Futura 787: L’anno che verra’

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© oscar ferrari_arcomai | Arata Isozaki posa davanti ai fotografi.

L’alta velocità è stata inaugurata anche in Italia. Sabato 13 dicembre, e in tutta la settimana le linee normali hanno avuto ritardi di ore, oltre che allungamenti di orari di viaggio. Sembra interessasse più l’inaugurazione che il servizio alle persone. La nostra epoca viaggia su binari forzati dall’economia e degli obbiettivi a breve scadenza, perdendo di vista la finalità del fare le cose. Facile dirlo, capisco, ma è così, bisognerebbe cominciare a cambiare dal piccolo, dal lavoro di ognuno di noi, prendendone coscienza e finalizzandolo al fare bene piuttosto che al fare comunque.

Bologna, che si è distinta per la velocità della costruzione delle nuove linee ferrate sottoterra, è invece rimasta indietro per la stazione intesa come edificio, spazio pubblico, immagine. Infatti sembra che i progettisti si siano trovati a dare veste a un impianto tecnico, strutturale e funzionale già finito e considerato indipendente da questa. Credo tutto ciò esprima un po’ il carattere della città, sempre più portata a vivere bene, ma in modo sommesso, che ad apparire e a dimostrarsi, e non particolarmente attenta all’architettura.

Si è però finalmente inaugurata, quasi in contemporanea all’alta velocità (il 4 dicembre), la mostra sui progetti vincitori dell’ultimo concorso per le grandi stazioni. La nostra città infatti, ultima dopo Torino, Napoli, Roma, Firenze e Reggio Emilia, ha finalmente esposto pannelli e plastici dei partecipanti, nella nuova sede dell’urban center. La sede è bella, ma dà poco risalto all’importanza che dovrebbe avere l’opera. E’ in mezzo alla gente, d’accordo, raggiungendo così tante persone, che appunto la vedono non perché l’abbiano cercata, ma perché incontrata casualmente, un po’ appoggiata in un angolo della piazza coperta, come fosse una bancarella di dolci di Natale. E’ stata pensata suddivisa in due parti: a piano terra i plastici e una sintesi delle tavole, al ballatoio del piano superiore (dove non va quasi nessuno) l’esposizione degli album completi in formato A2. Sempre affascinanti i plastici. Ma devo dire che mi sarei aspettata un più alto livello tecnico di progettazione. Gli elaborati esposti hanno rappresentazioni e un grado di progettazione simile a quelli che si potrebbero fare per un concorso di idee di una piazza di provincia. Dominano i render ed i concept ideativi (anche dalle brevi relazioni), mentre piante e sezioni appaiono in una scala non esecutiva.

La principale domanda che credo i visitatori si pongano è quella sulla fattibilità e sui tempi: “si farà davvero stavolta? Quando?” Ed effettivamente sindaco Cofferati, architetto Isozaki, amministratore delegato del gruppo FS Moretti parlano di tutto tranne che di questo. Ormai, infatti, la vicenda della stazione di Bologna si trascina stanca da 25 anni (e speriamo ora si concluda) dopo due concorsi di idee (il primo del 1983) e un progetto dato per incarico diretto a Ricardo Bofill (1995-2002), tutto andato in fumo. Ma non disperiamo: forse è stato tempo utile alla riflessione… il risultato non sempre è quello atteso, ma tutto serve… speriamo a un progetto migliore. Anche perché nel 1983 di alta velocità non si parlava ancora…

Arata Isozaki all’inaugurazione arriva di persona. Immagino con una toccata e fuga massacrante e con un aereo che lo riporterà in Giappone dopo un’ora. Dopo tanta fatica e tanti tentativi di fare un progetto in Italia (ricordiamo l’ingresso agli Uffizi a Firenze, del 1998), sembra che ora i tempi siano giusti, con il cantiere della torre nella fiera di Milano e ora questa vittoria a Bologna. Il progetto – intitolato FUTURA 787 – non è poi male, anche se ci sembra un po’ già visto. Per Bologna sarebbe comunque come l’arrivo di un’astronave che scende a portare la città verso un futuro…

A guardare la mostra si vedono lavori interessanti ma non entusiasmanti. Mi chiedo cosa ne percepisca il pubblico “non tecnico”. Ma perché abbia vinto Isozaki piuttosto che Boeri o un altro non appare chiaro a me e forse a tanti. Non ci sono strumenti che ci facciano valutare elementi di fattibilità tecnica, o economica. Tutto è render. Tutto appare verosimile, ma non vero. Tutto come dovere, necessità, ma poco sentito, sia dai progettisti che dal pubblico visitante. La sensazione che ci si scambia è che, nonostante i proclami, nessuno ci stia credendo davvero.

Bologna arriva ultima, alla rincorsa delle altre stazioni. Infatti, più che un concorso per Bologna è il concorso delle Ferrovie, di Trenitalia. Nessuna differenza particolare fra le varie città toccate. Stessi progettisti, stesse formule ad invito…come se le citta’, le stazioni, i progettisti, le persone fossero identiche ovunque. Pochi punti dove spendere soldi e attrarre consenso, migliaia di chilometri di ferrovia con locali tecnici annessi a devastare chilometri di territorio, come se l’architettura fosse solo edificio, città e non infrastruttura, paesaggio (e l’opera infrastrutturale non potesse essere bella, intelligente, sapiente; forse l’unico caso positivo in questo senso il ponte di Calatrava a Reggio). L’errore è sempre nel volere dimostrarsi al passo, nel rincorrere gli altri tentando il simile piuttosto che ragionare col proprio sentire. I temi affrontati – ricucitura, galleria, piazza, integrazione…- non affrontano nessuna sperimentazione, nessuna nuova idea, ricerca. Nei progetti i soliti temi di energia, verde, bosco … ci appaiono come icone, concetti obbligatori, che vanno citati più che risolti.

Mi chiedo allora: ma cosa chiedeva Bologna? Perché ora critica il progetto distante di un giapponese ma non ha saputo proporne uno suo, con il quale mettersi in gioco, entrando in competizione con il resto del mondo? Cosa stiamo insegnando nelle università di architettura e ingegneria, dalle quali escono ogni anno sempre più laureati? Perché ora la si sta tentando di convincere con una mostra ma la città non ha capito l’occasione? Perché oggi il problema è sempre quello di creare consenso piuttosto che di fare architettura? E mi rispondo che forse si deve creare consenso perché manca il senso comune e non si crede più nell’architettura come risposta ai problemi della vita dell’uomo. L’architettura ha perso le sue specificità tecniche e costruttive ed è diventata idea, render, immagine da vendere.

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© oscar ferrari_arcomai | Arata Isozaki apre la mostra sui progetti finalisti del concorso internazionale per la Nuova Stazione di Bologna.


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