Un palcoscenico lungo 600 metri per la Citta’ Europea della Cultura 2012

Maribor (in Slovenia), che nel 2012 sarà Città Europea della Cultura, ha indetto a marzo di quest’anno un concorso internazionale di progettazione dal titolo EPK 2012 – EMBANKMENT OF THE RIVER DRAVA finalizzato alla riqualificazione del lungofiume della città. Valentina Baroncini della redazione di  arcomai.it ha incontrato Francesco Sabatini e Francesco Deli, dello studio DELISABATINI architetti (www.delisabatini-arch.it), che come capogruppo si sono aggiudicati (insieme a Aurelia D´Andria, Alessandro Carmine Console,  Gina Oliva e Francesco Belvedere) il primo premio del concorso.

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© DELISABATINI l Vista del nuovo intervento da Ovest.

Valentina Baroncini Innanzitutto complimenti per il risultato ottenuto e grazie per aver accettato di sottoporvi ad una serie di domande sul concorso per il lungofiume di Maribor. Prima di entrare nel vivo dell’intervista, ci potete dire qualcosa di voi e dello Studio DELISABATINI Architetti? Partecipate con regolarità a concorsi internazionali? Avete lavori all’estero? Perché avete scelto di partecipare a questo concorso?

Francesco Sabatini & Francesco Deli Lo studio nasce nel 2005, dal desiderio di confronto tra due esperienze formative molto diverse tra loro, ed esprime un proprio punto di vista nella dialettica continua tra l’approccio artistico e quello materiale in architettura. Lo studio si occupa di progettazione a tutte le scale dall’oggetto di industrial design all’intervento urbano; si serve, per fare ciò, di consulenze specialistiche tali da garantire risposte soddisfacenti e adeguate a qualsiasi tematica affrontata. Alla pratica professionale affianca attività didattica e di ricerca nella facoltà di Architettura di Roma de “la Sapienza”.

Lo studio ha partecipato a vari concorsi nazionali e internazionali ricevendo importanti riconoscimenti. Nel corso di questi cinque anni ha condotto la sua attività nell’ambito della progettazione,  cercando di affiancare sempre alla pratica professionale anche il momento denso ed intenso della progettazione pura che si ha nel contesto dei concorsi, libera di volare svincolata dai compromessi e spesso dalla impreparazione/inettitudine della committenza. I concorsi sono vissuti  come valvola di sfogo, luogo privilegiato e fecondo dell’esercizio progettuale, della ricerca, del confronto con temi importanti e di grandi dimensioni, spesso distanti dalla pratica comune quotidiana, dove si affinano e si sviluppano tematiche progettuali che poi ricorrono e riaffiorano successivamente sotto forma diversa.

Quest’ultimo concorso è stato scelto per il tema, a noi nuovo, del waterfront; un progetto a scala urbana esteso per  due chilometri in un contesto urbano storico e paesaggisticamente rilevante e in vista di un evento importante come quello del 2012. Inoltre, il concorso strutturato in tre temi, Banchine, nuovo Ponte pedonale e Museo, ci ha dato la possibilità di partecipare come unico gruppo presentando tre distinti progetti, condotti separatamente da tre sottogruppi.  Noi ci siamo occupati,  con l’arch. D’Andria, delle banchine risultate vincitrici.

 

V.B. Maribor nel 2012 sarà Città Europea della Cultura. Prima di parlare del progetto nel suo specifico, ci dite qualcosa della citta’ e delle sue peculiarita’ urbane? Avete visitato la città di persona prima di progettare? Quali elementi della città hanno maggiormente interessato-stimolato-suggerito il progetto?

