Paesaggi urbani. Pianoro Nuova

E’ uscito di recente il libro PAESAGGI URBANI. Pianoro Nuova (Alinea Editrice, Firenze, 2005) scritto dall’arch./prof. Claudio Zanirato. Abbiamo chiesto ad un ex-studente dell’autore di recensire il volume. Dall’analisi del giovane critico si individua un metodo compositivo per “architettura staminale” che “tende a suggerire non tanto una nuova strumentazione progettuale, bensì una posizione logica di ricerca” per un contesto urbano che per dimensioni e storia è ritrovabile in altre località del Paese.

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Copertina del libro. Vedute prospettiche degli edifici di nuova edificazione e di trasformazione, con il verde impiegato come elemento di integrazione. Sezione traversale dei blocchi abitativi e pianta dei piani terra. (immagini tratte da PAESAGGI URBANI. Pianoro Nuova).

Fare architettura non significa inventare,
bensì scoprire; è interpretazione sempre
nuova di concetti noti, è vedere il mondo
con occhi sempre diversi, viverlo in modo
sempre nuovo, reinventarlo e animarlo
con contenuti inconsueti.
Creare architettura significa anche colmare
la realtà con un’idea, con un punto di vista
mutato, diverso.
  (Oswald Mathias Ungers)

In uno degli ultimi libri che ho avuto occasione di leggere, mi sono lasciato sorprendere, in modo forse un po’ ingenuo, da una frase che appare subito nel testo introduttivo e che a posteriori riesco a definire come sintetica dell’intero contenuto narrativo.
…le città ci appartengono, fuggevolmente.
Non è tanto l’intrinseca deduzione di questa che trovo significante e meritevole di nota, quanto il ragionamento che essa apre, e di riflesso legittima, sul rapporto tra l’uomo ed il proprio patrimonio insediativo; poiché se è vero che le città ci appartengono fuggevolmente per nostra stessa natura, di esseri mortali e quindi limitati nel tempo, è anche vero che questa fuggevolezza è dettata anche dalla natura dell’altro termine in questione, la città, che nel suo configurarsi nel tempo, appare come una continua stratificazione dinamica di eventi e fatti costruttivi, diversi tra loro e dall’esito sempre poco prevedibile. Forse anche quest’ultima considerazione potrebbe sembrare banale, ma in un paese come l’Italia, dove i centri abitati assomigliano sempre di più a dei corpi mummificati, e a quanto sembra intoccabili, l’affermazione a cui ci riferiamo risuona come un monito, una sorta di rapeller à l’ordre, con cui distaccarsi da una consueta, ed ormai consumata, lettura romantica della città. La forza di questa affermazione si amplifica poi, se alle parole, si accompagna una vera e propria esperienza progettuale, come quella illustrata nel libro, che seppur circoscritta in uno scenario singolare com’è quello di Pianoro e notevolmente decurtata rispetto all’originaria proposta tipologica e funzionale, rende merito ed evidente la possibilità di un contributo realmente attuale ed operativamente radicale, all’interno del cuore stesso delle nostre città.

Quello che di primo acchito appare come un resoconto di un percorso progettuale, iniziato nel 2001 con l’aggiudicazione del concorso nazionale di idee e conclusosi nel 2003 con la redazione del P.R.U. per il centro urbano di Pianoro (BO), ad una lettura più attenta diventa la proposizione di un metodo da parte dell’autore, che tende a suggerire non tanto una nuova strumentazione progettuale, bensì una posizione logica di ricerca, scevra da ogni preconcetto conoscitivo e che tenta di recuperare le proprie coordinate operative direttamente dalla fonte, dal territorio dove opera. Pianoro ha poco più di cinquant’anni, con i bombardamenti del 1944 e del 1945 è stata prima distrutta e poi ricostruita in modo integrale, su di un sito diverso dall’originario sedime che i primi contadini di queste terre conquistarono con duro lavoro. Il piano definitivo di questa nuova città venne approvato nel 1952; tra i suoi contenuti vi era dichiaratamente quello della piena concordanza alla logica funzionalista e di questa alla sua massima rappresentazione: la città ortogonale. Questa avrebbe dovuto rassicurare sulla pianificazione aperta e logica del territorio, forte anche del richiamo a quella radice storica che la connette al castrum romano, ed invece, nel breve lasso di cinquant’anni, in cui la città ha potuto dilatarsi e per quanto possibile sedimentarsi, di quest’impostazione sono emersi soprattutto i limiti.

