ASCOLTARE L’ARCHITETTURA #1/A. L’architettura per tutti

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Il nostro primo viaggio nel mondo editoriale – che in modo “generalista” parla di architettura – parte dalla “casa” – che è “amica” perché “donna” – per cercare di comprendere successivamente quegli aspetti del “vivere collettivo” che rendono una società sì un soggetto moderno, dinamico, emancipato e maturo ma anche un’entità complessa e mutevole. Il successo/potenzialità delle riviste che al di fuori delle discipline raccontano il “mondo costruito” è: l’essere allegato, gratuito e/o economico, sfogliabile, accessibile per linguaggio e maneggevole per formato; l’essere distribuito ovunque; l’essere presente in ogni sala d’attesa (ambulatori, hairstylists, uffici, biblioteche, …); l’essere “superficiale” – perché al resto (attualità) ci pensano i gruppi editoriali di appartenenza – l’essere ancora estraneo agli schieramenti in cui è diviso il mondo mass-mediatico ma soprattutto l’essere portatore di un ottimistico/dinamico modo di vedere/vivere la contemporaneità. In un Paese in cui, da recenti dati statistici, si evince che un italiano su due legge in media un libro all’anno – facendoci aggiudicare così il primato negativo nei confronti degli altri coinquilini del condominio Europa – ci piace pensare che questi faccia regolarmente scorpacciata di quotidiani, rotocalchi e riviste anche “generaliste”. Allora, cerchiamo di capire come queste pubblicazioni condizionino l’immaginario collettivo (visione dell’abitare il tempo) di una società costituita da individui che (bingo permettendo) mollerebbero tutto per traslocare in ville mozzafiato o in sobri e minimalisti lofts, che conoscono e si ri-conoscono con orgoglio nel design (meglio se made in italy), ma che poi vivono nella cronica ossessione di trovare casa, di realizzare l’agognata “dimensione privata” in un appartamento che sia dignitoso, possibilmente lontano dal traffico e magari assemblato-standard dalla macchina dei sogni IKEA.

 

Primo contatto /  L’architettura per tutti

Data: 30 maggio 2005

Luogo: Etere / Radio Citta’ del Capo in streaming

Conduttore: Piero Santi, Curatore Programma Humus

Coordinatori:

Nicola Desiderio, Presidente Associazione/Pagina Digitale Arcomai

Matteo Agnoletto, Architetto, Ricercatore

Nicola Marzot, Architetto, Ricercatore

Ospiti:

Sara Banti, Caposervizio architettura CASAMICA, allegato Corriere della Sera

Sebastiano Brandolini, Critico d’architettura D-CASA, allegato La Repubblica

 

Sara Banti è nata e vive, suo malgrado, a Milano. Spesso sogna di andare ad abitare a Londra, Barcellona o Parigi, oppure in qualche bel posto più o meno selvaggio, come le colline piacentine, l’entroterra pugliese, o la foresta tropicale colombiana. Ha studiato Architettura a Milano e si è laureata con un personaggio geniale fuori dagli schemi, Maurice Cerasi, che le ha insegnato ad amare il progetto dello spazio aperto. Dopo aver fatto un po’ di dura gavetta negli studi d’architettura milanesi e due anni di assistente in università con Cino Zucchi, ha cominciato per caso a collaborare con i giornali. Prima una rubrica d’arte contemporanea su Bravacasa, poi Casamica. Dove ha scoperto che occuparsi di architettura da giornalista è molto più divertente.

Sebastiano Brandolini, architetto e critico, vive e lavora a Milano. Redattore della rivista Casabella tra il 1985 e il 1996, collabora con riviste di architettura italiane e straniere ed è attualmente il critico d’architettura della rivista D la Repubblica delle Donne. Professore a contratto presso la facoltà di Architettura di Genova, presso Skira ha pubblicato Gullichsen-Kairamo-Vormala 1969-2000 e 5+1 associati. Sempre per Skira ha curato il volume Nuova architettura a Milano in cui sono illustrati tutti i recenti progetti architettonici che stanno cambiando il volto di Milano.

