Il FUTURO DELLA CITTA’: scenari e prospettive di sviluppo del territorio urbano nel futuro prossimo venturo

arcomai

Con il primo allegato al numero ZERO di arcomai, “movimento in atto” tra architettura e progetto urbano, andiamo a presentare un ciclo di conferenze ideato da arcomai stesso, organizzato dal Quartiere Santo Stefano e patrocinato dall’Assessorato all’Urbanistica e Casa del Comune di Bologna. Questa proposta – prendendo spunto dal seminario di studi dal titolo “La città del futuro”, promosso dall’Ordine degli Architetti di Bologna il 9 novembre 2001 – si propone di allargare il dibattito con l’analizzare le nuove frontiere della città del nuovo millennio. All’uopo, il quesito che si pone è il seguente: è mai possibile che il termine “costruire”, che è poi quello di finalizzare il “progettare”, non venga mai pronunciato esplicitamente nei dibattiti sull’architettura giacchè esso talvolta, per non dire quasi sempre, è sinonimo di “rovinare” le città, di “distrugger(n)e” i suoi monumenti quando poi sono in atto politiche di intervento che riducono puntualmente i territori urbani a meri compartimenti su cui imporre enormi operazioni commerciali tutte mirate ad incrementare il profitto a scapito della buona architettura o, per meglio dire, al progetto, inteso come coerenza esclusiva di uno strumento che affida ad una “figura complessiva” la risposta ad un problema e a un luogo? Ed ancora: si può migliorare la situazione per dare all’attività architettonica il prestigio che le compete? A questo si risponde: sì, si può migliorare e, secondo noi, più che possibile, è doveroso provarci. C’è bisogno intanto di riportare il dibattito sull’architettura e sul territorio urbano su un piano di critica costruttiva svincolandolo dalla disciplina ma, soprattutto, di trovare una strada comune che possa scrollarci di dosso l’attuale “stallo culturale” di una società soggiogata dalle pressioni di ciò che noi identifichiamo “ideologia conservativa delle rovine e ideologia della riqualificazione”, entrambe cause:

  • dell’omologazione delle città;
  • di sperpero della ricchezza nazionale;
  • di deturpamento del paesaggio per mezzo di interventi discutibili ben celati sotto gli slogans demagogici mirati a ritrovare una anacronistica qualità urbana;

e peggio ancora:

  • di disaffezionamento del cittadino alla “cosa pubblica” e a chi la rappresenta, che tra l’altro reputa la categoria degli architetti la principale responsabile del degrado urbano.

È nata così l’idea di riprendere in mano il tema del “futuro della città” ripartendo da alcuni punti interessanti emersi in occasione del seminario in questione, per poi svilupparne altri con un approccio più sensibile al paesaggio delle nostre città in relazione alle esigenze di una società in continuo divenire. Per fare ciò si è pensato alla realizzazione di un ciclo di conferenze organizzate seguendo un percorso in quattro appuntamenti (conferenze ed incontri con la partecipazione di studiosi, professionisti e cittadini) calibrati su argomenti attuali riguardanti l’architettura, la pianificazione del territorio e la società urbana. Partendo dalla “lettura” della città contemporanea sino ad arrivare alle sue poliedriche rappresentazioni – passando attraverso il ruolo socio/politico del progetto e come lo spazio urbano viene percepito dal cittadino – questa proposta ha l’ambizione di:

  • voler innescare un processo critico che approfondisca dette tematiche – senza la presunzione di esaurirne i contenuti nè tantomeno dare risposte definitive – offrendo argomenti alla discussione pubblica;
  • stimolare il dibattito sull’architettura e sul paesaggio urbano secondo un approccio dinamico, costruttivo, sempre aggiornato e continuativo nel tempo, con l’obiettivo di coinvolgere tutti quei campi della ricerca che hanno come oggetto di studio l’uomo e il suo ambiente;
  • individuare possibili scenari e prospettive di sviluppo della città di domani.

