Ho incontrato Salvatore Settis a Jakarta e gli ho spiegato perché qui “la Rotonda” non gira

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© arcomai I Pondok Indah. Cantieri.

Lo scorso anno, proprio durante questi giorni del mese di Febbraio, mi trovavo in Indonesia per lavoro. Una sera mi collegai via internet alle pagine online del quotidiano che sono solito leggere per tentare di tenermi informato sui fatti del mio Paese. Ricordo che mi colpi’ un breve articolo che riportava i risultati di una ricerca, condotta da un team di archeologi dell’Università di Cincinnati (USA), che avevano scavato per anni nelle latrine dei ristoranti di Pompei. Ciò che mi sorprese fu sapere che i cittadini di quella società – “sepolta” drammaticamente sotto le ceneri del Vesuvio – non fosse popolata per la maggior parte da poveri – come una certa letteratura in passato ci ha fatto credere – e che i Pompeiani di allora si cibassero di prelibatezze piuttosto insolite come parti di giraffa o ricci e fenicotteri conditi da spezie arrivate dall’Indonesia. Poiché in quei giorni mi trovavo a Pekanbaru (nell’isola di Sumatra), complice anche la noia, quella notte mi crogiolai nel fantasticare su come queste spezie esotiche, partite – penso io – proprio da quest’isola che e’ la più occidentale dell’arcipelago, avessero potuto raggiungere le coste della nostra penisola. Un viaggio lungo migliaia di chilometri, un “passa-mano” tra commercianti di lingue e culture diverse. Ricordo che prima di addormentarmi provai ad immaginare anche un possibile viaggio a ritroso, speculazione che porto’ ad una domanda – ahimè ancora insoluta – su cosa la civiltà greco-romana, o “classica” in generale, abbia dato in cambio a quel mondo cosi’ lontano e sconosciuto.

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© arcomai I Pondok Indah. Le statue di resina all’ingresso del viale di accesso al quartiere residenziale.

Sono da poco arrivato a Jakarta. Per un mese alloggerò a Pondok Indah a sud della capitale. Il distretto e’ un micro-cosmo che a mio avviso ben rappresenta il presente di un paese cosi’ vasto e contraddittorio come l’Indonesia. In pochi chilometri quadrati sorge un enorme complesso commerciale in via di espansione, un grosso cantiere in cui si lavora notte e giorno alla costruzione di torri, una baraccopoli e un “arcipelago” di ville sontuose in stile “classico” e “moderno” che ha contribuito a dare a questa parte della città il nome di “Beverly Hills’” indonesiana. All’ingresso di una delle strade che servono l’enclave di lusso si trova una statua in vetroresina rappresentante un soldato romano. L’opera posizionata su un piedistallo doveva far parte di una coppia di centurioni a protezione di questa sorta di “Polis della archeologia moderna”. Lui pero’ e’ solo ed e’ anche un po’ malconcio. Oltretutto e’ pure disarmato. Infatti qualche “birbone” gli ha portato via la spada e la fodera come souvenir. Un altro più “maleducato” ha posizionato una bottiglia di plastica vuota dentro il pugno che brandiva l’arma. Per un attimo ho pensato alla rappresentazione contemporanea della decadenza della civiltà da cui provengo. Poi la collega – che con me percorreva a piedi il viale del quartiere – mi ha distratto da un cosi’ deprimente pensiero chiedendomi se quell’uomo fosse “un vostro spartano”. Le faccio notare che il soldato sembra più romano che greco. Interessante equivoco. Romano o Greco? E’ Cesare più “romano” che “greco”, e Omero e’ da considerarsi più “nostro” che dei Cinesi o dei musulmani.

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© arcomai I Pondok Indah. Le case in stile “classicista”.

Nel camminare lungo il viale ho allora immaginato di incontrare Salvatore Settis, autore nel 2004 di un saggio di successo intitolato Futuro del classico (Einaudi, Torino), sperando che egli potesse darmi una risposta alla domanda di cui sopra. Oggi come all’epoca questo pamphlet può aiutare a comprendere il senso di quelle architetture che durante i secoli ed ancora oggi provano a parlare “classico”. Settis ci ricorda che nessuna civiltà può pensare se’ stessa se non dispone di altre società che servano da termine di paragone: un altrove nel tempo (Greci e Romani) cosí come un altrove nello spazio (le civiltà extra-europee). In ogni epoca i popoli, per trovare la propria identità e forza, hanno inventato un’idea diversa di “classico”, termine questo che è sempre stato carico di senso, ma di un senso altrettanto mutevole a seconda degli orizzonti del gusto, della cultura e della società del tempo.

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© arcomai I Pondok Indah. Il lotto vuoto prima della costruzione della villa..

