Margins for play: l’obbedienza trasgressiva dell’architetto giapponese nei confronti delle normative

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© arcomai l Margins for play: Margins for play: The Individual and the Collective in the Japanese Built Environment, Super Lecture di Thomas Daniell, Facoltà di Architettura, The University of Hong Kong.

A volte le storie narrate iniziano con un edificio e finiscono con un altro. Ciò’ accade molto spesso quando si parla di città o della vita degli architetti; e questo e’ quanto si e’ ripetuto ieri sera dentro la room 318 al terzo piano della facoltà di architettura della Università di Hong Kong. Lo storyteller e’ l’architetto e autore di origine neozelandese Thomas Daniell; lo audiance sono gli studenti e professori dell’istituto. Il titolo di questa lezione universitaria e’ Margins for play: The Individual and the Collective in the Japanese Built Environment e ha per argomento la ricerca compositiva della “architettura domestica” nipponica nei confronti delle locali condizioni economiche, culturali e normative. La prima immagine di questo racconto ritrae il Golden Pavillion (o Kinkaku-ji) in Giappone e quella conclusiva il Taichung Concert Hall a Taiwan. Tra questi due edifici c’è tutto un mondo di cui cercherò’ in questo articolo di riportarne i contenuti principali.

Quando mi sono trasferito ad Hong Kong ho portato con me dall’Europa due libri: uno in italiano e uno in inglese. Il primo e’ un manuale di progettazione di sistemi di trasporto, il secondo After the Crash: Architecture in Post-Bubble Japan, scritto per l’appunto da Tomas Daniell che e’ un esperto dell’architettura  contemporanea del Paese del Sol levante, dove vive e lavora oramai da 15 anni. Il testo tratta degli effetti che la crisi economica – che tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90 ha investito l’allora più’ ricco stato del mondo – ha avuto sull’architettura contemporanea nipponica. Il caso ha voluto che l’invito a partecipare alla lecture (da parte di una professoressa della facoltà’ di architettura) coincidesse con la lettura un paio di giorni prima di uno degli ultimi capitoli del libro, Fitting In, small sites in Urban Japan, che esplora alcuni degli argomenti oggetto della lezione sui quali io mi soffermerò con più attenzione.

Dopo la prima diapositiva Danniell fa scorrere – accompagnando con un breve commento – una sequenza di immagini relative al paesaggio urbano in Giappone allo scopo di spiegare come qui sia diverso, rispetto ad altre realtà mondiali, l’approccio alla pianificazione urbana. Tokyo e’ presa ad esempio per mostrare i limiti del piano, per denunciare l’incapacità’ di pensare in grande scala, per affermare l’impossibilita’ di disegnare il territorio secondo gerarchie spaziali, per suggestionare il pubblico ritraendo questa città come un luogo multi-semico, espressione del dinamismo di chi l’abita. Questa sorta di “anarchia democratica” – vedremo poi essere un “disordine intelligente” – ha creato una nuova estetica della città, o “bellezza del caos”, capace insieme alla “idea/ideale di pace” di caratterizzare in modo dualistico (ma non per questo conflittuale) l’oramai consolidato l’immaginario collettivo del cityscape giapponese anche al di fuori dell’isola.

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® Atelier Bow-Wow l Made in Tokyo, copertina del volume e alcune schede di edifici censiti.

Esempi recenti come il Roppongi Hills (2003) o il Tokyo Midtown (2007) a Tokyo mostrano il tentativo di progettare brani di città che possano solo dare senso di orientamento in modo episodico ad una densità urbana anarchica e scoordinata. Dopo aver fatto scorrere velocemente una serie di urban views prese dall’alto il Nostro, di fronte ad una foto che ritrae una linea metropolitana che entra dentro ad un edificio circolare a Osaka, si rivolge direttamente al pubblico chiedendo se in queste condizioni: “E’ l’architettura ad ispirare la città o e’ la città ad ispirare l’architettura? […] Nasce prima l’edificio o la strada?“ Il messaggio che Daniell vuol trasmettere e’ chiaro e provocatorio: l’architettura non e’ un fattore importante/necessario per Tokyo (la città giapponese) cosi’ come – aggiungo io – non lo e’ per Hong Kong. Un confronto tra le due metropoli, che lo speaker non accenna ad innescare neppure successivamente quando si parla esplicitamente di densita’ urbana, avrebbe potuto offrire spunto per una discussione, al termine della lezione, sull’attualissimo tema del ruolo dell’architettura nel “Life at the hyper density”. Conclude questa sezione l’immagine di una probabile Los Angeles del 2019 tratta dal film Blade Runner (1982) che, come noto, fu ispirata proprio dalla Hong Kong dell’epoca.

