Quotidian Architectures: Welcome Home

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© arcomai l Former Police Station Haedquarter Building. Viste da Hollywood  Road e dal cortile interno.

Nel 2006, in occasione della Biennale di Architettura curata da Richard Burdett, il Belgio si presento’ a Venezia con un allestimento intitolato La beauté de l’ordinaire. La bellezza dell’ordinario offriva l’opportunità di soffermarsi a considerare le bellezze della banalità territoriale del Belgio, mostrando al pubblico variegate prospettive estetiche, provocatoriamente modeste, finalizzate a far scoprire e comprendere la cultura e la società di un Paese la cui urbanità può essere tradotta coll’efficace neologismo, coniato dall’artista di Bruxelles Juan d’Oultremont, “abruxellation” che,  estendibile all’intero Belgio, sintetizza la tipica relazione di odio/amore che i sui abitanti intrattengono con il territorio nella vita di tutti i giorni. Quattro anni dopo, alla XII. edizione della mostra, Hong Kong e’ venuta a Venezia con un padiglione – da noi documentato in Lo spazio pubblico di Hong Kong e’ costruito dalla mobilita’ delle persone – dall’intrigante titolo Quotidian Architectures. In una generica società impegnata nel fenomeno globale dell’estetizzazione delta vita quotidiana, la banalità e la normalità dell’architettura sono due fattori grazie ai quali poter farci riflettere sul senso di ciò che si costruisce e cosa questo rappresenti al di la’ degli aspetti meramente formali.

Ad otto mesi dall’esperienza veneziana quelle “architetture quotidiane” trovano oggi una nuova vita con l”allestimento, “Quotidian Architectures” Venice Biennale Response Exhibition, inaugurato ieri mattina all’interno dell’ex-Stazione di Polizia (Former Police Station Compound) di Hong Kong a Central, il Business District della città. L’evento, organizzato dallo Hong Kong Institute of Architects (HKIA) insieme allo Hong Kong Arts Development Council (HKADC), si ripropone di mostrare al pubblico locale prima, e successivamente a quello cinese con altrettanti allestimenti in altre località della Repubblica Popolare Cinese, ciò che e’ stato esposto al resto del mondo lo scorso Agosto. Alla cerimonia di apertura Dominic Lam, presidente della HKIA, ha detto: “In occasione della mostra di Venezia abbiamo fatto vedere al mondo la nostra eccellenza nel costruire l’architettura; ora lo mostriamo alla nostra gente”. Pochi minuti prima, Wilfred Wong, presidente della HKADC, dopo aver elogiato la partecipazione da parte della popolazione locale nei riguardi dei grandi progetti in corso, aveva dichiarato con uno sguardo rivolto oltre i confini della città a statuto speciale: “1,2 Miliardi di Cinesi hanno bisogno di essere ispirati dalla creatività degli architetti”. La parola e’ poi passata al Console Generale d’Italia, la Sig.ra Alessandra Schiavo, che, oltre ad aver ricordato le ragioni che legano Venezia ad Hong Kong (il mare, l’apertura delle persone, l’essere ponte tra oriente ed occidente), rivolgendomi agli intervenuti con una ottima addizione inglese, ha auspicato che l’architettura continui anche in questo millennio a segnare la storia e, citando il trattato di Vitruvio e le tre parole chiave dell’architettura romana firmitas, venustas e utilitas, ha fatto intendere come questa possa durare nei secoli.

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© arcomai l “Quotidian Architectures” Venice Biennale Response Exhibition. La cerimonia di apertura. Dominic Lam, Alessandra Schiavo, Wilfred Wong e Juan Du dietro di lui.

A poche settimane dall’inaugurazione della mostra, parlando con la curatrice del padiglione, l’architetto Juan Du, la stessa che aveva gestito l’edizione veneziana, era emersa da parte sua tutta una serie di dubbi su come il pubblico locale avrebbe accolto l’iniziativa. Penso che Juan dovrà attendere ancora qualche giorno prima di avere un responso diretto da parte del suo pubblico. Per quanto ci riguarda due sono le particolarità di questa iniziativa che vale la pena analizzare: il riallestimento di un format al di fuori di un contesto collaudato come quello di una mostra internazionale, e il luogo dove questo e’ stato montato.

La Biennale di Venezia e’ una macchina espositiva molto complessa. Ospita ogni nuova edizione un numero sempre maggiore di paesi e rispettivi padiglioni. Esiste pure un “Leone d’Oro” per premiare il miglior allestimento/nazione che rende la chermes internazionale estremamente competitiva. Il buon risultato o meno della manifestazione nel suo insieme dipende da un articolato sistema di reti, relazioni e networks di communication che ne garantisce il successo, indipendentemente da ciò che viene esposto. Di sicuro il “fattore luogo” (Venezia) aiuta e soddisfa tutti. Ma se i luoghi sono altri (città e spazio espositivo), allora tutto cambia. Possiamo immaginare che in questi anni altri paesi siano stati tentati di replicare la propria partecipazione in uno delle tanti festivals internazionali di architettura, oramai sparsi ovunque, all’interno di una propria dimensione domestica, magari con risultati inaspettati che varrebbe la pena anche conoscere. Va da se’ che iniziative di questo tipo determinano eventi che poco o nulla hanno a che fare con quelli per i quali sono stati inizialmente concepiti. Ora, chi e’ già stato alla “mostra madre” può farsi un’opinione confrontando la prima installazione con quella successiva, aiutato anche dal dibattito successivo alla manifestazione. Per chi invece, non c’è stato, e magari non ha alcuna idea di che cosa sia una “biennale”, allora la cosa diventa particolarmente interessante, e spiega i timori come quelli che credo passino ancora per la testa dell’amica Juan a poche ore dall’apertura di questa sua nuova avventura.