Poiché il ‘classico’ riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro, non c’è da stupirsi che anche in questa parte del mondo si costruiscano ancora edifici ispirati a simboli e modelli cosiddetti “classici” – o più correttamente “classicisti” – e che questi siano di fatto rappresentavi della classe dirigente del presente. sia essa di origine “cinese” – che in Indonesia e’ una minoranza capace pero’ di controllare quasi lo 80% dell’economia dell’intero paese – sia essa etnicamente “indonesiana” – forte di rappresentare il potere politico e militare – sia essa “minoritaria” perché rappresentativa di quel popolo di stranieri (professionisti) che qui da il proprio contributo a far crescere la macchina dello sviluppo. Per questa eterogenea ma elitaria fetta della popolazione il gusto “greco-romano” e’ il trait d’union che la rende “classe dirigente”. Il resto sono più di 200 milioni di persone che non ha di questo tipo di ambizioni.

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© arcomai I Pondok Indah. Grafiti sui muri prima della costruzione della villa.

L’Indonesia, paese di pii di 250 milioni di abitanti sparsi in un arcipelago di 17,500 isole, ha festeggiato lo scorso Agosto i suoi primi 70 anni dall’indipendenza dalla colonizzazione olandese durata quasi 300 anni. L’idealizzazione della grecità e dell’uso del “classico” come repertorio del Rinascimento non lo hanno portato gli Olandesi durante i tre secoli di colonizzazione. Qui il gusto dell’antico sembra essersi sviluppato in modo seguendo una sorta di neo-palladianesimo alla Lord Barlington, qui come altrove usato per scavalcare la storia, per rappresentare un qualcosa d’oltre, avvenuto prima. Se altre grandi civiltà, cinese, indiana, giapponese, vivono oggi gli stessi problemi riguardo al loro passato, forse la spiegazione va ricercate ad un livello più politico che estetico.

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© arcomai I Venditori di elementi da costruzione ornamentali per le strade di Jakarta.

Si tratta di abitazioni enormi ma allo stesso tempo compatte. Sono ville con una sola facciata, chiuse su tre lati da una scatola muraria (di circa 10 metri d’altezza) che le isola dalle altre e soprattutto da ciò che c’è dietro. Prima di essere edificate gli artisti di strada si cimentano in opere grafiche, che come affreschi sono destinate a scomparire. Si tratta di fabbricati solitamente pitturati di bianco. Sono imponenti, over-decorate secondo un diorama dell’opulenza fatti di modanature (colonne, paraste, capitelli, serliane, timpani, chiave di volta, …) ed altre cose apparentemente “inutili”, E’ difficile dare una lettura scientifica e non si sa se esiste un nome per questo stile. Di sicuro lo stile e’ diventato gusto e poi norma; cosi’ non si torna indietro.

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© arcomai I Pondok Indah. Il canale che separa il quartiere residenziale e la baraccopoli.

A pochi metri da qui, al di la’ di un canale maleodorante, esiste una baraccopoli. Una “anti-Beverly Hills”. Anche questa e’ Pondok Indah. Anche in questa realtà c’è l’opera dell’uomo, c’è architettura. Chiamatela vernacolare, spontanea o povera. Direi semplicemente “negletta”, ma al tempo stesso “classica” perché ha sempre convissuto con quella “nobile”, perché e’ il contrario del “classico” inteso come “moderno”. Consentitemi questo gioco di parole per dire che le bidonville sono sempre le stesse ovunque. Forse e’ il vero ed unico stile architettonico “internazionale”, uno “stilema” che nei secoli e’ rimasto pressoché inalterato e per questo “classico”. Queste case sono e saranno sempre le stesse nei secoli e nei millenni. Sono le favelas di Lagos, Manila, Caracas, Bangkok, … tanto diverse fra loro? Luoghi diversi, stesse costruzioni! Sono le baracche del film Brutti, sporchi e cattivi (regia di Ettore Scola, 1976) tanto più belle di quelle di City of God (regia di Fernando Meirelles e Katia Lund, 2002)?

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© arcomai I Pondok Indah. Ponte/Porta di accesso alla baraccopoli.

Come si vive qui? Scusa da quale lato del canale? Bella domanda! Sarebbe doveroso da parte di noi architetti smettere di disegnare ville, centri commerciali ed uffici oppulenti e lavorare solo per quella che ora chiamiamo housing perché la definizione di edilizia economico-popolare e’ troppo old-fashion? Questi termini ‘europeisti” qui fanno ridere. Abbiamo visto nei passati decenni come la cultura/civiltà europea ha saputo dare risposta a queste domande. In Asia e’ difficile dare risposte secondo i nostri parametri di conoscenza. Un occidentale potrebbe pensare che Banda Ace e’ a nord di Sumatra – per gli Indonesiani e’ semplicemente ad ovest dell’isola. In molte parti del paese il nord non esiste. Infatti Surabaya e’ semplicemente al centro dell’isola di Java. La conoscenza e’ fatta anche di di equivoci, o meglio di diversi punti di vista. Quindi tornando al nostro soldato, e’ questi “greco” o “romano”? E’ “antico” o “moderno”? Chissà se Salvatore Settis lo sa? Forse per questo che l’architettura quando si interroga spesso – pur di dare una risposta – sbaglia prendendo spunto dal passato senza accorgersi di essere un po’ ridicola.

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© arcomai I Pondok Indah. Pondok Indah Mall / PIM 2. Il Cantiere.

 


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