Matteo Agnoletto (Modena, 1972) si laurea a Venezia con Franco Purini. Ha svolto attività professionale negli studi di Renzo Piano e Jean Nouvel. Attualmente è collaboratore a contratto alla didattica presso l’Università di Bologna, Facoltà di Architettura di Cesena e segue un programma di ricerca al Dottorato di Progettazione Architettonica e Urbana al Politecnico di Milano. È capo-redattore di “Parametro” e cura le rubriche di “Arch’it” dedicate all’editoria offline. Ha pubblicato articoli su “ilSole24ore”, “Gomorra”, “Il Progetto”, “Iride”, “Materia”, “Abitare”, “Il Giornale dell’Architettura”, “D’A”. Nel 2002 ha partecipato con Cino Zucchi alla Ottava Biennale di Architettura di Venezia. In ambito progettuale ha ricevuto premi e segnalazioni in concorsi nazionali e internazionali, esponendo i propri lavori in mostre e conferenze.

Nicola Marzot. Nato nel 1965. Si laurea nella Facoltà di Architettura di Firenze. Ha conseguito il dottorato di ricerca in “Ingegneria edilizia e territoriale” presso la Facoltà di Ingegneria di Bologna. Ha insegnato presso le Facoltà di Architettura di Firenze, la Facoltà di Ingegneria di Bologna e le Università di Lund (Svezia, Facoltà di Architettura) e Tokyo (Hosei University, Facoltà di Architettura). Attualmente è ricercatore in Composizione architettonica e urbana nella Facoltà di Architettura di Ferrara e docente responsabile del “Laboratorio di Progettazione I A”. Redattore di Paesaggio Urbano e delle riviste internazionali Urban Morphology, Opera/Progetto e Rassegna. E’ consulente urbanistico dell’Osservatorio immobiliare di Nomisma S.p.a. e di OIKOS centro studi sull’abitare. Svolge attività professionale a Bologna, cotitolare dello studio PERFORMA A+U.

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© arcomai l Casamica e D-CASA insieme in biblioteca (penultima settimana di aprile 2005).

 

ATTI

Marzot. Come diceva in apertura Piero Santi introducendo il gruppo di lavoro, la sfida che intendiamo promuovere attraverso RCdC è proprio quella di affrontare i temi legati al mondo dell’architettura e della città in maniera non specialistica, con un atteggiamento che abbiamo definito generalista. Abbiamo pertanto individuato nel gruppo dei nostri interlocutori una serie di soggetti istituzionali che affrontano il tema dell’architettura e dell’urbanistica senza volersi rivolgere direttamente agli addetti ai lavori: quindi coinvolgendo un pubblico, una base di ascoltatori, di lettori che sia la più ampia possibile e da questo punto di vista devo dire che i nostri referenti del Corriere della Sera, ovvero nello specifico Sara Banti, e di La Repubblica, ovvero Sebastiano Brandolini, sono sicuramente figure importanti e significative.

Marzot. Grazie per essere intervenuti a questo primo incontro. Noi pensiamo di affrontare alcuni temi in maniera unitaria chiedendo poi ad ognuno di voi un approfondimento per quella che è vostra specifica esperienza. Una delle prime questioni riguarda nello specifico il rapporto che D-Casa da una parte e Casamica dall’altra hanno direttamente con le testate di riferimento: Il Corriere della Sera e La Repubblica. Vorremmo capire da voi in che modo si costruisce questo rapporto pur mantenendo un’autonomia e una specificità di visione. Riteniamo che siano questioni importanti perché la storia dell’architettura riporta una serie di esperienze singolari e significative di promozione di momenti importanti attraverso la stampa generalista, ovvero stampa non orientata ad addetti ai lavori. Ricordiamo soltanto due episodi: uno riportato dal Rem Koolhaas in Delirious New York – un grande saggio di storia urbana contemporanea – dove si riferisce che le prime pubblicità del grattacelo venivano inserite in giornali per signore; o un altro esempio più contemporaneo quello della cultura giapponese dove la pubblicità di componentistica edilizia è rigorosamente orientata alle donne in quanto riconosciute come destinatarie privilegiate di tutto ciò che riguarda il mondo della casa. Quindi vi chiederemmo, ognuno per la propria esperienza, di entrare un po’ nel merito del rapporto tra il vostro magazine di riferimento e la testa giornalistica.