A conferma dell’intento che ha reso sin qui possibile l’organizzazione di una tale manifestazione, ci impegneremo a trovare i mezzi necessari alla pubblicazione degli atti del convegno e divulgare gli argomenti trattati nelle singole serate in modo tale da documentarne i concetti, le impressioni e le conclusioni sulle attività svolte. Impostare iniziative in codesto modo potrebbero rendere eventi come questo di Bologna esperienze uniche, realmente costruttive ed iniziare un dibattito di più ampia portata.
perché un’impresa impegni e appassioni, specie in un periodo di prosperità che talvolta produce fiacchezza morale, occorre che sia originale, presenti un rischio, imponga una prova coraggiosa. La nostra idea vuole scuotere quella cultura architettonica che dovrebbe appartenere a tutti coloro che partecipano al processo produttivo della “città italiana” (committenza pubblica e privata, progettisti, imprese) per dimostrare che c’è moltissimo da fare, che c’è bisogno di stabilire un ponte tra l’architettura e chi ne fa uso: i cittadini. Le amministrazioni ne avrebbero le possibilità ma non usufruiscono della “corsia preferenziale” che li lega al pubblico, gli Ordini Professionali e l’Università non raggiungono lo scopo, le imprese curano “naturalmente” i propri interessi, pertanto ci proviamo noi con questa iniziativa che potrà avere due risultati:

  • la conferma che il nostro progetto è nuovo, chiaro, opportuno, urgente, ed efficace;
  • oppure la presa di coscienza di aver realizzato un solenne fiasco, che non è successo nulla o meglio che l’idea di un forum sul futuro della città – volto ad innescare una serie di altre iniziative – sarà rimasto un sogno, ma un sogno esplicitato, consapevole, discusso, comunque stimolatore – anche solo per poche ore – di idee ed opinioni, scontri e confronti, entusiasmi e delusioni, consensi e critiche, perché è vivo, moderno, controcorrente.

La città di Bologna ha bisogno di mobilitare le forze che la alimentano. Discutere di architettura e di territorio in modo continuativo e secondo un approccio lontano da schemi precostituiti, non può che arricchire la nostra società. Bisogna guardare al domani, a imprese assai più ampie delle scaramucce tra un regolamento edilizio che cerca di contenere i danni di una scena urbana oramai compromessa e quelle forme di speculazione minuta: strascico meschino di un’epoca, residuo del mondo di ieri, che tutti noi vogliamo lasciare alle spalle ma che per vari motivi (pigrizia generazionale e bieco interesse individuale) non si ha il coraggio di cambiare, di scardinare nel profondo. Eleviamo dunque il discorso al di sopra di queste beghe, delle gelosie settoriali di architetti e ingegneri, pensiamo al destino dell’architettura nell’insieme dei suoi contenuti, politici, sociali, economici, estetici e simbolici; focalizziamo il nostro lavoro al “ben essere” della comunità. Nel prossimo futuro ci troveremo di fronte:

  • a nuovi scenari politici i cui effetti non si limiteranno ai territori d’origine circoscritti dagli oramai “superati” e superflui confini locali;
  • alle “vendette” catastrofiche di un ecosistema violentato dall’operato dell’uomo;
  • a trasformazioni socio-economiche difficili da prevederne gli sviluppi nei brevi termini;
  • ad iniziative massicce in campo tecnologico, edile ed infrastrutturale;
  • a processi che investiranno ampie aree territoriali ed intere comunità, il tutto con l’effetto di stravolgere il “comune vedere”, ma soprattutto il “vivere in comune” il territorio.

Gli intellettuali, i politici, le imprese, gli ingegneri e architetti, devono scegliere: porsi ai margini delle realtà, o alla testa delle forze del cambiamento.
Prima di presentare gli argomenti che tale iniziativa conta di trattare ed introdurre gli ospiti che hanno aderito al ciclo di conferenze, vediamo prima chi sono gli interlocutori a cui la nostra proposta si rivolge. Gli incontri che andiamo a presentare sono rivolti ad un ampio pubblico e finalizzati a cercare di far emergere le questioni, le polemiche, i malumori, le scontentezze, le paure e le aspirazioni che attraversano oggi il mondo della progettazione, allo scopo di aprire, senza pensare di esaurirlo, un dibattito dalle molte sfumature riguardanti nella sostanza le responsabilità politica e sociale del “progetto”. Premesso questo ed accettando i dovuti rischi della discussione in modo critico e costruttivo, l’iniziativa di una serie di incontri su “il futuro della città” è rivolto principalmente a:

  • i progettisti: quegli attori (architetti, ingegneri, geometri, periti edili) protagonisti del sistema produttivo dell’architettura che vivono in compartimenti stagni, in competizione cronica e settoriale, come se le loro attività non fossero complementari e finalizzate ad un unico obiettivo. All’interno di tale sistema viene guardacaso penalizzata proprio la figura dell’architetto (il referente più idoneo a gestire la pratica progettuale). È proprio all’architetto, per la funzione che esercita – spesso ridotta ad un’attività periferica, di disturbo, di facciata – che ci rivolgiamo con particolare attenzione. Il mondo va avanti, gli architetti rimangono indietro. Accadono cose straordinarie ma loro arrivano all’ultimo momento quando tutto o quasi è già deciso o compromesso. Il mondo cammina, con o senza gli architetti. Come ci ricorda A. Aymonino, in Nuova architettura italiana (a cura di P. Ciorra e M. D’Annuntiis, Skirà Milano 2000), oltre il 90% degli edifici realizzati in Italia negli ultimi trent’anni non sono stati progettati da architetti; a dimostrazione che il fenomeno è serio e molto complesso. Non abbiamo istituzionalizzato la nostra attività culturale, che quindi non viene tutelata e riconosciuta come dovrebbe. Vantiamo un record di brillantissime iniziative come premi e concorsi di progettazione – che poi si riducono agli oscar del made in italy; in altri termini tutto ciò che noi produciamo viene in massima parte esportato all’esterno senza beneficiarne direttamente – alcune riviste qualificate e diffuse, qualche fiera o esposizione, ma tutto ciò non creano un costume, non contribuiscono alla emancipazione della cultura, non garantiscono una crescita e uno sviluppo della società, perché manca un’idea coordinata, condivisa, positiva e dinamica, un dibattito continuo sull’architettura e su tutto ciò che ruota intorno alla città/società. Oggi l’iniziativa economica è assai più pressante e veloce di quella culturale, gli architetti sono ridotti al margine del processo progettuale in un evidente stato di passività, di attesa, di disponibilità cronica senza motivazioni sincere e, perciò, senza vera possibilità di ispirazione creativa, subendo una pressione psicologica per cui tutti gli architetti, a parole, inorridiscono al solo nome di edilizia, ma tutti, o quasi, ne sono al servizio o ne vorrebbero essere. Il giudizio sui contenuti dell’architettura sembra sfuggire al campo decisionale degli architetti, proprio in un’epoca in cui tutto è bello se compatibile con i canoni imposti dalla cultura del design a tutti i costi;
  • gli Organi Professionali (Ordini e Federazioni degli Ingegneri ed Architetti, Collegi dei Geometri), quegli enti cioè che rappresentano sé stessi e perciò nessuno rappresenta l’architettura, capaci solo di organizzare un circolo di conferenze, un congresso all’anno, qualche pubblicazione o incontri con questa o quella azienda con buffet a seguire, ed incapaci a divenire organi propulsori e rappresentativi dell’architettura attraverso la realizzazione di eventi mirati al pensare sul futuro della città, di divenire in sostanza la “casa” dove coloro che producono l’architettura si ritrovano, concordano il loro lavoro, dibattono problemi, predispongono strategie per incidere, negli orientamenti della classe dirigente, nell’opinione pubblica, nella vita della città e nel bene del paese;
  • le Università di Architettura e Ingegneria che – nel disperato atto di modernizzare un sistema oramai preistorico, lottando faticosamente tra i nuovi e i vecchi ordinamenti e riforme strutturali, ancora tutte da capire – non si accorgono che invece di formare le figure professionali del domani stanno creando in realtà solo un esercito di liceali fuori corso malati di un’apatia che alcuni docenti scambiano come generazionale ma che invece è il risultato di un’incoscienza sul valore politico e sociale del progettare e del conseguente definitivo distacco dalla realtà concreta delle cose;
  • gli amministratori locali espressione di un’urbanista che consegna un piano regolatore che nessuno vuole, che mortifica il progetto e sminuisce il senso e il significato dell’attività architettonica. È su di loro che appena insediati si scatenano le sollecitazioni in direzioni diverse e spesso contrastanti da parte di architetti, ingegneri, costruttori, operatori economici, giornalisti, opinionisti; è attorno a loro che si manifesta la sclerosi dell’architettura; è per causa loro che si crea il divario tra cultura ed economia politica creando quel baratro che porta la società civile ad un linguaggio fatto di astrazioni, inconcludenze, solipsismo e pessimismo, che cessa di essere espressione di un comune sentire, mentre l’economia si trasforma in bruta speculazione, chiama in causa la politica quando le fa comodo e viceversa, contribuendo al malcostume e al sottogoverno;
  • costruttori, appartenenti a imprese di qualsiasi dimensioni e forma giuridica, che sentono ogni loro iniziativa giudicata negativamente, quasi l’intento imprenditoriale fosse a priori deplorevole. Ogni volta che vediamo demolire un edificio, anche se non ha alcun pregio artistico, proviamo un senso di malessere, ove addirittura non vi sia indifferenza, non sospettiamo neppure che al suo posto possa sorgere un edificio migliore; ma pensiamo subito alla logica spietata del mercato immobiliare e al degrado urbano inossidabilmente associato al paesaggio suburbano degli anni 60 e 70;