F.S&F.D. Nonostante le dimensioni contenute e un numero di abitanti che non supera le centocinquantamila unità,  Maribor è comunque la seconda città della Slovenia; in fase di vivace crescita nella giovane nazione, costituisce un caposaldo culturale fondamentale nella regione orientale. Molto prossima alla vicinissima Austria, posta sulla strada che collegava Vienna a Trieste, conserva ancora angoli del suo passato mitteleuropeo. Recentemente un piano di estesi interventi sta modificando l’aspetto della città, dotandola di nuove infrastrutture. La città, nata nel medioevo come importante porto fluviale sulla Drava, dove questa si allarga in una ampia valle ancora oggi circondata da grandi foreste, e’ dotata di una cinta muraria – progettata da architetti italiani – che ha contribuito a farle prosperare il commercio di legname, controllando anche il ponte sul fiume. Alcuni suggestivi scorci del passato medioevale ancora sopravvivono nelle torri vicine alla sinagoga, nei tetti aguzzi delle antiche case e nella veduta di insieme della città dal fiume. Questo, perso il ruolo di via d’acqua e regolato dalle dighe realizzate negli anni sessanta, è oggi un placido bacino, potenzialmente un’eccezionale risorsa paesaggistica e turistica, ma da valorizzare. E’ appunto questo il tema del concorso.

Il fiume è molto bello, a differenza di molte città non scorre incassato tra profondi argini e muraglioni in pietra, ma quasi al livello del lungofiume, tra sponde erbose. La recente realizzazione delle dighe ne ha innalzato il livello e comportato interventi di riassetto e regolarizzazione della sponda, determinando anche la demolizione di edifici storici  originariamente a diretto contatto con l’acqua, come il forte di Benetcke, e l’innalzamento di una delle torri che era rimasta parzialmente sommersa. Questi interventi hanno consegnato alla città uno spazio ampio e continuo, ancora oggi irrisolto, che è proprio il luogo oggetto del concorso, producendo una perdita del rapporto diretto della città con il fiume, ma soprattutto delle pittoresche vedute tramandate da vecchie foto e dipinti antichi. Ma la causa maggiore del degrado che ha interessato questa parte bassa della città affacciata sul fiume e la dissoluzione dell’antico insediamento della originaria fortezza di Tabor, del quale restano davvero poche case, è stata la demolizione dell’antico ponte e la realizzazione del grande ponte in ferro, che ha spostato, all’inizio del secolo scorso, il traffico ad una quota altimetrica molto più elevata, tagliando fuori la parte bassa della città, che nel tempo si è andata spegnendo.

La visita del luogo è stata fondamentale per avere conferma delle iniziali intuizioni e soprattutto per verificare alcuni complessi rapporti spaziali in prossimità del grande ponte in ferro che sovrasta con la sua notevole altezza le case e il progetto. Il grande ponte è stato uno degli elementi forti con il quale sin dal principio il progetto si è dovuto confrontare con le sue grandi testate voltate in muratura e la struttura metallica più trasparente delle  campate centrali, per il suo impatto visivo al suolo ma anche per il punto di vista elevato, al di sopra dei tetti sottostanti, che ha introdotto; le antiche torri angolari della città sul fiume insieme ad altri elementi architettonici meno vistosi, segni e tracciati esistenti, sono stati fatti oggetto di un continuo rapporto intrattenuto con il progetto, che trova nella geometria assoluta della piastra rappresentati e incisi tutti i segni di questo colloquio. Sulla opposta sponda di Tabor, le vedute sulla prospiciente città oltre il fiume e la sponda verde e panoramica hanno indirizzato scelte e temi progettuali fondamentali.

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© DELISABATINI l Planimetria generale dell’intervento.

V.B. La formula adottata per questo concorso e’ indubbiamente molto interessante e inconsueta, dando la possibilità ai partecipanti di scegliere tra tre diverse aree di intervento (tra loro correlate): l’argine (banchina) del fiume Drava, il ponte pedonale e la galleria espositiva. Ci potete dire di più al riguardo, introdurre in breve il tema del concorso e dirci quali aree di intervento avete scelto e perché?