Banti.  Oggi l’architettura sta diventando finalmente un tema  più vicino alla gente e questo fatto determina in parte il successo di riviste che ne divulgano i contenuti. Contenuti che passano tipicamente attraverso l’immagine e sempre di più oggi attraverso un’immagine spettacolare e d’impatto, sorpresiva, che difficilmente può essere veicolata, per esempio, attraverso un quotidiano (anche se adesso i quotidiani stanno diventando tutti full-color, il che facilita la comunicazione). La rivista patinata in questo è molto più forte, convincente. Giornali come Casamica, piuttosto che D-Casa possono dare un contributo apprezzabile a questi contenuti proprio perché nascono per essere fruiti attraverso immagini che comunicano al meglio lo specifico dell’architettura. Poiché si accompagnano – gratuitamente – a dei quotidiani, e sono veicolati insieme a due magazine di grande lettura (Io Donna e D), giornali come i nostri si propongono come strumenti agili, con testi brevi, informativi ma comprensibili a tutti. Il vantaggio, rispetto alla divulgazione dell’architettura, è la possibilità di raggiunge un’infinità di persone e un pubblico molto trasversale (nello specifico del mio giornale, quello del CdS). Casamica ha una tiratura che si aggira sulle 6-700.000 copie al mese che può tradursi in una diffusione media di 550.000 copie al mese e i nostri sondaggi calcolano che ogni copia abbia un contatto con circa 2-3 persone, perché in famiglia poi il giornale gira, piace ai giovani come alle persone più mature, piace a donne e uomini in maniera abbastanza paritetica.

Marzot. Vediamo ora il punto di vista di Sebastiano Brandolini per avere questo discorso in parallelo.

Brandolini. Premetto un’osservazione. La mia collaborazione è con la rivista D che è il supplemento che,  come in gran parte il pubblico sa, esce con Repubblica di sabato a cui a sua volta mi sembra tre o quattro volte l’anno si aggiunge un ulteriore supplemento che è D-Casa. Cioè la mia collaborazione è con D che il settimanale vero e proprio. Detto questo, mi sembra molto interessante quello che è stato appena detto e vorrei aggiungere un punto che per me almeno è stato un punto cardinale ed è il motivo per cui  dopo l’esperienza nelle riviste specialiste di architettura mi interessa, ed è quello che faccio da svariati anni, fare. Ed è che, secondo me, il riconoscimento da parte della società nel suo insieme, dell’importanza che ha l’architettura, non può che passare attraverso la sua divulgazione. Questo perché l’architettura come anche l’urbanistica sono delle discipline fortemente radicate nella società e fortemente radicate comunque nel consenso del pubblico e affinché ciò accada è indispensabile che si possa parlare, che si parli di un argomento complesso quale sono le nostre città, piuttosto che i nuovi edifici importanti che vengono realizzati, piuttosto che anche le trasformazioni più minime della nostra società, architettoniche, del nostro territorio in modo, in un modo comprensibile. Cioè, le nostre riviste di architettura, di cui Italia è credo il paese che ne produce di più a livello mondiale perché sono veramente moltissime, continuano e lo hanno fatto per molti anni a parlare di architettura tra di loro senza fare nessun reale tentativo di spiegare come stanno realmente le cose. E proprio a quelle persone che magari non sono gli architetti, che sono persone di media cultura interessate ai fenomeni sia della società, sia proprio a ciò che uno vede nelle nostre città, queste cose vanno realmente spiegate. Quindi è molto importante il fatto che anche le riviste di larga diffusione, di larga distribuzione che attingano da una società che è sempre più attenta all’ambiente nel quale si vive e si lavora, si interessino  di questi argomenti. Per questo è molto importante, per esempio secondo me, .il tema della scrittura: cioè bisogna essere in grado di usare un linguaggio che sia un linguaggio normale e che non sia un linguaggio disciplinare, come viene spesso chiamato, in modo che tutti possano capire quanto importane è l’architettura, quanto importanti sono le città per la nostra la qualità della vita. Questo è l’obiettivo che io mi prefiggo scrivendo su D.

