“Being with Art” per ispirare “A City that is not for Art”

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© arcomai l Jaques Herzog riceve un riconoscimento dal rettore dell’Università Cinese di Hong Kong.

Jaques Herzog, partner professionale insieme a Pierre de Meuron del noto studio di progettazione svizzero che porta il nome dei loro rispettivi cognomi, ha tenuto questa sera una lecture presso l’aula magna del Yasumoto International Academic Park, all’interno del campus della (CUHK) Università Cinese di Hong Kong. L’architetto ha presentato alla platea – affollata principalmente da studenti locali – solo una rosa ristretta di sei progetti di musei pensati e realizzati in giro per il Mondo: The Tate Modern (Londra,1995) e la sua estensione che sarà completata il prossimo anno, la Galleria per la Collezione Goetz (Monaco di Baviera, 1992), lo Studio Rémy Zaugg (Mulhouse/Francia, 1996), il 306 Pérez Art Museum Miami (Florida/USA, 2013), e lo M+ – il museo all’interno del West Kawloon Cultural District (WKCD) di Hong Kong, la cui apertura e’ prevista nel 2019. Trait d’union di queste opere e’ – come affermato dallo stesso relatore all’inizio del suo intervento, la “Arte” – da cui il titolo del suo intervento: “Being with Art”. In questa cronaca riporteremo principalmente i pensieri che l’architetto ha raccolto per ricordare quelle persone che sono state per loro mentori e straordinari “ispiratori” nella formazione di quella expertice nella progettazioni della “architecture for art” che fa di questo studio di Basilea uno dei più riconosciuti a livello internazionale.

“Il museo e’ il luogo dove le persone incontrano l’arte”, cosi in modo pragmatico Herzog si rivolge, nelle prime battute del suo pensiero, al giovane pubblico; per poi affermare da li’ a poco, che sebbene “Hong Kong non sia una città d’arte, potrebbe diventarlo”, con evidente riferimento al ruolo ambizioso che lo M+ potrebbe giocare per la formazione di una cultura dell’arte su scala sociale. Poi davanti ad una immagine dell’opera che ha aperto le porte della notorietà allo studio Herzog de Meuron, il Nostro entra nel vivo del suo intervento affermando: ” La Tate Modern e’ stata per noi la madre di tutti i progetti e non solo quelli per i musei” […] Il progetto, nato da un concorso indetto nel 1994 e conclusosi con la (loro) vittoria nel gennaio dell’anno dopo, esprimeva la consapevolezza da parte dello art world dell’epoca che noi eravamo le uniche persone in grado di dare qualcosa di nuovo al concetto di museo. La Tate Modern e’ il primo museo al mondo capace di offrire un’esperienza nuova al concetto di spazio espositivo. […] Il progetto ha contribuito a fare dell’arte la sua funzione. […] Sebbene il museo sia uno spazio di per se’ inutile, questo può contribuire a inspirare (le persone) verso altre cose; (il museo ) ci dice più sulla nostra percezione”. Per queste ragioni il progetto trovo’ i favori di Nicolas Bourriaud, allora curatore della Tate Modern. Durante la spiegazione di questo concetto ha mostrato alcune delle più note installazioni ospitate nel grande vuoto espositivo della Sala delle Turbine tra cui” il “Ragno Gigante” di Louise Bourgeois (2002), la “Marsyas” (2006) di Anish Kapoor e la Shibboleth di Doris Salcedo (2007).

“Verso la fine degli anni ’60 e gli inizi dei 70′ eravamo inspirati da alcuni artisti e architetti che ancora oggi fanno sentire la loro influenza su di noi”. Tra questi cita gli americani Andy Warhol (1928-1987) e Donald Judd (1928-1994), perché rappresentativi l’uno della cultura pop e l’altro dell’arte minimalista. Poi si sofferma sulla figura di Joseph Beuys (1921-1986), “.per due motivi: era un sofisticato artista con profondo senso e spiritualità della materia, che e’ il contrario di ciò che solitamente si crede; fu oil precursore della performance come espressone artistica. […] Noi veniamo da Basilea una delle capitali mondiali dell’arte. La città non e’ certo grande come una delle vostre in Cina, ma e’ senza dubbio una delle cinque capitali al mondo per l’arte, grazie anche ad una classe dirigente di livello mondiale”. Le battute successive sono dedicate alle considerazioni su due opere fondamentali. La prima e’ la “6 Boxes” di Donald Judd, che Herzog definisce “una scultura enigmatica che all’epoca piaceva a pochi […] Quelli erano anni in cui gli architetti non si interessavano d’arte, ossessionati dal costruttivismo e post-modernismo che esprimevano il senso del movimento. La seconda e’ l’installazione “I like America and America likes me” (1974) di Beuys.