F.S&F.D. L’oggetto del concorso si colloca all’interno del progetto Maribor città Europea della cultura 2012. Nello specifico il tema del concorso si fonda sul principio di ridare l’identità ormai perduta da tempo alla cittadina Slovena. Questo attraverso la riqualificazione del suo nucleo storico, identificabile nel quartiere di Lent e di Tabor, che da oltre due secoli aveva perso quell’equilibrato rapporto con il calmo fiume Drava che lo bagnava. Infatti, la città murata di Maribor, in origine composta da Lent e da Tabor, suoi avamposti, demolite le mura difensive nell’800 perché non più necessarie, non ha mai risolto il delicato rapporto di tangenza tra la città (l’artificiale) e il fiume (il naturale), tra il dentro ed il fuori, tra il finito e l’indefinito ove la scomparsa cinta muraria rappresentava il limite netto tra questi  universi. E’ il confronto dialettico tra la città che, ad esclusione dei due quartieri originari, mostra una crescita disordinata soprattutto oltre la sponda Sud del Drava che nella parte antistante Lent e Tabor da qualche anno ha assunto sempre di più le caratteristiche di un lago artificiale. Infatti le 2 dighe, una a monte e l’altra a valle, controllando il rischio esondazione dei bassi argini (l’oscillazione del livello è compresa tra -30cm ed +20cm), ne rallentano la corrente. L’area di concorso, circa 140.000mq, è identificabile in 1 km di banchina a Nord (la fascia compresa tra gli ultimi edifici del quartiere di Lent allineati con le due Torri d’angolo ancora esistenti ed il fiume) ed in 1 km di banchina a Sud (la fascia compresa tra quello che resta della vecchia Tabor ed il fiume) dell’ampio (130m circa) fiume Drava.

L’ente banditore quindi, nell’intento di ottenere un giusto rapporto tra la città e il fiume, ha scelto un’area dismessa nei pressi dell’attuale mercato all’aperto come sedime per il nuovo museo di arte contemporanea della città denominato UGM, edificio di importanza e richiamo nazionale. Il fine è quello di collocare tutte le attività socializzanti, culturali e ludiche atte a rivitalizzare il luogo, attività in parte già presenti nella città, lungo la promenade sulla riva Nord davanti a Lent, mentre della sponda Sud si cerca di potenziarne l’aspetto naturalistico; connettere infine le due rive Nord e Sud con un percorso ciclabile ad anello attraverso due ponti pedonali, l’uno preesistente nella zona di Studenci e l’altro da progettare situandolo nell’area dell’antico ponte di legno che univa la vecchia Tabor a Lent.

Lo studio DELISABATINI Architetti ha ritenuto opportuno presentare un progetto per tutti e 3 i temi considerandoli fortemente legati tra loro. Per fare ciò ha istituito un gruppo di lavoro insieme a  2 studi romani, anch’essi giovani, che si sono occupati dello sviluppo del progetto relativo al ponte pedonale e al nuovo UGM. Il nostro studio, oltre a coordinare il lavoro e a definirne le linee guida, si è occupato direttamente della progettazione del tema dell’Embankment. Due sono le ragioni principali che hanno spinto verso questa scelta.

In primis ci ha attratto e stimolato l’obiettivo sotteso nel programma del bando di gara. Il progettista, infatti, doveva rispondere a due quesiti: oltre allo scopo esplicitamente dichiarato di riqualificazione delle 2 banchine del lungofiume, si doveva fare carico soprattutto di ridare la città al fiume e viceversa. In sintesi il suo compito era ridare un nuovo volto all’intera Maribor. In secondo luogo, una delle principali linee di ricerca del nostro Studio, ovvero la dialettica tra il nuovo intervento e l’esistente, corrispondeva alla tematica principale da sviluppare per affrontare nel modo giusto il tema dell’Embankment. Lo Studio aveva già avuto esperienze in questo campo alle varie scale: dall’isolato, all’edificio fino alla ristrutturazione interna, ma mai alla scala urbana. Riqualificare l’area delle banchine significava, infatti, prendere una posizione decisa tra il delicato rapporto che si genera tra il progetto e ciò che già esiste fisicamente, culturalmente e storicamente.

