’ naturale? O piuttosto un attacco terroristico? E’ forse la capitale tailandese oggetto di un’offensiva bellica dal cielo? Strano, qui sotto la torre la vita scorre serena.

Qualunque sia la causa all’origine di questo “disastro” architettonico, l’effetto e’ quello di un lego-building danneggiato dalla cattiveria di un bambino indispettito che – inveendo sul “castello” fatto di pixels 3D giganti – lo riduce in frammenti. Quanto inspiegabile astio! Ancora una volta l’architetto contemporaneo “di grido” si comporta come un archeologo “fai da te” che gioca con la storia, perché oramai disconnesso da tempo ad essa. Ancora una volta viene scomodato (in “forma” di citazione) il costruttivismo (russo) per giustificare un’operazione “de-costruttiva” – cioè “de-costruire” ciò che è costruito – senza una precisa ragione critica. Ancora una volta si da’ la colpa all’avanguardia come alibi per realizzare qualcosa che possa piazzare sul mercato immobiliare qualcosa di “strano”. Per l’ennesima volta si scava nel diorama stilistico della storia, con la inconsapevolezza di aver realizzato – prima ancora che un grattacielo in rovina – un monumento alla decadenza della “civiltà globalizzata” – che e’ poi la “civiltà della paura”.

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© Buro Ole Scheeren I Il diagramma funzionale della Mahanakhon Tower.

E cosi’ assistiamo ad un altro avanguardismo “ready made”, che esclude quei temi sociali e culturali (locali e non globali), che erano propri delle avanguardie storiche. Diamo il benvenuto al nuovo radicalismo “let’s try” che non esprime un pensiero pop ma esalta il bisogno di auto-celebrare lo “smart subjectivism”. Va ora in onda sugli schermi de “La città che non c’è” il “day-after” dell’architettura, lo arch-reality per esorcizzare la “paura” globalizzata, ove si celebrano le rovine della modernità e con essa la dissoluzione dei valori fondamentali (famiglia, morale, identità ed appartenenza) di una civiltà che e’ andata talmente oltre il moderno al punto da non sapere più dove si trova. Tutto e’ glamour, tutto fa moda, tutto va rotto ancora prima di essere usato come i ripped jeans che andavano di modo negli anni ’90, e che recentemente sono stati rispolverati dal mercato della moda con strappi più evidenti e drammatici del passato.

In questo progetto l’architetto sembra voler chiedere aiuto, come colui che ha deciso di suicidarsi e lascia sul tavolo un messaggio, sperando che qualcuno lo trovi e lo aiuti a cambiare idea. La salvezza di questa “non-architettura” va trovata – più che nella de-costruzione – nell’astrazione, intesa questa come la sublimazione della paura, dell’angoscia di fronte alla dinamiche delle cose. L’obiettivo non deve essere il negare l’architettura, distruggendone la sua intrinseca natura costruttiva, ma nel trascendere il reale (astrazione) per creare un nuovo bisogno superiore che ci possa aiutare a comprenderla e controllarla. Oggi l’architettura non è più una disciplina “libera”, perché non più costruita secondo i fondamenti di un mestiere basato sul “saper fare”, ma una pratica del “provar a fare” ricattata delle complesse e degenerate dinamiche del mercato.

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© arcomai I Vista della Mahanakhon Tower.

Scheeren invece di chiedere aiuto a El Lissitzky & Co., dovrebbe ricercare il perché della sua opera in quella di Wassily Kandinskij. E’ proprio il pittore russo – prima ancora dell’avanguardia architettonica – che con la sua “astrazione poetica” (la prima composizione astratta e’ del 1910) prova a comprendere le ragioni delle cose attraverso la dissoluzione dell’immagine realistica sino a ridurla a puro colore. Anche qui il processo compositivo e’ controllato dalla (framment)azione”, ma questa istanza serve a (de)fragmentare” (come si fa per il computer) al fine di (ri)articolare il mondo (lo spazio su disco) secondo un nuovo rapporto con la natura in modo da poter capire il senso dell’oggetto. L’uso di un solo colore (materiale) mostra il grande limite della Mahanakhon Tower, “il vorrei ma non posso” del “nuovo” – che mette a nudo la solitudine del suo autore. Guarda caso il diagramma cromatico (blu, azzurro, verde, giallo e rosso), che spiega la struttura funzionale del progetto, e’ lo stesso dell’astrazione in video del Breakout. Forse chi l’ha prodotto e’ troppo giovane per associarlo al video-gioco, altrimenti avrebbe suggerito al progettista di andare oltre la semplice performance plastica per evitare di fare di questo edificio un monumento. Solo il monumento e’ mono-colore; e se poi ci cresce anche della vegetazione, allora e’ anche rovina.

Dopo l’11 Settembre la “torre perfetta” non esiste più. La puoi solo colpire (figurativamente) prima che qualcuno lo faccia per davvero, esorcizzando cosi’ quella “paura globale” che e’ quella sfuggevole sensazione di impotenza che ci rende tutti appartenenti ad un unico popolo. Poiché le immagini indelebili di quell’evento sono (nelle nostre menti) più forti della realtà, la provocazione di Scheeren e’ solo un sentimento destinato ad essere dimenticato come il nome dell’uomo sul monumento equestre. Ole non ti preoccupare, il limite dei tuoi edifici e’ lo stesso che l’architettura ha sempre avuto nei confronti dell’arte: il non poter essere astrazione. Grazie lo stesso per avercelo ricordato.

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© arcomai I Vista della Mahanakhon Tower.


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