Dal suggestivo fotogramma del celebre film di Ridley Scott il relatore passa alla copertina del libro Made in Tokyo (2001) che ci fa entrare nel vivo del tema della lecture. Il testo e’ una sorta di guida o catalogo redatto da Atelier Bow-Wow (studio di architettura fondato nel 1992 da Yoshiharu Tsukamoto e Momoyo Kajima) che censisce una settantina di anonimi edifici – definiti “no-good architecture” o “da-me architecture” – scelti perché considerati elementi di riempimento per gli spazi interstiziali di Tokyo. Si tratta di un documento fondamentale che, oltre a dare una lettura inedita e trasversale della citta’ giapponese, ci fa comprendere l’origine della fertile avanguardia architettonica applicata alla “casa minima” che ormai da più di due decenni viene celebrata e studiata con interesse all’estero, se non addirittura sfacciatamente copiata. Fattore questo che dice molto riguardo al profondo cambiamento di una società per anni considerata dipendente dallo sterile dualismo “all copies, no originals”, ed ora esportatrice di cultura su scala mondiale.

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®Yasutaka Yoshimura l Il Giraffe Building, la House Under High Voltage Lines ed un edificio anonimo. Immagini tratte dal libro Super Legal Buildings di Yasutaka Yoshimura (2006).

Tra le opere proiettate Danniell si sofferma soprattutto su abitazioni note come la Mani House (Tokyo, 1999) di Atelier Bow-Wow, la SKY TRACE House (Kugahara, 2006) di Kiyoshi Sey Takeyama, la A hill on a house (Kyoto, 2006) di Yuko Nagayama, la AURA/Membrane House (Tokyo, 1996) e la SKIP House (Kyoto, 2002) entrambe di F.O.B.A.  Sono tutti edifici residenziali minimi “fatti su misura” che hanno in comune l’area ridotta del sito e la matematica applicazione degli standards edilizi con i quali gli architetti giocano per sperimentare spazi domestici nuovi e personalizzati. Chiude, non a caso, questa parte della sua presentazione con la House N (Oita, 2007) di Sou Fujimoto Architects, dove i confini tra lo spazio interno e quello esterno sono difficili da definire.

La bizzarria o senso di caos della città giapponese e’ dovuta principalmente alla limitatezza dimensionale dei lotti su cui sorgono gli edifici che sotto i 0.1 ettari non hanno bisogno della concessione edilizia. Questa condizione produce un’incredibile eterogeneità’ del panorama urbano che diventa ancora più paradossale se associata ad una società a tutti nota per essere conformista. Per gli immobili più grandi vengono applicati standards (volti a  garantire i coefficienti minimi di aria e la luce tra gli edifici) che incidono profondamente sullo sviluppo volumetrico da costruire. Nella maggior parte dei casi queste norme portano a manufatti anonimi sviluppati a ziggurat; in altri casi si ottengono fabbricati talmente anomali che dietro a questa “obedient submission” si può intravvedere il gioco sarcastico da parte del progettista nei confronti della cecità delle norme. Questi tipi di edifici rientrano nella categoria dei Super Legal Buildings dall’omonimo libro scritto da Yasutaka Yoshimura nel 2006 che, come per Made in Tokyo, raccoglie le trasgressioni architettoniche giapponesi. Per questo tema Danniell ha scelto due esempi eclatanti: la House Under High Voltage Lines  di Kazuo Shinohara (1981) e l’anonimo Giraffe Building. La presentazione si chiude con la Taichung Concert Hall (Taichung City, Taiwan) che per Daniell e’ una delle opere più innovative del nostro tempo e il suo autore, Toio Ito, il Deus Ex Machina di quelle generazioni che oggi fanno conoscere l’architettura contemporanea giapponese nel mondo.

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®arcomai l Il Taichung Concert Hall esposto alla 12a Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.


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