INFINE a:

  • i cittadini, gli utenti/fruitori della città contemporanea o, quando non si parli meramente di clienti/consumatori dell’architettura. Ci piace considerarli amatori del bello perduto, turisti per caso delle proprie città, romanticoni che si improvvisano Indiana Jones alla caccia di inediti angoli urbani da fotografare durante le giornate del blocco del traffico, sognatori drogati dalle riviste patinate di architettura, dalle pellicole, dalle pubblicità, dagli slogans elaborati dalle amministrazioni locali con vere proprie operazioni di marketing. A loro (a noi) va il nostro interesse finale. Del cittadino non si è mai parlato, non si è mai data la dovuta attenzione e pressione didattica. Si tratta di un grosso pubblico tagliato fuori dalla collaborazione con l’attività moderna, escluso dalle cose serie, dalle scelte sullo sviluppo e le politiche del territorio. Siamo diventati abitanti di una città fatta di differenze, di diffidenze, di egoismi gretti e meschini; un luogo finto che non è più capace o forse non ha alcun interesse a conservare quello spirito di autoidentificazione ed appartenenza che è alla base della società civile. È qui, nel luogo-non luogo – termine con significato molto più ampio e negativo rispetto a quello oramai inflazionato coniato da Marc Augè – ove non è più richiesta la collaborazione del progettista (architetto), la partecipazione ed il giudizio del cittadino, che tutto è dovuto e permesso, tranne mettere in discussione le contraddizioni e le ipocrisie di cui la città contemporanea ne è in qualche modo l’espressione.

Bologna, 24 Settembre 2003 Nicola Desiderio

Liberamente ispirato al discorso pronunciato da Bruno Zevi in occasione della fondazione dell’INARCH nell’ottobre 1959)*.

* Questo documento – di cui ne invitiamo non solo la lettura ma anche l’insegnamento nelle sedi preposte all’educazione – terminava con le testuali parole: “Diceva Teodoro Herzl, fondatore non di un Istituto, ma di uno Stato: ‘I sogni non sono poi così diversi dalla realtà, come qualcuno crede; tutte le imprese degli uomini, all’inizio, sono dei sogni”. Anche noi, convinti che “tutte le imprese degli uomini, all’inizio, sono dei sogni”, ci auguriamo con questa prima iniziativa di costruire una presenza capace di “invertire il senso delle forze che determinano l’architettura del paese” e trasformarle “in fattori dell’equazione architettonica”. Per realizzare questo obiettivo Zevi diceva che “ci vuole coraggio, spregiudicatezza, visione”, tutte qualità che a noi certo non mancano.

 

Introduzione alle giornate

 


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