 

V.B. Sono stati scelti tre diversi vincitori per i tre progetti: come avverrà ora il loro coordinamento? Ritenete sia una scelta interessante e stimolante quella di coordinare, per un’area così vasta, progetti di più autori?

F.S&F.D. Il comune di Maribor, sin dai primi contatti coi vincitori, ha dimostrato di non ricercare alcun coordinamento tra i 3 studi vincitori delle 3 aree d’intervento. Ha infatti nominato, per lo sviluppo successivo al concorso, un responsabile del procedimento per ogni progetto. Questo sta a dimostrare la reale intenzione della committenza: ogni progetto seguirà la propria strada. Se dal punto di vista del risultato finale ci potrebbero essere dei risvolti negativi da quello, invece, per loro più cogente della gestione del poco tempo ancora a disposizione per poterli realizzare questa scelta allontana il rischio del rallentamento che un progetto potrebbe creare sugli altri. Come detto finora non si tratterà di un vero coordinamento, ma di 3 progetti indipendenti tra loro nel loro sviluppo. Se a prima vista potrebbe sembrare una scelta discutibile, così non è.

Forse raccontare quello che è stato l’IBA 84 di Berlino, diretta dall’arch. Josef Paul Kleihues, può aiutare a far capire la nostra posizione. Coma si sa l’IBA (Mostra internazionale dell’edilizia), attraverso l’occasione della mostra, cerca di riqualificare le parti di città ancora rimaste degradate e distrutte dalla seconda guerra mondiale. Lo fa scegliendo come riferimento il principio insediativo dei primi quartieri residenziali razionalisti come il quartiere Weissenhof a Stoccarda del 1927, costruito in occasione dell’esposizione organizzata dal Deutscher Werkbund e coordinato da Mies van der Rohe, Consiste nella progettazione puntuale e individualistica da parte di un gran numero di architetti (circa 200) che hanno come uniche limitazioni le indicazioni e i vincoli definiti dal Masterplan. A differenza dei suoi predecessori razionalisti, però, l’area non è vuota ne’ libera, ma è la città storica, quella consolidata e stratificata di Berlino. Il risultato, benché stimolante, mostra tutti i suoi difetti perché quello che alla fine dei giochi appare è un catalogo, uno zibaldone di architetture. Ogni architetto, ad eccezione di qualche esempio (il blocco residenziale sulla Schützenstrasse di Aldo Rossi), si è preoccupato esclusivamente di saturare la particella assegnatagli mostrando alla città il suo particolare modo di fare l’architettura. Manca però il dialogo tra l’intervento e la città, tra l’involucro e gli spazi pubblici quali le strade, le piazze, i vicoli, ecc..,

Per Maribor, anche se le dimensioni e le quantità degli interventi sono molto minori, la metodologia d’intervento e l’approccio sono analoghi: prima il programma di sviluppo e poi 3 progettisti per 3 aree. C’è però una sostanziale differenza: i 3 temi, i 3 interventi proposti nel bando sono tra loro si complementari, ma molto diversi. Non come a Berlino dove gli interventi erano per lo più residenziali. Si passa dalla scala territoriale dell’Embankment a quella dell’architettura dell’edificio museale all’ultimo oggetto, il ponte, a cavallo tra design, scultura e l’aspetto più pratico del collegamento di due sponde.  

 

V.B. Pier Luigi Nervi affermava che i concorsi dovrebbero essere giudicati dai concorrenti. Nello specifico di questo concorso, in cui le richieste di partecipazione sono state per tutte e tre le aree di intervento ben 400, un eventuale dibattito su quale sarebbe stato il progetto più idoneo renderebbe forse la cosa più interessante del concorso stesso… cosa ne pensate?