In questo scenario la proposta progettuale di Zanirato per il centro urbano di Pianoro, definitasi attraverso una successione di masterplan, acquista un valore didascalico di notevole interesse in cui è lontana la logica della predominanza della forma a priori, dove invece l’operatività nasce e si sviluppa con l’acquisizione costante e scrupolosa di stimoli direttamente derivanti dal contesto cui si confronta. La ricerca della continuità fisica della città; il suo costituirsi e verificarsi con il sistema delle relazioni; l’apertura, e dove è necessaria la circoscrizione, dello spazio urbano; l’offerta di una tridimensionalità di questo; il costante dialogo tra l’ampio sistema territoriale ed il divenire della struttura urbana; sono tutti principi cui si ordisce il progetto ed assieme sono caratteri imprescindibili di qualsiasi realtà urbana consolidata. Quello che ho potuto scorgere nella conoscenza di questo progetto è una singolare intenzionalità operativa che, se mi è concesso di usare il termine, definirei come architettura staminale.

Il progetto del costruire, nonostante le innumerevoli varianti che ha dovuto subire, in ogni suo passo si mantiene oltre le soglie della pura formalità fisica e diventa base, vero e proprio suolo portante, dell’esperienza esistenziale urbana. Il suo costituirsi non passa attraverso la semplice composizione volumetrica, bensì attraverso l’amalgama che l’atto costruttivo e la volontà relazionale riescono a sintetizzare nell’immagine architettonica. Il recupero dello scenario urbano passa attraverso la riqualificazione delle aree e degli edifici pubblici: alla sede comunale, per la quale è pensata una nuova scalinata di accesso, viene affiancato il nuovo centro culturale e tra questi si dilata la piazza, già esistente, ora circoscritta da un sistema di percorrenza in quota che è assieme margine e riferimento ritmico di una ritrovata accessibilità della città.

L’intero sistema dei percorsi pubblici dilaga oltre i limiti precedentemente imposti e, alla ricerca di una continuità con le aree limitrofe, coinvolge la piazza delle poste e quella del mercato. Altri edifici partecipano organicamente alla ri-costituzione del sistema fisico e spaziale del centro città con volontà apertamente densificatoria: da quelli commerciali a quelli residenziali, tutti indistintamente, vengono coinvolti in una vera e propria stratificazione architettonica, non già cancellando la realtà esistente, ma sovrapponendosi ad essa; esemplare di questo è il recupero delle palazzine isolate dell’ex-Ministero della Finanza, unificate da un basamento continuo, dal carattere fortemente massivo, nel quale dovrebbero trovare occupazione spazi di servizio e commerciali oppure, come nel caso degli edifici proposti per Via Nazionale, adottando una soluzione che prevede la sovrapposizione ad un piano terra adibito a parcheggi di un sistema alternato di volumi residenziali e giardini pensili.

La parte di città coinvolta nell’operazione progettuale si contrappone con forza alla rigidità della griglia originariamente impostagli e riacquista la dignità, oserei dire la complessità, dell’organismo vivente. Il valore urbano, la sua stessa qualità, è così da ricercarsi non già nell’atto primariamente fisico e tangibile che il progetto persegue, bensì nella porosità complementare che esso suggerisce e tematizza. L’azione fondamentale non è inserire ma estrarre: attraverso lo studio del paesaggio urbano viene perseguita l’evidenza del suo massimo potenziale cosicché all’indifferente periodicità della trama urbanistica viene sostituita la multiforme continuità architettonica, al semplice vuoto tra edifici la strutturazione di un verde attrezzato, alla piattezza della cortina edilizia la compenetrazione tipologica e la pigmentazione funzionale. Nell’intento generale non vi è, come purtroppo in molti casi accade, la verificabilità di una personale formulazione progettuale ma a questa succede una visione ampia e distaccata che, collegando l’esistente all’esistibile, mira al ricostituirsi dell’identità urbana e culturale della città di Pianoro.

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 © claudio zanirato l Vedute prospettiche della riqualificazione della piazza dei Martiri, con l’ampliamento del municipio e l’inserimento del nuovo centro civico-culturale. (immagini tratte da PAESAGGI URBANI. Pianoro Nuova).

 

Carlo Antonelli nasce a Foligno nel 1976. Nel 2004 si laurea presso la facoltà di architettura di Firenze con la tesi “Bologna: cinematica urbana ed il nuovo municipio”. Dal 2005 è cultore della materia e collaboratore del Prof. Claudio Zanirato all’interno del Laboratorio di Progettazione Architettonica III della facoltà di scienze dell’architettura dell’Università di Firenze. Dal 2000 collabora con Simone Zoccheddu, con lo pseudonimo di Carol Dodo, ad una singolare ricerca nel campo della fotografia e della foto-installazione: loro lavori sono stati esposti presso il Museo di San Pietro in Assisi.


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