Marzot. In effetti su questo aspetto mi permetto di fare un piccolo inciso. Sebastiano Brandolini è stato finalista del premio della critica per la medaglia d’oro della Triennale dell’anno scorso e tra le motivazioni ufficiali riportate dalla giuria c’è stata appunto questa capacità di veicolare, comunicare – diciamo – contenuti, esperienze generalmente legate agli addetti ai lavori, ad un pubblico più ampio.

Agnoletto. Vorrei approfondire il tema sul lettore ideale delle vostre testate. Mi viene in mente. Das Andere di Adolf Loos, una rivista. Naturalmente eravamo in un periodo molto diverso, però scritta da un architetto che non parlava di architettura e si rivolgeva ad un pubblico di non architetti. Sarebbe interessante avere un approfondimento, un identikit anche dei vostri lettori, sapere se chi sfoglia le vostre riviste è indirizzato anche a rubriche precise. Io a volte quando le sfoglio con piacere vado direttamente sulle tematiche di architettura. È possibile fare una sintesi sia sul lettore ideale sia sul messaggio che solitamente intendete trasmettere.

Banti. Come dicevo il nostro è un lettore molto trasversale. Dato lo specifico dei temi trattati su Casamica, arredamento e design prima di tutto, sicuramente è un lettore che si aspetta anche di essere orientato nell’acquisto di mobili e oggetti per l’abbellimento della casa, una passione che oggi riguarda molto anche gli uomini. E’ un pubblico anche in parte, secondo me, di addetti al lavoro. Vedo e sento che c’è un interesse sempre più forte nei confronti di Casamica da parte di architetti e designer, specialisti che un tempo snobbavano abbastanza questo tipo di strumenti, guardavano solo le riviste strettamente di settore. C’è anche un pubblico di studenti, che sui giornali come i nostri, in cui si fa una ricerca un po’ fuori dagli schemi, trovano curiosità, spunti da approfondire. Credo poi che un “atout” di riviste come la nostra sia il fatto che vi lavorano giornalisti provenienti dai settori più diversi, quindi non necessariamente esperti di architettura. A Casamica, per esempio, a parte il direttore e me, che siamo architetti, ci sono professionisti che arrivano dalla moda e dal costume, altri esperti di immagine. Questo arricchisce molto il contesto, fa sì che ci sia uno scambio trasversale di informazioni e che i temi specifici del giornale vengano affrontati in una maniera più aperta, curiosa, divulgativa, connessa con gli altri aspetti della vita.

Marzot. Passiamo la parola invece a Sebastiano Brandolini.