F.S&F.D. Prima di esprimere il nostro parere a riguardo può essere utile dare un’informazione. Le 400 proposte presentate sono state esaminate non da un’unica commissione giudicante, ma da due distinte. La prima si è occupata del tema dell’Embankment e del ponte pedonale, mentre la seconda del nuovo museo UGM. Si ritiene l’affermazione di Pier Luigi Nervi ideologicamente condivisibile, ma tecnicamente non applicabile. L’idea dell’ing. Nervi potrebbe portare a discussioni estenuanti dall’esito tutt’altro che obiettivo, simile per certi versi al sistema progettuale dell’architettura partecipata, fenomeno in auge negli anni ’70. Essa infatti si basa sull’idea che l’architettura venga fatta dagli utenti che la useranno, guidati da  un esperto, il progettista, dove però ogni partecipante alle riunioni chiedeva e cercava di soddisfare il proprio utile personale. Così in queste improbabili incontri il giudizio sulla proposta che ogni candidato darebbe sarebbe viziato, pur nella assoluta onestà intellettuale, dal proprio modo di pensare e vedere l’architettura ed interpretare le richieste dell’ente banditore che, ovviamente, coinciderebbe col proprio progetto proposto. Il secondo aspetto è la corrispondenza tra ciò che l’ente banditore si aspetta e la proposta fatta. Solo una commissione specializzata, precedentemente preparata e libera da interessi particolari e diretti può, forse, garantire la loro convergenza e non il dibattito tra professionisti che, benché preparati, non sarebbero in grado, come è lecito che sia, di scindere il proprio giudizio dagli interessi personali.

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© DELISABATINI l La piazza di Tabor sul fiume Drava.

V.B. Mi sembra che secondi e terzi abbiano progetti concettualmente molto diversi dal vostro, che avete scelto un segno unico e forte, chiaro anche formalmente. Il secondo appare come un progetto “diffuso” e sparso, il terzo “informale” e “mimetizzato”. Sembra dunque che la commissione non avesse dunque una preferenza progettuale o un’idea precostituita cui aderire. Qual’è il vostro giudizio complessivo sulle altre proposte progettuali? Dove credete che la giuria abbia voluto premiare il vostro progetto rispetto ai quelli classificati secondi e terzi?

F.S&F.D. Riteniamo che la terza e soprattutto la seconda siano proposte molto interessanti. Si è vero; sono molto diverse dalla nostra, ma solo nella struttura generale dell’impianto. Ma se si analizzano i progetti per parti, per sequenze spaziali, si possono riscontrare diverse assonanze col nostro progetto sia nell’approccio che nei concetti. Per esempio la proposta dei Colombiani (3°) sulla riqualificazione della sponda verde di Studenci (sponda Sud) è praticamente identica alla nostra: entrambi proponiamo di riqualificare la sponda alberata risistemando il verde esistente ed implementandolo e, ancora, creando una rete di percorsi che la attraversi e la incida in maniera ripetuta tale da attenuarne la dominante orografia. L’affinità che si può trovare tra la nostra proposta e quella dei Croati (2°) sta invece nell’idea di non limitare l’intervento alle sole banchine, ma nel trattare il fiume come coprotagonista. Nel nostro progetto ciò si ottiene avanzando la grande piastra lignea di Lent e soprattutto la piazza di Tabor dentro il fiume, mentre lo studio croato posiziona dentro il fiume alcuni giardini.

E’ difficile stabilire le ragioni che hanno spinto la commissione a preferire il nostro progetto sugli altri. Forse un motivo potrebbe essere rinvenuto nell’inserimento della proposta nell’area, così identitaria e definita. Infatti la grande piastra, la piazza di Tabor e i percorsi naturalistici sono chiaramente distinguibili dal contesto, senza per questo sovrastarlo. Un altro aspetto che può aver influenzato positivamente sul risultato finale potrebbe essere il potenziale valore simbolico che la piastra in legno assumerebbe. Come un’icona potrebbe incarnare simbolicamente in se tutti i caratteri della città di Maribor; diventarne il logo, il landmark.

