Tra Casabella e Casamarket c’è il catalogo IKEA. Dove abita oggi l’architettura in Italia?

Il temi trattati in questo contributo dall’autore sono stati esposti alla seconda sessione “Comunicare l’architettura” delle tre giornate di studio sull’architettura promosse ed organizzate a Riesi (CT) dal Villaggio Monte degli Ulivi nel dicembre 2005.

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© arcomai l Copertine a confronto.

L’Italia – come è noto – produce più architettura di carta che quella costruita, tanto da farci detenere il non invidiabile primato mondiale del paese con il più alto numero di riviste di settore rispetto alla qualità del costruito prodotta. Risultato che viene poi amplificato se teniamo conto non solo dall’ampia e variegata famiglia di giornali “generalisti”, “femminili”, “allegati” e “non solo moda”, ma soprattutto da una gamma indefinibile di “giornali immobiliari” che, distribuiti gratuitamente nei pressi di fermate, edicola, bar, esercizi commerciali … di una qualsiasi città italiana, gettano sul mercato/territorio migliaia di tonnellate di carta, le cui milioni di pagine raccontano/documentano in tempo reale lo “sviluppo” del paesaggio urbano nazionale.

Disponibili anche dentro le biblioteche, questi giornali, riconoscibili dal kitch delle copertine, sono mensili o quindicinali da addirittura 70-110 pagine tutte fitte di annunci, schede informative, foto e renderings che esprimono con tenerezza (perché solitamente amatoriali) ciò che si può comprare oggi sulla carta, per poi abitare domani. È dentro queste pagine che si alimenta – e a volte realizza – il grande sogno di noi Italiani, sempre che il metro[quadrato] lo consenta, i genitori e/o i nonni possano/vogliano collaborare o la banca sia magna[anima]. Là dove lo spazio pubblico ha perso il suo valore sociale e comunitario e l’appartamento è divenuto il “vorrei ma non posso” che l’immaginario collettivo associa al “costruito” in Italia, ecco che si aprono nuovi scenari anche per il dibattito sull’architettura e su come [pro]muoverla. Inoltre, in un paese in cui la famiglia è tenuta unita dal problema della “casa”, credo che questi tipi di pubblicazioni abbiano il potere di condizionare il vivere e saper vedere l’architettura più di quanto non lo facciano le riviste specializzate, oggi incapaci di raccontare il nostro tempo perché vittime/carnefici di quel “sistema di stelle” che sembrano aver contaminato tutti i settori del mondo mediatico.

 

© arcomai l Alcune testate immobiliari distribuite sul territorio di Bologna (collage).

Da recenti statistiche il 50% della popolazione italiana legge solo un libro all’anno. Questo risultato internazionale ci fa aggiudicare un ulteriore primato negativo: quello dei più pigri lettori del Condominio Europa. Sono forse i “giornali immobiliari” i best sellers EURO ZERO più letti in Italia? Noi ci auguriamo di no, ma sicuramente questo bombardamento di “fotoromanzi dell’abitare” contribuisce a fare della casa il “fattore culturale” più rilevante per le famiglie italiane che sognano nel loro intimo di divenire esse stesse protagoniste di un realty-show, ambientato in una qualsiasi dimensione domestica, in cui esprimere in modo dignitoso il proprio diritto/voglia di vivere. Così la casa rimane “emergenza” e fattori collettivi come: il lavoro, la sicurezza, il traffico, l’inquinamento, la decenza della scena urbana sono secondari almeno fino a quando, archiviato il “caso[casa]”, si presenta del vivere in un “ambito comune”.

Come è già successo per il nostro cinema trash degli anni ’70: quello per intenderci di Alvaro Vitali, Edwice Fenech, Isabella Ferrari, Nino Banfi e D’Angelo & Co., pre-vediamo che tra quindici anni ciò che oggi viene sottovalutato come produzione[spazzatura] sarà oggetto di studi in diversi campi del sapere (tesi di laurea, trattati, convegni, editoriali), sempre che tutto ciò abbia ancora senso nel 2020.

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© arcomai l Questi edifici potrebbero trovarsi in una qualsiasi città italiana.

Sfogliando le pagine di questi magazines, scopriamo con tristezza di vivere in un paese ordinato perché ordinario, normale perché normalizzato dalla rete di politiche/economie che ruotano attorno alla costruzione&compra/vendita di immobili. Il paesaggio urbano italiano è stato omologato da una macchina industriale che, dal dopoguerra ad oggi, ha saputo costruire intere generazione di edifici tutti uguali, perché concepiti/clonati in provetta (lottizzazione) da una non precisata relazione (progetto) tra domanda ed offerta, di cui i più maligni dicono generata più per interessi (speculazione) che per necessità (sentimento). Il risultato è una nazione che dalle Alpi alle Isole è fatta di case tutte identiche, anonime e asessuali, il cui destino era/è già inevitabilmente segnato dall’isteria della ri-strutturazione. Ecco che in un paese dove è l’edilizia la “grande madre” delle nostre città, credo sia doveroso soffermarci seriamente e con la dovuta attenzione su questo nostro vero made in italy, porre alcune domande e trarre alcune considerazioni.

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© arcomai l Cartelloni a confronto: Bologna via Emilia Ponente angolo Via Battindarno (marzo 2005) . Firenze via Toscanini (novembre 2005). La “casa collettiva” è oggi suddivisa in “cellule” abitative all’interno di “involucri” condominiali.