Brandolini. Penso che il taglio del lettore tipo di D sia probabilmente simile a quello che è stato appena descritto. Però io vorrei aggiungere un mio desiderio un po’ così privato: mi auguro che chi legga queste riviste nello specifico sia oggi interessato all’architettura. Io mi auguro che sia una persona molto normale, una persona che però sia disposta a vivere la città ed a usare gli occhi in modo diverso da come è stato in passato. Cioè mi piace pensare che sia una persona che magari invece di andare in automobile, usa la bicicletta. Una persona che si rende conto che quel determinato progetto che è stato costruito a Milano – dico a Milano perché provengo da questa città –  e che si rende conto  del come è stato realizzato quel progetto, è una cosa che influisce sulla qualità della propria vita anche se non è una persona che abita a 50 metri di distanza. Cioè una persona che riconosce quando le cose sono state fatte bene, piuttosto che male, una persona che forse ha avuto la fortuna o la predisposizione di viaggiare. Una persona che si rende conto che se un edificio è un edificio intelligente, perché risparmia l’energia, é una persona che si sente gratificata da questo, una persona che apprezza che le cose siano state fatte in modo innovativo senza magari essere necessariamente rivoluzionarie. Per esempio io immagino che molte persone che hanno nel corso degli anni seguito le vicende delle aree industriali dismesse di cui Milano è ricchissima, di cui Milano sta attualmente vedendo i primi risultati, rimangano deluse dal modo in cui queste cose sono state fatte. E invece apprezzi quando un marciapiede è stato ben curato e la pista cicalabile arrivi a destinazione senza interrompersi a metà strada. Vale a dire  una persona che vive in prima persona la qualità dell’ambiente costruito e non solamente per sentito dire o per un fatto diciamo estetico, ma da un punto di vista molto pratico delle cose. Penso che la città sia una cosa molto pratica.

Desiderio. Ecco Brandolini proprio a proposito di progetti, ci può dire qual è la linea che segue la sua rivista riguardo alle questioni di cui Lei stava parlando? Quali sono i temi che solitamente trattate?

Brandolini. Quello che cerco di fare è di guardare un po’ tra le righe delle cose. Io non penso che una rivista come D sia in grado di competere con una rivista specialistica nel momento che c’è un nuovo importante edificio di Rem Koolhaas, dico questo perché è stato citato precedentemente.  Penso che la cosa importante sia andare a vedere tra le cose. Quindi per esempio posso dire che uno degli articoli sul quale sto lavorando attualmente, riguarda un grande progetto che è stato portato avanti negli ultimi 5 anni nella ex Germania Est vicino al confine con la Polonia. È un progetto che non è che abbia generato delle cose spettacolari, però è un progetto che potremmo chiamare di istruttoria della gestione del territorio. Parliamo quindi di grandi aree che sono state bonificate, una serie di piccoli edifici che sono come dei segni per quello che potrebbe succedere in futuro. Cioè penso che le riviste di grande tiratura come gli allegati appunto come il CdS piuttosto che La Repubblica dovrebbero lavorare proprio su quello sul quale le riviste specialistiche di architettura non fanno, cioè  lavorare con una propria immagine e una propria visione delle cose.

Desiderio. Giro la domanda anche a Sara Banti. Qual è il vostro approccio al riguardo?

Banti. Il corpo principale del nostro giornale verte sugli interni, andiamo a raccontare per esempio le case degli artisti o degli architetti, sono sempre case che hanno una loro anima, grazie alla curiosità e allo stile di chi le abita, persone che amano la cura degli interni come manifestazione di sé. Poi ovviamente abbiamo l’attualità: andiamo a caccia di nuovi modi, da tutto il mondo, di fare architettura, città, design. L’idea è instillare, in dosi omeopatiche, nel grande pubblico, una  curiosità nuova nel guardare la città e anche lo sviluppo del territorio, il design. Andando però oltre le fonti tradizionali del settore, cioè non andiamo a leggerci soltanto Domus o Abitare, facciamo una ricerca diversa che tiene insieme, sotto il grande tema del progetto, fatti legati alla moda, al costume, alla grafica, alla tecnologia.

Agnoletto. E’ più internet o più le riviste specializzate il canale da cui attingete le informazioni?

