L’Estonia dichiara guerra al mondo

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Il cavallo di Kabli prima di partire dal Mar Baltico, destinazione Venezia.

Di tutti gli autorevoli sfoghi letti nelle riviste di settore nei confronti di quest’ultima edizione di Venezia, nessuno si è accorto del Padiglione Estonia – dall’emblematico titolo “Time Out Architecture” – e di ciò che rappresenta proprio alla luce delle tante critiche che hanno sancito quasi unanimemente l’insuccesso di una ‘formula’, quella di Kurt W. Foster, che non ha saputo superare i limiti – se non addirittura consolidarli – già espressi nella deludente prova di NEXT del 2002.

Non se ne è accorto neppure l’attento Carlo Olmo che nell’editoriale di Ottobre de ‘il Giornale dell’Architettura’ salva solo i padiglioni inglese, tedesco, finlandese. Eppure Tallinn è a solo 80 km di mare (3 ore di nave) da Helsinki, fa parte da pochi mesi del ‘condominio Europa’ ed è uno delle rare realtà dell’Unione che vive una stagione particolarmente ‘metamorfica’ sul piano politico, sociale, culturale ed ambientale.

L’Estonia è la grande rivelazione di questa chermes internazionale eppure è passata pressochè inosservata agli addetti ai lavorii (ed in particolare agli operatori della archi-informazione) che non ne hanno saputo leggere l’anomalia – perché schiavi degli stessi parametri che loro contestano – e tradurre questa in provocazione con cui costruire un ‘cavallo di Troia’ in grado di entrare dentro a ciò che Fulvio Irace ha definito lo ‘iridescente blob’ di ‘architetture senza ombre e lucide di riflessi’ e tentare così di ridurre quella ‘distanza tra Ia seduzione del virtuale e Ia scacco matto del reale’ (ABITARE di Ottobre) che non contribuisce a ri-stabile quel ruolo attivo che l’architettura dovrebbe avere all’interno delle complessità del vivere contemporaneo.

In fondo al lungo corridoio ad ‘elle’ delle Corderie, in cui si è messa in scena ‘la sfilata di narcisismo formalista’ (E. Valeriani), l’Estonia si è presentata a Venezia con un’architettura in scala 1:1, un manufatto vero, reale, tangibile, ironico, umile, primitivo, utile. Lo ha fatto portando da Kabli (piccola località di mare lungo la costa occidentale del Paese) non un dettaglio tecnologico destinato a perdersi nell’insieme, non un frammento high-tech che potrebbe essere dovunque, ma semplicemente un’architettura, un ‘modulo’ vernacolare comune alle civiltà rurali di tutto il mondo: la toilet esterna all’abitazione.

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Da sinistra verso destra. Il cavallo nella spiaggia di Kabli. Il cavallo in partenza dal Mar Baltico, destinazione Mar Mediterraneo. Il cavallo (dopo aver attraversato il Continente) entra dentro le Corderie dell’Arsenale. Il Padiglione Estonia (smontato) è un ammasso di legna. Gli autori Agu Külm (architetto) e Jukka-Pekka Jalovaara (scultore) mentre montano il padiglione. Il padiglione Estonia.

Questa micro-architettura fertilizzante – qui in forma di cavallo – è una delle tante unità complementari dell’abitare sparse nelle campagne estoni. Costruite da sempre con materiali riciclati per mano di artisti spesso anonimi, le dry toilets sono portatrici di un messaggio che va al di là del loro uso. Frapponendosi, infatti, fra la casa di pertinenza e lo spazio che la circonda, si ottiene quella ‘centralità mobile’ (perché rimovibili) che giustifica la ‘bizzarria’ con cui ancora oggi si costruiscono e, al tempo stesso, pone la questione del vivere al di là della semplice dimensione domestica e/o urbana.

Dice Liina Jänes (storica dell’architettura e membro dell’entourage-Estonia): “Per esprimere un’idea importante non è necessario costruire un luogo. Basterebbe (forse) costruire un cavallo di Troia. I Greci non hanno sconfitto Troia attaccandola. La tecnologia non salverà il mondo. Potrà farlo un cavallo?

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La creativita’ estone nella costruzione di bagni esterni.

 

 


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