Un architetto a Bologna: La voce ed il coro

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© oscar ferrari_arcomai l Appartamento a Bologna

Andrea Trebbi ha realizzato un allestimento espositivo presso lo showroom Simon a San Lazzaro, a Bologna, ed è stato inaugurato venerdì 8 ottobre con una sua mostra personale, un’antologica delle sue opere migliori, progettate e realizzate in un trentennio di prolifica carriera. Sarà visitabile fino a tutto dicembre. E‘ stata questa un’occasione per parlare, assieme a Vittorio Camerini, Silvio Cassarà, Luigi Prestinenza Puglisi e Nicola Leonardi, dell’operato di uno degli architetti più “presenti” nello scenario cittadino. Questi hanno rispettivamente parlato della ricercata, ed a volte virtuosa, capacità compositiva e distributiva dell’autore, della particolare intesa che esiste da sempre tra questo ed i suoi committenti/clienti (una grande fortuna per ogni architetto), sull’afferenza ad una possibile scuola e relativi Maestri modernisti di riferimento, sulla semplicità ed umiltà insita nella pratica operativa della disciplina, anche quando condotta nel modo più scrupoloso.

Il modernismo dell’architettura di Trebbi sembra l’eco della scuola che ha frequentato, dell’insegnamento iniziale che ha avuto, dell’immersione nell’Accademia, degli ultimi epigoni e delle prime evoluzioni transitive del Movimento Moderno. L’architettura di Andrea Trebbi è comunque difficile da definire, come l’opera di qualsiasi autore, gli appartiene unicamente, per cui possiamo dire che questa ci appare semplicemente “modernista”, almeno dal punto di vista squisitamente formale. Un modernismo suggerito dal fatto che i suoi edifici sembrano pensati indifferentemente per ogni luogo, quindi sempre in un luogo immaginato, che sta nella mente del progettista, nella sua precisione. Così, una costruzione può essere ambientata in piena città o nel verde della collina bolognese, allo stesso modo. Ma Bologna non sembra un punto di riferimento preciso, mai apparentemente. Piuttosto un mondo ideale.

Eppure, Andrea Trebbi è un architetto bolognese, fa e dichiara apertamente di fare architettura per la gente di Bologna, per committenti che conosce o impara a conoscere in modo preciso. E’ questa un’architettura “colta”, sapiente, non “ostentata” dichiaratamente. E’ un’architettura però preziosa dentro, ricercata assai di più nella sua spazialità interna che esterna. In questo assomiglia molto a tanta architettura bolognese, severa fuori ed affascinante dentro, come i palazzi senatori, con i loro scaloni monumentali ed i cortili scenografici. E’ facile pensare che il portico diffuso, che caratterizza la città petroniana, sia capace di legare e per questo “egualizzare” tutti gli edifici nello stesso modo, in un progetto superiore, nella “città” appunto. Il portico assume il ruolo occulto del linguaggio, che contribuisce all’espressione ed alla “comprensione”.  Ciononostante, non si è necessariamente uguali perché si parla la stessa lingua, per fortuna si è portatori anche di contenuti diversi. Il caso bolognese propone una differenza soprattutto interna, “interiore” per l’appunto. Ciò significa che le relazioni tra le parti, le componenti urbane, contano a Bologna molto più dei singoli valori degli edifici di cui la città è composta, nella sua tradizione costruttiva di certo.

I portici cittadini fanno conoscere gli edifici già un po’ da dentro, non si vede spesso la facciata perché lo scavo del percorso urbano è già in parte uno spazio interno. Si potrebbe anche dire che Bologna sia non tanto una città propizia per l’architettura, in quanto espressione dell’individualismo, mentre più forte è la sua propensione per l’urbanistica, la solidarietà del suo fatto sociale. Forse è per lo stesso motivo che Bologna eccelle per la musica, è attratta dal cinema, insomma propende per le opere “corali”, coinvolgenti. In questo scenario, l’architettura di Andrea Trebbi sembra quindi “stonare”: una voce fuori dal coro o una voce solista? L’architettura che sonda Trebbi è in certo modo “frattale”: vi è sempre una misura che ne contiene un’altra ancora, un dettaglio con altri dettagli dentro, e così all’infinito. Andrea Trebbi pensa edifici monolitici, grevi, pesanti e ben radicati al suolo, dai volumi elementari e compatti, attentamente scolpiti, quasi scavati con cura nella loro intatta tettonicità, senza tuttavia intaccare del tutto la massività iniziale.

In tutto questo lavoro compositivo un ruolo fondamentale assume la finestra, che diventa in vari modi una cornice che inquadra vedute verso l’esterno, verso la città ed il paesaggio aperto, in maniera pura ed incontaminata, perciò priva assolutamente di traversi ad interferire nel traguardo visivo. Gli edifici diventano così anche degli osservatori, gli spazi interni dei punti di osservazione verso la vita dell’esterno. Un esterno però tenuto ben sotto controllo, spesso confinato dietro alti recinti, in un’esplicita esclusione di relazioni dirette, se non solo visive. Queste architetture sembrano quasi affermare una sorta di paura della città, una ritrosia a farsi coinvolgere nella sua dimensione superiore: ci sono, ma non ne vogliono far parte del tutto.

E’ difficile a volte pensare la spazialità interna degli edifici residenziali, la vita possibile contenuta, con poche aperture percepibili in volumi “serrati”, assolutamente ermetici, impermeabili. La città è un racconto continuo in cui c’è stato sempre un prima come ci sarà sempre un dopo, in una continua contaminazione di azioni, di narrazioni. Gli edifici di Andrea Trebbi sono in questo contesto un discorso a parte, sono parentesi che si aprono e si chiudono all’improvviso, annotazioni a margine sulla storia della città, citazioni colte su un possibile altro modo di fare architettura in questa città. Per questo non fanno parte del tutto della storia del racconto urbano in cui si trovano inserite, loro malgrado. Sono gesti autoreferenziali, dell’autore, di chi le vive, segretamente al loro interno, nella loro bolognesità.

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© oscar ferrari_arcomai l Appartamento a Bologna. Vista sui tetti della citta’.

 


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