 

V.B. Quali sono i punti programmatici salienti che definiscono il vostro progetto?

F.S&F.D. Dall’attenta lettura e analisi del contesto e dallo studio del programma si è visto che l’area del concorso è oggi  una zona di risulta, un vuoto urbano e spaziale, a cavallo tra il fiume e la città. La Drava, inoltre, il fiume che bagna la città di Maribor, viene trattato quasi come un corpo estraneo e marginale; infatti il lungofiume nel tratto davanti a Lent viene utilizzato principalmente come parcheggio a raso.

Un altro dato è che questa zona, come tutte le aree “di confine”, contamina e viene a sua volta contaminata dai luoghi che essa delimita. Ciò sta a significare che una giusta riqualificazione delle banchine si ripercuoterebbe in modo molto forte sulla città che ne trarrebbe grandi benefici. E’ sulla base di queste considerazioni che si è proposta un’architettura che: – non limitasse l’intervento solo alle due sponde (quella Nord di Lent e quella Sud di Studenci e Tabor) ma che si allargasse fin dentro il fiume. La piastra incisa sta quasi in bilico, a cavallo tra la terra ferma e l’acqua; in un punto in corrispondenza della piazza di Lent questa si abbassa fino ad entrare nel fiume. A Tabor, invece, la piazza è una piattaforma in pietra che si trova a pelo d’acqua e funge anche da attracco per i battelli. I due elementi collocati sulle due sponde opposte si fronteggiano; sembra che l’uno si protenda verso l’altro da arrivare ad un virtuale contatto. – si inserisse in maniera leggera e riconoscibile ma non mimetica. Tre sono gli elementi che compongono il progetto: la piastra in legno, la piazza di Tabor e il sistema dei percorsi e soste a Studenci. Questi come dei layers si sovrappongono all’esistente senza snaturarlo, ma potenziandone le qualità. La piastra di Lent, come un coperchio di legno, si poggia sopra le banchine, scoprendo solo le parti più importanti,; la piazza di Tabor è un recinto spaziale che dalla banchina si addentra nel fiume; i percorsi pedonali di Studenci sono una rete a maglie trapezoidale che si plasma sul suolo verde fortemente inclinato. La riduzione del progetto ai soli tre elementi chiari, unitari e leggibili rende l’intervento riconoscibile scongiurando il rischio di mimesi col contesto preesistente. – ospitasse, oltre alle funzioni indicate nel bando, tutte quelle attività che animano la città così che il nuovo intervento diventasse il suo braccio che si affaccia sul Suo fiume. Vale soprattutto per la piastra in legno che, sollevata di 80cm dal suolo urbano, se dalla città diventa un enorme pontile-passeggiata attrezzata, dal fiume sembra un affascinante palcoscenico che ha per scenografia le case di Lent e per attori i suoi abitanti. – avesse la capacità di ospitare qualsiasi manifestazione o evento dal carattere ludico (come i festival) a quelli culturali (come mostre o esposizioni). Sia la piazza di Tabor che la piastra a Lent sono conformati in modo tale da ospitare qualsiasi evento. Si verifica in particolare nella grande piattaforma lignea, 600x21m di dimensione, grazie alla capacità di amovibilità di tutti gli oggetti che l’arredano (dalle sedute, ai padiglioni, ai chioschi, ecc..)

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© DELISABATINI l Vista complessiva del nuovo intervento e scorci della banchina da ovest.

V.B. Il ponte esistente in metallo ha sicuramente condizionato lo sviluppo urbano di Maribor in questo ultimo secolo. Come vi siete rapportati con esso?