Nella lista dei personaggi chiave della loro formazione il relatore cita due dei loro professori. Il primo e’ il sociologo svizzero Lucius Burckhardt (1925-2003), figura recentemenete riscoperta grazie ad una mostra al Padiglione della Svizzera alla Biennale (di Venezia). Egli fu tra l’altro anche uno dei più importanti padri del movimento ambientalista europeo (Verdi). “Era una persona polemica, un vero left wing thinker, come lo erano più o meno tutti gli intellettuali dell’epoca”. Il secondo – nonché unico architetto-mentore – e’ Aldo Rossi (1931-1997), “…anche lui comunista, e per questo fu cacciato dall’Italia, fu uno delle prime super start in architettura. Per lui non c’era bisogno di inventare nuove tipologie ma capire quelle esistenti – ingredienti per costruire la città. L’architettura della città (1966) era allora una sorta di “bibbia” (per noi) cosi insieme a Complessità e contraddizioni nell’architettura di Robert Venturi (1966)”. E ancora su Rossi aggiunge di fronte ad un’inequivocabile fotografia di Luigi Ghirri “.. il suo mondo era un mondo eclettico, a parte questa fontana (credo io quella della Scuola di Broni) che si avvicinava molto alla arte povera”.

Ultimo della lista dei mentori e’ l’artista Rémy Zaugg (1943-2005), noto anche come critico ed osservatore della cultura contemporanea specialmente nei riguardi della percezione dello spazio e dell’architettura. Con lui i due archetti hanno stretto una forte collaborazione e amicizia che ha portato alla realizzazione dello la Galleria per la Collezione Goetz,unasorta di museo in miniatura, un prototipo per la progettazione della Tate Gallery of Modern Art di Londra soprattutto per le soluzioni degli spazi chiusi da pareti traslucide.

Alla fine dell’intervento dell’architetto ha fatto seguito uno spazio dedicato alle domande del pubblico che credo non abbiano ottenuto i risultati previsti, per quando la presentazione sia stata piuttosto accurata nel descrivere gli aspetti progettuali delle opere presentate. Infatti per ben due volte il relatore ha liquidato in modo sgarbato – con un secco “Allora non hai capito! La risposta la trovi nella mia presentazione” – i quesiti di approfondimento sui rapporti tra arte e architettura. Come si e’ detto sopra, l’oratore all’inizio del suo intervento aveva affermato che Hong Kong non sia una città per l’arte. Questa convinzione avrebbe dovuto aiutarlo a calibrare il suo intervento senza speculare troppo su personaggi e temi che per ragioni di cultura, storia e gap generazionale sembra aver creato alla platea difficoltà a comprenderne a pieno i messaggi desiderati dall’oratore. I personaggi da lui citati sono lontani anni luce da questi ragazzi, cosi’ come le dinamiche che ruotano attorno all’arte sono molto diverse rispetto a quelle che Hong Kong ha vissuto dall’indipendenza dall’Impero Britannico fino all’attuale “sofferta” convivenza con il governo di Pechino. Le ispirazioni per questi giovani vanno trovate altrove.

Basterà lo M+ a fare del WKCD la «Asia’s World City»? Il cantiere del museo e’ appena partito. Saranno anni impegnativi per tutti fino al completamento dell’intero polo culturale. Nel mentre, invece di pensare a costruire una “società per l’arte” innestando “ramoscelli secchi” strappati dalla “pianta occidentale”, si dovrà capire e alimentare le ragioni di coloro che alla fine dell’anno scorso hanno urlato al mondo (nel primo happening dal 1997) che Hong Kong e’ una cosa “diversa”. La cerimonia si e’ poi conclusa con la consegna di un riconoscimento da parte della Università ad Jaques Herzog.

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© arcomai l Jaques Herzog.

 


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