Come può diffondersi una “cultura del progetto” quando questo non viene richiesto come bisogno comune? Come si può pretendere di incrementare l’architettura quando ancora oggi si pensa al mattone come al più sicuro degli investimenti? Con quale ipocrisia ci si scandalizza quando da inchieste televisive scopriamo che il paesaggio è ciclicamente violentato da pesanti operazioni speculative? Come arrivare al grande pubblico e stimolarne la partecipa[azione] dei cittadini nei confronti delle “questioni” comuni? Come si può pretendere che il “gusto” diventi “norma” quando l’esistenza dell’individuo è misurata secondo moduli: il metro-cubo, il vano, il monolocale, il bilocale (che è il mono diviso in due), l’angolo cottura, il posto auto, l’impianto autonomo, l’unità esterna del condizionatore? Come si fa ad affrontare in modo serio le questioni sulla compatibilità ambientale quando non si cerca di tenere in vita il “vivere collettivo”?

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© arcomai l Dalla casa colonica alle grandi lottizzazioni il paesaggio urbano è omologato da codici linguistici e compositivi oramai consolidati (collage).

Basta sfogliare queste “televendite dell’abitare” per dare alcune risposte e formulare ulteriori domande. Il mercato dell’edilizia è forte e ben organizzato: i giornali di cui vi parlo ospitano indistintamente le offerte di tutte le agenzie che lavorano in un territorio. Ognuno con il proprio logo e recapiti ma tutti uniti – anche se spregiudicatamente in concorrenza tra loro – affinché la grande famiglia dell’industria degli affari prosperi fraternamente. Viene allora spontaneo chiedersi: se case e magazines del mq&mc non siano tutti figli degli stessi genitori?; se sia ancora giusto credere idillicamente nell’architettura, o se non sia più intelligente soffermarci sui fenomeni del mondo dell’edilizia “fatto in italia”, cercando di capire in che modo le attività delle cooperative di costruzione incidono sulla qualità del paesaggio locale, quali effetti hanno sulla politica del territorio le recenti “ascese” acrobatiche da parte di grossi gruppi immobiliaristi (Coppola, Caltagirone, Ligresti, Zunino, Ricucci, …).

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© arcomai l Le agenzie immobiliari (in concorrenza tra loro) condividono fraternamente comuni spazi pubblicitari.

In questo mondo del “global living” all’italiana si inserisce non a caso la fortuna della più grande “multinazionale dell’abitare” che è la svedese IKEA, il cui catalogo è un altro dei best seller più letti e tradotti in tutte le lingue. Anche qui ogni prodotto pubblicato è una soluzione ad un problema domestico. Con prezzi, misure, descrizioni e foto questo “manuale” non solo ci aiuta a rendere dignitosa – e a basso costo – una qualsiasi casa, qualunque essa sia e ovunque si trovi, ma ci indica il modo più moderno per sedersi su un divano, quello più razionale per posizionare la TV o il PC, quello più elegante per apparecchiare un tavolo, quello più intelligente per collocare i tanti oggetti stupidi che inconsciamente raccogliamo lungo il percorso/labirinto obbligato che ti porta all’uscita che è poi la cassa. È singolare come una società, quella italiana, che sul piano dell’opinione è purtroppo sempre spaccata in due, il tutto a scapito di un “progetto comune” finalizzato al superamento dei molteplici malesseri in cui vive la società contemporanea, dentro questi capannoni giallo-blu si [ri]trovi civilmente unita in un comune sentire: “casamia”, termine che ben si presenterebbe a dare il nome ad una nuova rivista.

Credo che l’IKEA sia la più grande macchina di “omologazione” dell’umanità di questa nostra recente storia e, per questo, sia uno dei fenomeni di massa – da non demonizzare ma comprendere all’interno di una dimensione più allargata – che dovrebbe interessare tutte quelle discipline che hanno come campo di studio l’uomo e suoi comportamenti (antropologia, psicologia, sociologia, economica, politica, …) e quindi anche l’architettura.

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© arcomai l Il catalogo IKEA: il “best seller dell’abitare” più letto e tradotto al mondo.

Il nostro è veramente un paese straordinario perché il “tutto” è in qualche modo un “paradosso”.  Da noi l’architettura non ha casa, non abita, non esiste. Eppure siamo – c’è chi dice – attorno ai 135.000 architetti, più di quanti probabilmente esercitano in tutto il resto d’Europa. Chi siamo? Cosa facciamo? Dove andiamo? Cosa progettiamo? È difficile rispondere a queste domande. Vi posso però assicurare che anche l’architetto con il suo metro di carta e la sua matitina di legno quando è lì (all’IKEA) progetta la cameretta dei suoi bambini, la cucina o il soggiorno come un qualsiasi altro cliente.

Dall’analisi del mercato edile/immobiliare si potrebbe far partire un inedito processo dialettico: una sorta di stagione “neo-realista” dell’architettura in grado di affrontare in modo critico e indipendente una condizione che è sotto gli occhi di tutti, ma di cui fa comodo non parlare. Sono convinto che ne emergerebbe un quadro abbastanza oggettivo sia per quanto riguarda le cause del silenzioso processo urbano-degenerativo in atto nelle nostre città che le tante identità di una politica, oggi incapace di governare il territorio perché divisa (quindi  poco autorevole) e a volte compiacente nei riguardi di una “economia al metro” che insieme alla “strategia degli oneri” (urbanistici, ICI&Co.) contribuiscono alla regressione dell’ambiente in cui viviamo. Cerchiamo di comprendere meglio ciò che è attorno a noi. Solo così potremo dare una “casa” all’architettura italiana.

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© arcomai l  Distributori di riviste immobiliari lungo una strada del centro di Bologna.

 


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