F.S&F.D. Ad oltre un secolo di distanza, le ferite causate dal violento colpo inferto all’antico tessuto edilizio con la costruzione del nuovo ponte non si sono ancora rimarginate. Il tessuto morente delle antiche case di Tabor sul fiume, soccombe sotto la mole indifferente del ponte che le sovrasta. Le arcate in ferro centrali, aeree e trasparenti, introducono sulle vedute della città una nota dallo spiccato sapore paleoindustriale, mentre le arcate murarie delle testate, grazie alle loro ampiezza, fortunatamente non risultano molto occludenti la visuale longitudinale che corre lungo il fiume. Il progetto, segue un approccio totalmente differente tra le due sponde, ma unito da una comune forte riconoscibilità figurativa; a Lent, il grande segno unitario dell’intervento, scorre con continuità senza interferire e senza saldarsi sotto le alte arcate in muratura del ponte, senza interruzione visiva, condensando e scagliando una potente prospettiva di seicento metri protesa sull’acqua. Sono due strutture figurative che mantengono la loro autonomia. Un intervento discreto e puntuale caratterizza invece la Piazza di Tabor, ripensata e riorganizzata secondo un andamento per fasce funzionali diverse, parallele alla direzione del ponte, calibrate e proporzionate con gli elementi esistenti, anch’essa secondo una geometria forte e riconoscibile; le arcate laterali del ponte, in pietra, divengono grandi ambienti voltati direttamente annessi alla piazza, quinte monumentali, luogo di sosta coperto e di esposizione per sculture colossali, come i grandi loggiati medioevali e rinascimentali italiani, al di là delle quali sta sorgendo la nuova facoltà di medicina. La nuova piazza intrattiene con il ponte un rapporto  diretto e di maggior legame, mediando e correggendo anche la sua soverchiante presenza, generando un intimo luogo dello stare. Il grande ponte, con la sua notevole altezza, ha introdotto all’inizio dello scorso secolo un punto di vista aereo inedito in corrispondenza del fiume, da tale altezza è possibile comprendere in un solo colpo d’occhio la veduta d’insieme della città e dell’intervento che scorre in basso sotto il visitatore, sospeso sull’acqua.

 

V.B. Il vostro studio e’ stato invitato dalla Municipalità di Maribor a stilare il progetto definitivo ed esecutivo. Si tratta di una grossa mole di lavoro. Quali sono i tempi e come pensate di organizzare il vostro studio per adempiere a questo impegno? In quanto tempo la municipalità prevede di realizzare l’opera/e?

F.S&F.D. Secondo quanto abbiamo appreso da un primo incontro avvenuto con la municipalità, le intenzioni sono di completare le opere in vista dell’appuntamento del 2012, un tempo sicuramente molto ristretto, che presuppone pochi mesi per approntare tutto l’iter burocratico e la progettazione. Il lavoro verrà condotto, per semplicità di gestione, insieme ad una grossa società di ingegneria locale. Dal punto di vista costruttivo, l’opera, nonostante la dimensione notevole, non presenta particolari problemi strutturali e la semplicità realizzativa può consentire l’organizzazione di un cantiere con largo uso di prefabbricazione. Precedenza su tutto il progetto, per volere espresso dalla municipalità, avrà sicuramente la realizzazione della grande piastra lignea pedonale, che accoglierà gran parte delle manifestazioni.

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© DELISABATINI l Vista della banchina da Est.

V.B. Cosa può dare l’Italia (gli architetti italiani, la cultura italiana) all’estero?

F.S&F.D. In questa occasione, l’andamento e gli esiti del concorso hanno confermato una grande apertura della giuria al panorama architettonico internazionale, una feconda voglia di confronto con  culture diverse, che negli oltre quattrocento gruppi partecipanti, ha trovato espresse sensibilità provenienti da ogni parte del mondo. Gli esiti hanno inoltre dimostrato una insperata reale indipendenza e limpidezza della giuria che costituisce già di per sé una vera novità nel panorama dei concorsi di progettazione, da quelli di grande importanza e vasto richiamo a quelli spesso limitati a più relegate realtà locali. Anche l’atmosfera che abbiamo percepito durante la nostra visita è stata di sentito entusiasmo, che ci è stato manifestato in più occasioni e da soggetti anche istituzionali diversi. In questo senso, almeno in termini di soddisfazioni  hanno dato molto loro a noi.