Banti. Internet, sicuramente, sta diventando uno strumento sempre più utilizzato e oramai indispensabile. Però noi leggiamo anche moltissima stampa estera ovviamente.

Agnoletto. Trovate molte informazioni in anticipo rispetto alle riviste specializzate almeno in Italia?

Banti. Su internet sì, anche se poi ci sono anche i rischi connessi. Ci sono molti siti italiani  interessanti ma, insomma, internet, sapete bene anche voi, è un calderone gigantesco dove si trova di tutto. Poi le riviste estere da Architectural Record ad Architekur und Whonen a Vouge, cioè anche i giornali di moda. Cerchiamo di pescare un pochino anche dai giornali di arte per esempio. In Italia adesso c’è Il Giornale dell’Architettura che mi pare sia fatto molto bene. E poi naturalmente abbiamo i contatti diretti con gli studi d’architettura e di design, cerchiamo di seguire le fiere, le varie biennali d’arte e d’architettura…

Marzot. Ci stiamo avvicinando alla conclusione di questo nostro primo incontro e volevamo affrontare in ultima analisi un argomento piuttosto importante che è quello del rapporto tra contenuti dei magazine e pubblicità. Nelle riviste specializzate ormai abbiamo due riviste all’interno di un unico contenitore: un pacchetto di pubblicità iniziale che lascia poi il posto alla presentazione di progetti. Nei magazine che invece vi vedono coinvolti in prima persona c’è questa contaminazione continua tra questioni di contenuto e aspetti legati alla produzione ed alla commercializzazione di componenti. Come si genera e come si gestisce il rapporto tra mercato e informazione dei contenuti per far si che ognuno in qualche modo veda giustamente riconosciute le proprie ragioni, ovvero che questa contaminazione si muova sempre su di una linea di equilibrio.

Banti. Il nostro giornale è un regalo del CdS. È chiaro quindi che la nostra ossatura economica è la pubblicità, cosa che oramai vale per quasi tutti i periodici, ma in particolare per uno che è gratuito. C’è da dire che per fortuna nel nostro settore – quello del design – gli inserzionisti pubblicitari coincidono, si può dire, con il meglio del design, quindi questo ci salva in parte. È indubbio che bisogna fare i conti con la pubblicità. Casamica secondo me è stata strutturata in un modo intelligente. E cioè ha una parte dedicata essenzialmente allo shopping: ai suggerimenti di tendenza in cui vengono concentrate tutte le novità, una grande vetrina che propone il fior fiore delle novità del mercato, inclusi naturalmente i prodotti dei nostri inserzionisti. E c’è poi tutta un’altra parte del giornale, altrettanto ampia, che riguarda l’attualità del design e dell’architettura, dove davvero noi siamo assolutamente liberi, non ci sono coinvolgimenti di nessun  tipo da parte dell’industria del mobile.

Marzot. Sebastiano Brandolini invece cosa ci racconta?

Brandolini. Io premetto che il mio rapporto con D è un rapporto di collaborazione esterna e quindi non sono direttamente a conoscenza dei meccanismi che si trovano a metà strada tra i contenuti redazionali e le inserzioni pubblicitarie. Ma, avendo detto questo, io forse sono anche un po’ volutamente ingenuo nel dire ciò che sto per dire, però penso, mi auguro che anche chi fa la raccolta pubblicitaria e chi spende i soldi per fare le pubblicità, alla fine si accorge che se i contenuti redazionali sono di qualità e anche quando non hanno, diciamo, un rapporto diretto con i contenuti della raccolta pubblicitaria questo va a favore della rivista nel suo insieme. Quindi ciò che più conta per l’inserzionista non è tanto il fatto che esista uno scambio di favori tra i due settori ma che la redazione lavori al suo meglio nell’identificare quelle che sono le cose importanti di cui parlare. Perché poi alla fine sono le cose importanti di cui parlare che generano la tiratura, generano un interesse nei confronti come strumento di comunicazione.

 


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