Sottrarre il padiglione dall’imponente “macchina scenica” di Venezia vuol dire inevitabilmente privarlo della sua ragione, spogliarlo dei suoi significati, decontestualizzarlo al punto da creare una “cosa altra” che a sua volta potrebbe dar vita ad un nuovo esperimento. Come un singolo pezzo di un puzzle, senza essere accompagnato da un’immagine di riferimento, e’ difficile da collocare la mostra sul piano comunicazionale. Si può confrontare solo con se stesso, potrebbe diventare  la  “prova” per un nuovo progetto più grande di ciò che per cui e’ stato pensato. Venezia e’ lontana oramai anni luce da qui; perché allora non provare a fare qualcosa di completamente svincolato da essa?

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© arcomai l “Quotidian Architectures” Venice Biennale Response Exhibition. L’allestimento.

Ad Hong Kong la Former Police Station e’ uno dei pochi edifici storici sopravvissuti all’opera devastatrice della speculazione edilizia dell’era post-coloniale. Dal 1997 ad oggi l’area di Central e’ quasi irriconoscibile, solo le strade ricordano ciò che era prima. Per la sua collocazione centrale questo complesso, costruito agli inizi dell’900, e’ da tempo sotto le mira di imprenditori avidi che li’ vedono un’altra ghiotta occasione di profitto. La popolazione locale, organizzata in comitati pubblici, ha il timore che questo edificio, anche se risparmiato dalle ruspe, possa diventare un altro palazzo di lusso, uno dei tanti alberghi a 5 stelle con negozi. Dismesso da pochi anni, il Comando di Polizia sembra abbandonato da poche ore. Si sentono ancora gli odori dell’arredo che non c’è più, si distinguono i graffi sui pavimenti in legno e i segni sulle pareti ma, soprattutto, si ha l’impressione di sentire ancora le voci delle migliaia di persone che qui sono passate, di udire gli ordini degli ufficiali alla truppe adunata nel cortile. Qui tutto sembra più vero dell’Arsenale di Venezia.

L’allestimento originario e’ distribuito al primo e secondo piano del corpo di fabbrica affacciato su Hollywood Road. Parte del terzo livello e’ invece adibito a mostre temporanee che si alterneranno durante il corso della mostra. Gran parte del materiale esposto non sembra “trovare casa” nelle stanze del palazzo. Sarebbe stato meglio portarlo dentro le vicine celle del carcere, piuttosto che seguire la facile logica di ospitare in modo un po’ superficiale gigantografie, modelli e video  nelle “camere vuote”. Sarebbe stato meglio uscire dagli “uffici di polizia” e montare un vero e proprio padiglione nel cortile della caserma. Una costruzione leggera, semplice, povera retta dalle strutture in bamboo di cui la carpenteria locale e’ maestra. La scenografica si sarebbe sposata con l’arte del costruire. Questa soluzione avrebbe anche fatto riflettere sull’importanza del complesso, distraendo l’attenzione dal fabbricato inteso come volume da riempire, per valorizzare la forza del suo vuoto.

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© arcomai l “Quotidian Architectures” Venice Biennale Response Exhibition. L’allestimento.

A due mesi dall’aggiudicazione del concorso vinto dallo studio Foster & Partners per il West Kowloon Cultural District (vedi City Park: una foresta piena di dubbi) Hong Kong si prepara a pensare in grande. Mentre in Europa le capitali della cultura si alternano di anno in anno da un paese all’altro, le ambizioni per questo terreno di 40 ettari di superficie sono mirate a fare della piccola città di sette milioni di abitanti – che e’ già la capitale finanziaria dell’Asia – lo Hub permanente della cultura dell’intero continente. Per quanto si voglia far credere, Hong Kong non e’ una città dell’architettura – lo skyline sopraffà qualsiasi potenziale edificio di pregio. Essa ha pero’ le potenzialità per diventare un laboratorio per nuovi modelli dell’abitare, che e’ ben più rilevante del fregiarsi di un pugno di torri griffate. L’alta densità edilizia che la contraddistingue, se sottoposta ad un aggiornamento tecno-tipologico, se pensata per una società nuova, potrebbe avvantaggiare anche l’architettura, oggi troppo appiattita sullo “Internazionalismo dell’icona”.

Per far comprendere per chi non e’ mai stato ad Hong Kong cosa sia la high density, possiamo dire che l’intera popolazione di Venezia potrebbe essere ospitata in paio di developemts a torri eretti all’interno di un qualsiasi ettaro ad Aberdeen, Causeway Bay o nei New Territories. Se la cittadella della cultura di Foster dovesse realizzarsi, allora anche l’architettura potrebbe trovare una sua “casa globale”. A Macau, altra isola a statuto speciale a poco meno di un’ora di distanza in aliscafo da Hong Kong, c’è già una Venezia, e’ il complesso The Venetian Macao, la cittadella paradiso del gioco d’azzardo, copia in scala 1:0,7 della celebre città lagunare. Venezia e’ lontana oramai anni luce da qui; perché allora non provare a sostituirsi ad essa?

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 © arcomai l The Venitian Macao.


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