Una Biennale senza architettura

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 © arcomai I Installazione alla X Biennale d’Architettura.

Entrando nel lungo camerone delle Corderie all’Arsenale di Venezia, dove inizia l’esposizione curata da Richard Burdett per la X Biennale d’Architettura, si avverte subito un grande vuoto, un’assenza fondamentale: la mancanza dell’architettura, e visto il contesto, non è cosa da poco.  Il tema selettivo della metropoli, smisurata per definizione, s’impone in tutta la sua bidimensionalità, e non può che essere altrimenti, e questo cancella la tridimensionalità dell’architettura. Il vuoto che si avverte è pertanto dovuto non solo all’allestimento sobrio rispetto alle ultime edizioni ma soprattutto al fatto che l’architettura è solo una comparsa della recita inscenata. I numeri categorici della megalopoli sanciscono definitivamente che l’architettura non può risolvere tutto ed i problemi di tutti: è anche questo uno dei tanti modi per sancire la fine di una precisa visione “utopica” e “salvifica” dell’architettura Moderna. Se per buona parte del secolo scorso l’architetto pensava di salvare il mondo, ora sembra pensare più che altro come salvarsi dal mondo in cui si trova a vivere, un mondo che non riesce più a soddisfarlo, che inizia a ribellarsi. E le metropoli in mostra a Venezia dimostrano bene come la loro esistenza prescinde assolutamente dall’operato dell’architetto e spesso anche dell’urbanista.

In quanto non protagonista della scena, l’architettura della Biennale si fa notare in parte per essere un’”architettura senza architetti”. Si avverte forte il crescente e recente timore dell’architettura di manifestare esplicitamente il proprio ruolo simbolico d’artifizio, che sempre l’ha contraddistinta, cercando la mimesi più spinta con la natura. Sembra così inevitabile doversi nascondere sotto una coltre “verde”, proporre ogn’uno a modo suo la propria “foglia di fico”, pensando così di non essere visti, di essere assolti dalla colpa di esistere, e ripulirsi la falsa coscienza del proprio ruolo. Continuando di questo passo, forse tra poco i nostri “prati” ci spilleranno assieme ai nostri edifici!

P.S. La proposta del Padiglione italiano della città di Vema, vista la situazione, ambisce ad essere la città “novissima”: ma, se tanti edifici diversi allineati ai bordi di una strada rettilinea possono fare di questa anche una bellissima strada, non si può dire lo stesso di tanti pezzi di città inclusi in un perfetto rettangolo! Il risultato è più che altro vedere 20 città confuse assieme. La nascita di una nuova città necessita di una scelta progettuale fondamentale, la scelta del luogo: se non sono ragioni strategiche-militari, possono essere economiche, legate agli scambi, geografiche, naturalistiche, religiose… per Vema le vesti del “bradamante” del terzo millennio le ha indossate Nomisma, che invece che impugnare un ramoscello ha incrociato i suoi diagrammi: è solo questo il punto di contatto con la mostra veneziana, il rischio dell’abdicazione dell’architettura a favore dell’economia, del Real Estate.


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