La nostra terra, per secoli ha prodotto arte e cultura, a più riprese è stata addirittura al centro del mondo, quando non più per potenza anche politica almeno per egemonia culturale, esportando la propria civiltà ma anche arte, artisti, architettura e modelli urbani; da tempo il primato si è esaurito, ma negli ultimi tempi nel paese è venuto meno anche un reale interesse per l’arte e  per l’architettura, a tutti i livelli di committenza, rendendo, come tutti del settore sappiamo, veramente duro il lavoro dell’architetto. Manca una domanda sia in termini quantitativi che qualitativi, e gli effetti di quanto si è fatto, sono sotto gli occhi di tutti, nonostante alcuni episodi sporadici ed occasionali che non fanno testo. L’Italia può dare all’estero, in questo campo come in altri, forse quello che oggi non riesce a dare a sé stessa. Una parte della cultura architettonica italiana lavora fondata su solide basi, diverse da approcci prossimi a fenomeni di moda e dunque di maggiore spessore, radicata in una dimensione più riflessiva e meno gestuale; uno spessore che acquista sostanza anche nella idea della permanenza e nella consapevolezza, talvolta inconscia, della sedimentazione e stratificazione storica, che appartengono al patrimonio genetico nazionale.

Francesco Sabatini (Sassari 1973) consegue nel 2000 la Laurea in Architettura “cum laude” presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” in composizione architettonica. Dal 2000 svolge attività didattica collaborando ai corsi di Laboratorio di Progettazione 1, 2, 3, 4 e di Sintesi Finale della Facoltà di Architettura “Valle Giulia”. Nel 2005 fonda, insieme all’architetto Francesco Deli, lo studio DELISABATINI architetti. Nel 2006 organizza la mostra “Architettura e Fantasia” al Parco dei Gordiani a Roma. Dal 2006 è Dottorando in Architettura e Costruzione presso il Dipartimento AR_COS dell’Università di Roma “La Sapienza”. Con lo studio si occupa di progettazione a tutte le scale dall’oggetto di industrial design all’intervento urbano. Nel 2008 partecipa coma tutor al workshop “Atelier Tiber “Sapienza” Università di Roma – College of Architecture “Myongji University”, Seoul. Nel 2009 partecipa coma tutor al workshop HOPUS (HOusing Praxis for Urban Sustainability) International Workshop. Nel 2007 vince una menzione al concorso internazionale per la realizzazione dell’ampliamento del Museo Nivola ad Orani (Nu). Nel 2010 vince il primo premio per la riqualificazione del lungofiume di Maribor (Slovenia).
Francesco Deli (Roma 1970) consegue nel 2004 la Laurea in Architettura “cum laude” presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” in composizione architettonica. Dal 2000 svolge attività didattica collaborando ai corsi di Laboratorio di Progettazione 1, 2, e di Sintesi Finale della Facoltà di Architettura “Valle Giulia”. Nel 2005 fonda, insieme all’architetto Francesco Sabatini, lo studio DELISABATINI architetti. Nel 2006 organizza la mostra “Architettura e Fantasia” al Parco dei Gordiani a Roma. Con lo studio si occupa di progettazione a tutte le scale dall’oggetto di industrial design all’intervento urbano. Nel 2007 vince una menzione al concorso internazionale per la realizzazione dell’ampliamento del Museo Nivola ad Orani (Nu). Nel 2010 vince il primo premio per la riqualificazione del lungofiume di Maribor (Slovenia).

 


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